Per sciogliere l’anacronistica ipoteca progressista, tuttora dominante sopra una vasta area del clero e del laicato cattolico, occorre fare chiarezza sulla storia del Novecento italiano, ossia confutare le nuove teologie secondo le quali durante il XX secolo “si sarebbe assistito alla lotta finale fra due linee opposte che attraversano la storia, quella progressista e quella reazionaria. Dopo la prima guerra mondiale e la rivoluzione sovietica, la forma reazionaria avrebbe perduto quegli aspetti di rispettabilità che ancora conservava e si sarebbe incontrata con la barbarie cui viene dato genericamente nome di fascismo. Sempre secondo tale interpretazione la Chiesa fino al pontificato di Pio XII [cioè la chiesa preconciliare] sarebbe stata alleata delle forze reazionarie” [1].
Per effetto della dipendenza dal filosofo dell’antifascismo, Jacques Maritain [2],Augusto Del Noce non confutò, ma rettificò l’errore dei nuovi teologi. Egli affermò, infatti, che il male radicale del Novecento fu il secolarismo, e precisò: “Mi preme dire che non è è affatto un’interpretazione pro-fascista o reazionaria. Fascismo e nazismo sono anzi visti come il tragico riflesso di un processo di secolarizzazione che li precede storicamente”.
La lettura dei testi delnociani fa intendere che il futuro della tradizione italiana e della sua cultura politica dipende dalla riabilitazione della Chiesa preconciliare e in ultima dalla confutazione delle tesi che associano l’anticomunismo cattolico alla barbarie nazifascista.
Un buon inizio del discorso in difesa del cattolicesimo tradizionale è quello di ristabilire la verità sulla convergenza di antifascismo e anticattolicesimo nella fronda salottiera attiva negli anni Trenta. Questa antipatica notizia è stata rivelata proprio da Augusto Del Noce, nel frammento autobiografico “Storia di un pensatore solitario”, riproposto tempo fa da Rizzoli Bur.
Pur rimanendo fedele fino all’ultimo all’antifascismo, Del Noce ammise che “gli intellettuali antifascisti vicini alle posizioni di Giustizia e Libertà presentavano una grossa componente laicista, anticattolica. Pressoché tutti i miei compagni d’università antifascisti, da Leone Ginzburg a Norberto Bobbio condividevano tale indirizzo”.
Negli anni Trenta, Del Noce, universitario cattolico risolutamente ostile al compromesso dei cattolici con il fascismo, rappresentava un’eccezione.
Nel saggio “Secolarizzazione, nichilismo e cristianesimo”, egli rammentò, infatti, di non aver mai condiviso la tesi secondo cui “la concezione della vita religiosa e del ruolo della Chiesa nella società quali si prospettavano nel periodo storico che va dal pontificato di Leone XIII a tutto il pontificato di Pio XII, rendeva necessaria l’alleanza della Chiesa col fascismo come vera alleanza, in ragione delle consonanze essenziali (la difesa dell’ordine, del passato, l’avversione al trascendimento storico) e dei comuni nemici: l’antimoderno non potendo assumere realtà storica che nelle forme appunto di consenso al fascismo essendo coinvolto nel suo disastro”.
Nel citato frammento autobiografico, tuttavia, il filosofo torinese ammette senza imbarazzo che “risulta difficile parlare dell’esistenza di una chiara posizione antifascista tra i giovani intellettuali cattolici negli anni Trenta”.
L’antifascismo cattolico degli anni Trenta non era chiaro perché già si vedeva la presenza del nichilismo fra i pensieri striscianti nel salotto sedicente progressista.
Mario Borghesi, autore di un pregevole saggio, “Modernità e democrazia in Augusto Del Noce 1930 – 1946”, rammenta che l’arresto di alcuni giovani intellettuali, accusati di aver espresso opinioni contrarie a quelle del regime fascista, “doveva indurre Del Noce al pessimismo…Un pessimismo che grazie alla vicinanza con la figura di Piero Martinetti tendeva ad assumere venature gnostico – manichee. Un percorso peculiare questo «nella misura in cui nel ventennio tra le due guerre si ebbe un ritrovamento della gnosi antica, in nome della non-violenza»” [3].
