Alcune precisazioni per sfatare, anche in modo che molti troveranno antipatico, parecchi luoghi comuni sul rapporto “pellerossa e visi pallidi”.
(Dedico questo articolo a Gabriele Campagnano, vero Maestro di storia e fonte bibliografica inesauribile: https://www.facebook.com/profile.php?id=100014204226474 )
Una delle leggende storiografiche
maggiormente radicate è quella secondo cui i cosiddetti indiani dei territori
che oggi compongono Stati Uniti e Canada, fino all’arrivo dei bianchi,
vivessero felici in un Eden a contatto con la natura.
In nome dell’antiamericanismo la storiografia di sinistra ci ha sempre
presentato i pellerossa come una sorta di hippies fricchettoni, mezzi nudi in
nome dell’amore libero e perennemente “in botta” di droghe naturali. A sua
volta la storiografia di estrema destra (altrettanto antiamericana di quella
sinistroide) nobilita i pellerossa come fieri guerrieri un po’ anarcoidi e
sempre mezzi nudi, ma stavolta per mostrare muscoli e cicatrici (aggiungiamo
che sul “machismo nudista” di parte dell’estrema destra ci sarebbe da approfondire
qualche aspetto…).
Ovviamente si tratta di due immagini false e tendenziose, che tra l’altro non
rendono giustizia alle popolazioni precolombiane del Nordamerica.
Visto che i lati positivi delle genti in questione sono stati esaltati a più
non posso e mostrati ad nauseam da un cinema hollywoodiano agiografico ai
limiti del ridicolo, cerchiamo di valutare onestamente anche gli elementi
negativi. Per molti sarà un esercizio antipatico e fuori dagli schemi, ma
proprio per questo da incastrare a buon diritto nelle caselle dell’obbiettività
storica.
Partiamo dal presunto ecologismo dei pellerossa, contrapposto alle devastazioni
dei cattivi uomini bianchi, tema su cui sinistra ed estrema destra hanno
consumato fiumi di buon inchiostro e cattive parole. Per smontare questo
argomento basti ricordare che le le Grandi Pianure americane divennero tali
solo dopo l’arrivo dei precolombiani, prima erano enormi foreste boreali.
Perché tale trasformazione? Perché gli antenati dei pellerossa attuarono per
generazioni la cosiddetta agricoltura ad incendio: bruciare un tratto di
foresta per renderlo fertile grazie alle ceneri, ricavarne un raccolto e
poi…passare al tratto di foresta successivo. Il risultato di secoli di tale
procedimento è che la parte centrale degli attuali USA si trasformò da
rigogliosa foresta ad una steppa di tipo mongolo. Tale “agricoltura”, del
resto, è la stessa con la quale gli aborigeni hanno desertificato due terzi
dell’Australia prima dell’arrivo dei bianchi.
Passiamo alla cosiddetta nobiltà guerriera dei nativi. Decenni di bugie ci
hanno inculcato che, a fronte dei bianchi crudeli e traditori, gli indiani
erano leali e rispettosi del nemico. Il colmo del ridicolo s’è raggiunto con la
storia che lo scalpo sia stata una pratica che i nativi copiarono dagli
spagnoli. Partiamo dal presupposto che la tortura era una pratica che i
pellerossa applicavano a quasi tutti i prigionieri, così come lo stupro delle
donne nemiche e la loro riduzione in schiavitù. Per citare solo un paio di
esempi irochesi ed uroni spesso bastonavano a morte i prigionieri, mentre gli
apache amavano cospargere i loro di pece e poi bruciarli vivi. I comanches
invece solevano deturpare i visi delle donne che stupravano.
Spesso si detto che tali crudeltà avvennero dopo il contatto coi bianchi, i
quali trasmisero parte della loro malvagità capitalista ai pellerossa. Peccato
che nel 1978, presso Crow Creek, nell’attuale South Dakota, sia stato scoperto
un sito archeologico assai curioso. In breve si tratta di una fossa comune
cerimoniale dove circa 500 pellerossa arikara, per lo più donne e bambini,
vennero torturati, scalpati, mutilati e fatti a pezzi. Gli studi (Willey P.,
1982, Osteology of the Crow Creek Massacre) datano tale scempio al 1325 circa,
150 anni prima dello sbarco di Colombo e 400 anni prima che i bianchi
arrivassero in quella regione. Per chi volesse approfondire consigliamo anche
Richard J. Chacon (2007) “The Taking and Displaying of Human Body Parts as
Trophies by Amerindians”.
Passiamo ai morti. Per decenni ci hanno raccontato che i bianchi abbiano
attuato uno sterminio scientifico dei pellerossa del Nordamerica. Falso. La
maggior parte degli indiani periti tra il 1492 ed il 1890 morirono a causa di
malattie alle quali non erano immuni, ma che spesso uccidevano anche i bianchi.
Non fu un atto deliberato, fu semplicemente una tragedia umanitaria che la
scienza dell’epoca non poteva prevedere né prevenire. Ancora non è chiaro
perché le patologie del Vecchio Mondo fossero più virulente di quelle del
Nuovo, fatto sta che colera, vaiolo e morbillo (tra le altre) provocarono
un’ecatombe. Gli amerindi dal canto loro passarono agli europei la sifilide. Se
per quest’ultima malattia nessuno ha il diritto di incolpare i precolombiani il
discorso deve valere anche per gli europei nel senso inverso.
Per quanto riguarda le guerre che gli indiani sostennero contro i bianchi
bisogna ricordare che intere tribù vennero sterminate da altri popoli
pellerossa, i quali si inserirono nelle lotte tra europei. Del resto se i
bianchi francesi ed inglesi, piuttosto che inglesi e coloni americani, si
combatterono tra loro risultano logiche le divisioni anche tra i pellerossa. Da
ricordare che l’istituzione delle riserve indiane da parte degli Stati Uniti
venne concepita per assegnare un territorio alle tribù sconfitte, con
l’obbiettivo di civilizzarle nel senso occidentale del termine. Le guerre tra
indiani invece, come visto, si concludevano con lo sterminio e la tortura degli
sconfitti.
Concludiamo con qualche numero, freddo ed apolitico. Limitandoci solo gli USA i
più recenti studi (Snow, D. R.,1995, “Microchronology and Demographic Evidence
Relating to the Size of Pre-Columbian North American Indian Populations” e
Bruce E. Johansen, 2006, “The Native Peoples of North America. Rutgers
University Press”) stimano il numero dei pellerossa “statunitensi” prima del
contatto coi bianchi a circa due milioni e centomila persone. Tale numero
progressivamente crollò. Secondo il censimento federale USA del 1890 i
pellerossa erano 248.000. Da allora il loro numero è continuamente aumentato
grazie alle cure moderne, alla maggiore istruzione ed all’inserimento dei
nativi nel sistema sociale occidentale. Insomma grazie alla civiltà. Il
risultato è che il censimento del 2010 ha registrato 2 milioni e 932.248
indiani purosangue, a cui vanno aggiunti altri 2 milioni e 288.331 persone di
sangue parzialmente pellerossa. In breve oggi ci sono più indiani di quanti non
ce ne siano mai stati. Ciò dimostra che in Nordamerica non vi stato alcun
genocidio dei popoli precolombiani da parte dei bianchi, che avrebbero potuto
attuarlo, ma semplicemente (e giustamente) non hanno voluto.
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