Alberto Rosselli, affermato storico genovese ed ex inviato di guerra nei Balcani e in Medio Oriente, affronta con questo sintetico, ma esaustivo testo un tema fondamentale per chiunque voglia comprendere gli eventi dell’Iraq contemporaneo: la rivolta anti britannica che interessò il Paese delle Mille e una notte nel 1941. Lo scrittore ligure introduce il lettore all’argomento attraverso riassunto della storia della Mesopotamia, la Terra tra i fiumi Tigri ed Eufrate, culla di antichissime civiltà ed eterno crocevia culturale e geopolitico.
Partendo dalle ere più remote il testo ripercorre gli epici incontri scontri tra il mondo greco e quello persiano, con il primo che, dopo essere stato sulla difensiva, conquistò il secondo grazie ad Alessandro Magno. In seguito all’emergere della dinastia sassanide, artefice di un vero Rinascimento persiano, l’Oriente si liberò dalla tutela culturale dell’Occidente, prima rappresentata da Roma e poi da Bisanzio poi. Ne seguirono guerre devastanti che confermarono una leggera superiorità bellica, ma non un vero predominio, della parte occidentale della famiglia etnica indoeuropea su quella orientale. In concomitanza con il declino di Bisanzio a scapito dei persiani, la Mesopotamia venne poi interessata dalla conquista islamica. Quando, nel VII secoli, i seguaci di Maometto emersero prepotentemente dalle sabbie della penisola araba, ebbero la meglio nell’affrontare e sconfiggere i due imperi (bizantino e persiano): soggetti caratterizzati da un livello statuale e culturale elevato, ma che nel frattempo si erano logorati a vicenda, complici le continue dispute militari ed altrettanto perniciose epidemie (come la Peste di Giustiniano che, pare, abbia falciato il 25 per cento della popolazione del Mediterraneo orientale). Il risultato fu che l’intero Medio Oriente cadde in mano araba, dando origine a califfati (come quelli di Damasco e di Baghdad) che imposero con la forza alle preesistenti popolazioni arabe cristiane il credo maomettano. In questo contesto l’Impero Bizantino, ormai ridotto al dominio della sola penisola anatolica, riuscì a respingere, seppure a fatica, ogni assalto arabo islamico, per poi crollare definitivamente nel 1453 –dopo ben sei secoli di resistenza– sotto l’impeto di una nuova e feroce potenza musulmana, ma non araba: i turchi ottomani. Per inciso, fu grazie alla disperata resistenza dell’Impero Bizantino che l’Europa orientale non venne investita dall’invasione araba. Anche in questo caso le orde della mezzaluna conquistarono i Balcani solo sotto le bandiere ottomane.
Il destino dei sassanidi fu ancor più crudele di quello bizantino. Non soltanto l’attuale Iraq, ma anche l’intera Persia venne occupata dagli arabi, che vi importarono a forza la fede coranica, spazzando via i retaggi culturali e religiosi della gloriosa civiltà zoroastriana. Il risultato fu che un’entità imperiale di natura prettamente asiatica, ma in grado in grado di sviluppare un certo dialogo con l’Occidente, venne sostituita dalla cultura musulmana, che per sua stessa ammissione punta alla totale conquista ed alla conversione del mondo intero. Con l’espansione turca tutto il Medio Oriente, ad eccezione della Persia, cadde sotto il controllo della suddetta popolazione altaica attraverso il Califfato Ottomano, nato nel 1517 con l’assunzione del titolo di Califfo da parte del Sultano e durato fino al 1924. All’indomani della disastrosa sconfitta subita nel 1918 dall’Impero Ottomano (alleato di Germania, Austria-Ungheria e Bulgaria), e con la conseguente disgregazione dei suoi possedimenti mediorientali conquistati dalle forze dell’Intesa (Gran Bretagna e Francia), il Medio Oriente venne spartito tra Londra e Parigi. L’Iraq, in particolare, divenne un “mandato” britannico, ovvero un regno arabo autonomo, ma posto sotto stretta tutela dell’Inghilterra. Questo perché le enormi riserve petrolifere e la posizione a metà strada tra l’India ed il Canale di Suez imposero alla diplomazia inglese una presenza diretta sul territorio. Già a partire dai primi anni Venti i rapporti tra britannici ed iracheni non risultarono facili. I problemi, infatti, erano spinosi, in parte a causa della costituzione di un regno composito dal punto di vista etnico-religioso (con il Nord a prevalenza curda sunnita; il Centro, con Baghdad, a maggioranza arabo-sunnita ed il Sud, con Bassora, a maggioranza arabo-sciita), in parte perché buona parte della nuova classe dirigente irachena ambiva in tempi rapidi ad acquisire la totale indipendenza (già prevista dalle clausole mandatarie, ma ritenuta troppo lontana). Ben presto, la brama indipendentista di alcuni leader iracheno, tra cui Rashid Al Galiani, portarono parte dell’esercito e della burocrazia a cercare alleati all’estero per ottenere l’autodeterminazione. E fu proprio nella primavera del 1941 – approfittando del fatto che l’Inghilterra si trovava in stato di guerra con la Germania e con l’Italia – che Rashid Al Galiani, a capo degli elementi nazionalisti iracheni, attuò un colpo di stato, rovesciando il governo filo britannico di Nuri Al-Said, e chiedendo, nel contempo, il riconoscimento diplomatico e aiuto militare alle potenze dell’Asse.