L’abuso della repressione poliziesca non può essere giustificato in alcun modo. Non senza esibire attendibili documenti, Primo Siena ha sostenuto che durante il periodo della Repubblica Sociale Italiana lo stesso Mussolini si rese conto dell’impossibilità di perpetuare la dittatura e progettò, pertanto il futuro ripristino della legalità democratica [4].
L’appunto delnociano sulla venatura gnostica (regressiva) dell’antifascismo dimostra ad ogni modo che il pensiero del salotto ‘azionista’ era già alterato dalle suggestioni nichiliste che Walter Benjamin (con esplicito riferimento all’eresia di Marcione) elaborò al fine di fondare una nuova e più estrema teoria della rivoluzione [5].
Trattasi, come è noto, di quel succedaneo del comunismo sovietico che Del Noce definirà “totalitarismo della dissoluzione”.
È dunque lecito sostenere che, durante gli anni Trenta, nel pensiero degli antifascisti la legittima condanna degli abusi polizieschi venne a rovesciarsi nell’estremismo non violento, una forma anarcoide di gnosticismo intesa a contestare il principio tradizionale che riconosce allo Stato il diritto di ricorrere all’uso legittimo della forza.
In area cattolica, l’antifascismo era alimentato solo dall’ostinazione di una minoranza al seguito della cometa comunista già in corsa verso il suo destino gnostico e surreale (come dire: Da Marx ai ‘Fratelli Marx’). Lo conferma l’attendibile definizione del leader antifascista Giuseppe Dossetti, formulata da Gianni Baget Bozzo: “Una sottile linea gnostica era percepibile come il modo in cui Dossetti risolveva il conflitto tra cattolicesimo e modernità ” [6].
La soluzione dossettiana contemplava, in definitiva, la sequela del pensiero moderno in cammino verso la catastrofe irrazionalista. L’ultimo Dossetti aderì, infatti, e senza riserve alla tesi irrazionalista di Emanuel Levinas, secondo cui, per contrastare l’egoismo non è sufficiente rifarsi al principio di solidarietà, bensì occorre “ribaltare tutta l’impostazione occidentale, rimandando all’impostazione ebraica originale [7].
L’adesione di Dossetti all’irrazionalismo è coerente con il programma modernistico inteso a de-ellenizzare il Cristianesimo, ossia a demolire quell’impostazione occidentale dal cui sviluppo nacque la metafisica di San Tommaso D’Aquino [8].
Il rifiuto dell’impostazione occidentale non risparmia neppure il preambolo della filosofia cristiana, l’assioma “nihil volitum nisi praecognitum”. Dopo aver citato, dal libro dell’Esodo, la risposta degli ebrei a Mosé, “faremo e udiremo”, Dossetti si contorce in un cunicolo ermeneutico alla fine del quale si manifesta il nuovo principio del pensiero cristiano: volere prima di conoscere. Testualmente: “Essi [gli ebrei] scelsero un’adesione al bene precedente alla scelta tra il bene e il male. Realizzarono così un’idea di una pratica anteriore all’adesione volontaria. L’atto con il quale essi accettarono la thorà precede la conoscenza” [9].
Il limite della filosofia politica di Del Noce fu la convinzione, ricavata da Maritain, che la verità del mondo moderno appartenesse al liberalismo nel suo senso etico. L’adesione al liberalismo etico fece, dunque, credere a Del Noce che esistesse una terza via cattolica, equidistante dal progressismo e dalla reazione fascista. Se non che, sulla terza via i democristiani si scontrarono con l’impossibilità (sperimentata dal centrismo di De Gasperi) di criticare seriamente il capitalismo, e quindi di prendere le distanze dalla cosiddetta felicità americana, oggetto della puntuale critica di Pio XII.
