Quella del cosiddetto “Progetto Jamaica”, e soprattutto delle sue conseguenze, è una storia poco nota al grande pubblico, che riguarda l’utilizzo di un brevetto industriale, consistente in un sistema per la elaborazione di schede perforate, originariamente concepito per la gestione di ordine pubblico, organizzazione e trasporti, e in seguito rielaborato per la catalogazione della popolazione in base a sesso, nazionalità, provenienza etnica e altre caratteristiche.
I fatti risalgono agli anni Venti del ‘900, quando il governo statunitense aveva intenzione di realizzare uno studio sulle popolazioni dell’area caraibica e centro-americana, che doveva servire come modello per catalogare la popolazione degli stessi Stati Uniti.
L’ideatore di tutto questo, rimasto sconosciuto per molti anni, fu Hermann Hollerith, nato in Germania nel 1860 ed emigrato negli Stati Uniti in giovane età, dove mori nel 1929. Il sistema di Hollerith, si basava su dati fissati come fori su cartoncino, in sequenza matematica, che venivano letti da una serie di aghi magnetici, i quali, passando attraverso il buco, chiudevano un circuito elettrico che azionava dei contatori di scatti in grado di tradurre le informazioni in serie numeriche. Era un complicato insieme di macchinari che comprendevano un verificatore per il controllo dell’automazione delle punzonature; una selezionatrice che ordinava le schede in base al criterio stabilito; un calcolatore che risolveva le serie numeriche, e una tabulatrice con stampante per i risultati finali.
Nella seconda guerra mondiale, il colosso industriale americano IBM, specializzato nel settore e proprietario del brevetto Hollerith, avrebbe poi concluso accordi con il Terzo Reich, per la cessione, con assistenza tecnica, del sistema per automatizzare la deportazione attraverso l’Europa occupata, e la gestione dei campi di concentramento e sterminio.
La vicenda iniziò nel 1910, quando Hollerith concesse l’utilizzo del brevetto alla DEHOMAG (Deutsche Hollerith Maschinen Gesellschaft) fondata da Willy Heidinger, che intratteneva diversi commerci con gli Stati Uniti. Poco tempo dopo Hollerith vendette tutte le proprietà a Thomas J. Watson e Charles Flint, gli americani fondatori della International Business Machines, o IBM, che appena dopo la presa del potere di Hitler, investì oltre un milione di dollari (7 milioni di Reichsmark) per la DEHOMAG. Fu proprio Watson a dare avvio all’espansione della DEHOMAG, guadagnandosi, nel 1937, la Croce al Merito, la più alta onorificenza nazista per un non tedesco.
La vicenda è stata portata all’attenzione pubblica dal giornalista americano Edwin Black, il quale ha trascorso molti anni in ricerche e indagini. Figlio di ebrei polacchi sopravvissuti all’Olocausto, ha scritto il libro “IBM and the Olocaust: strategic alliance between nazi Germany and America’s most powerful corporation”, nel quale documenta le forniture del colosso statunitense all’organizzazione delle SS che gestiva i campi di concentramento, per la redazione di archivi su numero e categoria di prigionieri, nonché di tutte le morti che avvenivano nei lager, secondo i diversi metodi di esecuzione. Le schede venivano analizzate, codificate e catalogate alla velocità di 25mila all’ora.
Nel testo, Black specifica come la IBM non si sia limitata a vendere le proprie tecnologie al regime nazista, ma come abbia stabilito una vera e propria alleanza strategica fra la controllata DEHOMAG e il Terzo Reich per forniture su misura, a seconda delle particolari esigenze e dei programmi della Soluzione Finale.
Non è d’altra parte un caso isolato. Molte aziende e industrie americane, e non solo, hanno stretto accordi commerciali con la Germania nazista. Nei primi anni Trenta, la General Motors acquisì parte del controllo della Adam Opel, e il 40% del mercato automobilistico tedesco; la Ford Motor Company comprò un grande stabilimento nei pressi di Colonia; la Standard Oil Company del New Jersey, in violazione di diverse leggi americane, entrò in affari con la famigerata industria chimica I.G. Farben, la cui fabbrica più importante si trovava all’interno del comprensorio di Auschwitz; la General Electric acquistò una sostanziale partecipazione in quote azionarie della AEG-Siemens e di molte altre controllate minori.
In pratica, gli investimenti americani in Germania erano controllati da una ventina di grandi compagnie, fra le quali Du Pont, Texaco, Corn Product Refining Corp. (oggi CPC International), United Fruit Company, American Metal (oggi Amax), International Nickel, Goodrich, Harvester International, ITT, National Cash Register, in joint venture con la Krupp, la Singer e altri marchi. Da non dimenticare gli enormi investimenti della Harriman Corporation che, con le società di Prescott Bush (famiglia che ha dato due presidenti agli USA) e dei Rockfeller, e che fondò diversi istituti bancari, in particolare la Union Banking Corporation o UBC, con il collaudato sistema delle “scatole cinesi”, per amministrare cifre da capogiro provenienti dall’enorme apparato economico delle SS, in collaborazione con Fritz von Thyssen, il principale banchiere di Hitler.