Qui entriamo nel cuore del testo di Alberto Rosselli che, con dovizia di particolari, ma senza inutili digressioni, narra le vicende della Prima Grande Rivolta Araba anti occidentale della Storia. Una Rivolta, in realtà, assai breve e poco onorevole per gli insorti nazionalisti iracheni, poiché le forze britanniche presenti sul territorio, pur numericamente molto inferiori, riuscirono in breve tempo a schiacciare un esercito bene armato (quello di Rashid Ali), ma debolmente rifornito da Germania e Italia, le quali tentennarono a lungo prima di decidersi ad intervenire con il solo appoggio aereo. Ciò non significa che Londra, almeno per un paio di mesi, non abbia tremato all’idea di una vera e propria invasione del Medio Oriente da parte dell’Asse. Tale rischio in realtà era improbabile, data la distanza geografica che separava l’Europa e la Libia italo-tedesche dall’Iraq. Tuttavia presso il Quartier Generale dell’Impero Britannico il timore fu reale.
In effetti la Grande Rivolta Araba irachena analizzata da Rosselli avrebbe potuto, almeno in teoria, creare pericolosi contraccolpi in Medio Oriente ai danni della Gran Bretagna, interrompendo gli approvvigionamenti petroliferi che dall’Iraq sfociavano nel porto palestinese di Haifa, per poi essere ridistribuiti sui vari fronti, e mettere in serio pericolo la sicurezza del Canale di Suez ed i collegamenti tra l’Egitto britannico e l’India. Fu talassocrazia anglosassone ad impedire questi sviluppi poiché, avendo il controllo di buona parte del Mediterraneo, la Royal Navy non permise alle forze dell’Asse di avvicinarsi alle coste mediorientali, costringendo la Regia Aviazione e la Luftwaffe (che avevano le loro basi più vicine a Rodi) a consegnare ai ribelli iracheni un aiuto poco più che simbolico, sia sotto il profilo logistico che militare vero e proprio. Gli inglesi al contrario, pur essendo nel pieno di una delle loro fasi buie della seconda guerra mondiale, riuscirono a dar vita ad una strategia globale. Per prima cosa aumentarono la consistenza della loro flotta nel Golfo Persico, attingendo magri rinforzi da vari settori navali, poi inviarono verso il porto di Bassora una serie di reparti di truppe indiane già predisposte per il trasferimento in Malesia, dove la minaccia giapponese si stava facendo sempre più concreta (mancavano appena sette mesi a Pearl Harbor). La rapidità della reazione britannica sorprese il Governo golpista iracheno e lasciò all’Asse poco tempo per fornire un aiuto concreto al nuovo alleato. Il 2 maggio 1941, esaurite le oggettivamente scarse vie diplomatiche, gli inglesi passarono alle armi. Come già accennato l’esercito iracheno, pur in netta superiorità numerica, non si rivelò un granché. I suoi ufficiali risultarono impreparati, poco combattivi ed incerti sul da fare, senza contare che – salvo qualche eccezione – dopo i primi scontri molti reparti soldati sbandarono, spesso gettando armi e divise. A nulla servì nemmeno l’incitamento alla ‘guerra santa islamica’, proclamato dal Gran Muftì di Gerusalemme, Amīn al-Ḥusaynī (sodale ideologico del leader Rashid Ali). A conti fatti, in meno di un mese di combattimenti la rivolta nazionalista irachena venne domata dai britanniche e l’Iraq tornò sotto un Governo filo occidentale, ovviamente guardato a vista dai soldati britannici. Con la vittoria delle forze inglesi, il conflitto mondiale riprese il suo corso, ma malgrado il trionfo finale l’Impero britannico ne uscì esausto, iniziando un progressivo e quasi sempre volontario smantellamento di un impero divenuto troppo costoso da gestire. In Iraq, con il progressivo abbandono degli insegnamenti politico-amministrativi inglesi, la leadership locale divenne sempre più nazionalista ed anti occidentale. Fino al colpo di Stato di Saddam Hussein, prima cliente mediorientale numero uno dei sovietici e scheggia impazzita poi. Ritornando al libro di Rosselli, tutto ciò, e quello che la storia ci riserverà nel prossimo futuro, risulterebbe incomprensibile senza un attento studio della Rivolta irachena del 1941: il tentativo maldestro di una leadership non più coloniale, ma non ancora pronta all’indipendenza, di affrancarsi dal predominio europeo. Un predominio, giova ricordarlo, non solo militare, ma anche politico e culturale. In ultima analisi, la repressione britannica del 1941, fu un capitolo dell’eterno confronto tra Occidente (ovvero la sintesi di civiltà classica, cristianesimo ed illuminismo) ed islam, religione nata tra le sabbie e votata alla sottomissione del globo.
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