Purtroppo, il fallimento della linea cattolico-liberale ha consigliato la ricerca di una via d’uscita a sinistra. La tesi di un’alleanza della Dc con il partito dei post-fascisti, sostenuta dai più stretti collaboratori di Pio XII, venne ostacolata con ogni mezzo e alla fine fatta fallire. Se non che, l’incontro dei cattolici con i marxisti avviò il cammino in direzione di un altro punto morto della storia contemporanea. Lo ha riconosciuto Del Noce in un testo memorabile: “Il marxismo realizzandosi storicamente ha dato luogo al suo opposto, la società del benessere: che non è possibile oltrepassare per la via della rivoluzione, ma soltanto per quella della restaurazione della dimensione religiosa e dell’autorità dei valori” [10].
La ragione dell’incontro della tradizione cattolica con il pensiero moderno svanisce dunque nelle contrarie prove della storia. Dopo che la storia ha spezzato il filo del ragionamento profetico di Maritain e di Del Noce, l’incontro dei cattolici con la modernità ultima può avvenire soltanto nella luce della grottesca metamorfosi descritta da Del Noce: “Il libertinismo di Sade diventa attuale nel surrealismo di Bréton, solo mediante l’infusione dello spirito rivoluzionario infuso dal marxismo”.
La revisione della moderna storia
ecclesiastica appare come la sola via d’uscita dal furore libertario in atto a
sinistra. Anche se, ovviamente, la
revisione ha senso solo nell’ambito di una destra capace di comprendere il
legame sotterraneo che unisce l’antitradizione all’antifascismo.
[1] Augusto Del Noce, intervista a Massimo Borghesi, rivista “30 Giorni” aprile 1984.
[2] Al proposito Massimo Borghesi rammenta: “Lo studio e il confronto con l’opera di Maritain assumono, nella biografia speculativa delnociana, un valore decisivo. … Maritain è stato per Del Noce il filosofo dell’antifascismo e, insieme, colui che, con Umanesimo integrale,riconciliava il pensiero cristiano con la democrazia moderna”. Cfr.: “Augusto Del Noce La legittimazione critica del moderno”, Marietti 1820, Genova 2011, pag. 13.
[3] Il testo delnociano citato da Borghesi si trova in “Violenza e secolarizzazione della gnosi”, in Aa. Vv., “Violenza. Una ricerca per comprendere”, Morcelliana Brescia 1980, pag. 205.
[4] Il segnale di tale intenzione, Mussolini lo diede affidando a Edmondo Cione, intellettuale di scuola crociana, l’incarico di fondare un partito di opposizione al governo di Salò.
[5] Risultato delle teorie elaborate da Benjamin saranno i manifesti dei sessantottini: rifiuto delle finalità proposte dalla politica sovietica ed esaltazione dell’anarchia edonistica.
[6] Cfr.: “L’eredità catto-post-comunista”, in “Ragion politica”, 16 dicembre 2006.
[7] Cfr. “Sentinella, quanto resta della notte?”, Edizioni Lavoro, Roma, 1994, pag. 24, dove sono citate le “Quattro letture talmudiche” di Emanuel Levinas.
[8] A questo punto è opportuno rammentare che il Magistero cattolico si è impegnato nella difesa della metafisica di san Tommaso: cfr. L’Enciclica “Aeterni Patris” di Leone XIII (1879), il Motu proprio di san Pio X, “Doctoris Angelici” (1914) l’Enciclica “Studiorum ducem” di Pio XI (1923) e ultimamente la “Fides et ratio” di Giovanni Paolo II (1999).
[9] Op. Cit., pag. 48.
[10] Cfr. “Appunti per una filosofia dei giovani”, citato da Massimo Borghesi in “Augusto del Noce La legittimazione critica del moderno“, op. cit., pag. 343
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