Per altro la IBM ha addirittura preceduto le truppe tedesche in alcuni Paesi, stabilendo filiali che hanno iniziato la loro attività in previsione di una futura invasione. Al momento della sconfitta di tali Paesi, a Berlino si sapeva già il numero degli ebrei da deportare, per cui la grande macchina si metteva in moto automaticamente con i dati di chi doveva essere rinchiuso in campo di lavoro, oppure destinato alla eliminazione. All’operazione poi collaboravano tutte le filiali della IBM fra Spagna, Olanda, Belgio, Polonia, Svizzera, Svezia, Ungheria, Romania e anche in Italia. Stando poi al contenuto di certi documenti oggi consultabili, è anche provato che alla sede principale di New York si era a conoscenza di tutto.
Dopo lo scoppio della guerra, l’entrata degli USA nel conflitto e le prime indiscrezioni su quanto accadeva nell’Europa occupata, il governo americano approvò una legge che imponeva l’immediata cessazione di qualunque rapporto fra società americane e tedesche. A quel punto, il responsabile della IBM, Watson, dopo aver ufficialmente restituito la prestigiosa onorificenza che Hitler gli aveva concesso, continua però a garantire assistenza al nazismo, affidando alla filiale svizzera la gestione della sede tedesca, evitando nel contempo un’inchiesta governativa a proprio carico.
In certi campi, per esempio a Dachau, erano installate non meno di due dozzine di selezionatrici, tabulatrici e stampanti IBM. In altri campi operavano strumenti per la perforazione, che successivamente inviavano le schede in centri maggiori e con dotazioni più appropriate, come Mauthausen o Berlino-Sachsenhausen.
Ai campi più grandi era stato assegnato un numero in codice per il lavoro: Auschwitz era lo 001, Buchenwald 002, Dachau 003, Flossenbürg 004, Gross-Rosen 005, Herzogenbosch 006, Mauthausen 007, Natzweiler 008, Neuengamme 009, Ravensbruck 010, Sachsenhausen 011, e così via per importanza, capienza e categoria.
Auschwitz, per esempio, era codificato come 001 perché si trattava di un immenso complesso comprendente posti di transito, fabbriche, officine, fattorie e, naturalmente, camere a gas e crematori, che comprendevano una vera e propria galassia di campi minori, fra cui Birkenau e Monowitz. Le attrezzature IBM erano quasi sempre sistemate all’interno dei campi, e affidate all’Arbeitseinsatz, speciale ufficio con personale addestrato allo scopo. Dall’Arbeitseinsatz provenivano le assegnazioni ai posti di lavoro e l’elaborazione delle schede di tutti i prigionieri e dei ruolini dei turni di trasferimento. Un continuo traffico di elenchi, schede e documenti.
E’ poi storicamente provato che senza la IBM, che assicurava manutenzione e rifornimento di schede, i campi non avrebbero potuto eseguire i loro nefasti programmi.
Tutti i non tedeschi di Auschwitz venivano tatuati con il “numero Hollerith”, finché il tatuaggio si sviluppò rapidamente ad Auschwitz, e ben presto non ebbe più alcuna relazione con la schedatura automatica della IBM per un semplice motivo: il “numero Hollerith” era destinato a individuare un recluso che lavorasse, non un prigioniero morto. Per questo motivo, quando il tasso di mortalità ad Auschwitz aumentò, il “numero Hollerith” non fu più necessario.
Alla fine della guerra la vittoria dell’IBM sarà duplice: non solo rientrerà in possesso degli enormi profitti maturati nel corso del conflitto, ma recupererà i propri macchinari grazie agli eserciti alleati e sarà considerata alla stregua delle aziende alleate che hanno subito danni dall’esproprio nazista. Semplicemente paradossale ma tutt’altro che incredibile.
Bibliografia
“Trading with the enemy – An expose of the nazi-american money plot, 1933-1949” – Charles Higham, Delacorte Press, 1983;
“Wall Street and the rise of Hitler” – Anthony Sutton, GSG Association Publish. 1976;
“Henry Ford and the Jews: the mass production of hate” – Neil Baldwin, Public Affairs, 2002;
“A problem from hell: America and the age of genocide” – Samantha Power, Perennal Ed. 2003
“The Swiss, the gold and the dead: how swiss bankers helped finance the nazi war machine” – Jean Ziegler e John Brownjohn, Penguin Books 1999;
“Official secrets: what the Nazis planned, what the British and Americans knew” – Richard Breitman, Hill&Wang, 1999;
“Hitler’s secret bankers” – Sidney Warburg, CPA Books, 1999
“IBM and the Olocaust: the strategic alliance between Nazi Germany and America’s most powerful corporation” Edwin Black, Crown Publishing, 2001.
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