Le drammatiche, incredibili vicissitudini di un piroscafo e di un equipaggio della Marina Mercantile Italiana, coinvolti nell’inferno di Dunkerque.
Dalle nebbie del passato riemerge una storia, forse unica e originale, che riguarda un equipaggio della nostra Marina Mercantile, prima dell’entrata in guerra dell’Italia (il 10 giugno 1940): storia, o meglio avventura, che si svolse tra le campagne e le città del Belgio e della Francia devastate dall’incedere dei combattimenti tra franco-inglesi e tedeschi. Fino dal settembre 1939, pur essendo l’Italia neutrale, tutte le nostre navi mercantili che si trovavano nell’Atlantico, nel Mare del Nord, la Manica, il Baltico furono sottoposte ad attacchi aerei o corsero il rischio di saltare in aria sui banchi di mine. L’equipaggio (35 uomini) imbarcato sul piroscafo Foscolo della Tirrenia, tranne sette persone (genovesi e meridionali) proveniva da Fiume, Pola, da località dell’Istria, dalle isole del Quarnaro e dalla Dalmazia. Costruito a Glasgow nel 1919, 3.059 tonnellate di stazza lorda, il Foscolo era stato acquistato nel 1934 dall’Adria di Fiume, società fusa nella Tirrenia nel 1936. la nave era partita da Fiume il 18 marzo 1940 alla volta di Rotterdam e Anversa, scali che raggiunse nei primi giorni di maggio. Il Foscolo fu l’ultima nave da carico italiana a lasciare il Mediterraneo. Nella prima pagina dell’estratto del Giornale Nautico del 15 maggio 1940, il comandante annotava: “ Alle 4.30 si parte da Anversa diretti a Genova secondo gli ordini ricevuti dalle Autorità consolari. Oltre all’equipaggio si trovano a bordo da lunedì sera otto connazionali di cui tre donne e due bambini, portati a bordo dal R. Console comm. Cuneo in persona, per rimpatriarli , date le circostanze del momento. Tutti muniti di passaporto italiano e lettera consolare di accompagnamento. Si parte col piroscafo in perfette condizioni di navigazione e con tutti i mezzi di salvataggio efficienti e pronti all’uso. Date le eccezionali contingenze del momento e per maggior sicurezza già nei giorni precedenti alla partenza , si ebbe cura di pitturare la bandiera nazionale anche sulle altre due boccaporte in tutta la loro superficie. Attraversati i docks del porto di Anversa col pilota, si entra nella chiuse di Kruisschans alle 6.00 circa. Cambiato il pilota alle 7.00 circa si esce dalla chiusa ed ha inizio la navigazione lungo la Schelda. Come di intesa con le nostre autorità e rispettivi capitani si procede navigando in vista degli altri piroscafi nazionali A. Locatelli e Fidelitas. Giunti all’altezza di Bat una scarica di proiettili di cannone viene a cadere in prossimità della nostra prua e fianco sinistro senza arrecare danni all’infuori di abbondanti cadute di schegge sulla coperta.”
Il 10 maggio 1940, le forze germaniche aggirarono la linea Maginot e in pochi giorni Olanda e Belgio dovettero arrendersi mentre un intero corpo di spedizione britannico fu costretto a ripiegare su Dunkerque. Abbandonate le armi pesanti, i reparti britannici affluirono sulla spiaggia di questa città, cercando di mettersi in salvo sulle centinaia di mezzi nautici e navali che erano accorsi dall’Inghilterra. Ma torniamo al Foscolo. Dopo essere salpato da Anversa, il 15 maggio, all’altezza della località belga di Knokke, la nave iniziò a percorrere una rotta di sicurezza onde evitare i numerosi campi minati della Manica. Intorno alle 0re 14, il piroscafo subì un attacco aereo tedesco che provocò seri danni all’unità che, di lì a poco, si adagiò sul basso fondale. Impartito l’ordine di abbandonare la nave, una prima lancia con i passeggeri e alcuni marinai, poi l’altra con a bordo il resto dell’equipaggio, raggiunsero, non senza pericoli, il porto di Zeebrugge, dove i passeggeri furono affidati all’Agente Consolare italiano. Dal canto loro, il comandante e il primo ufficiale e il secondo di macchina, presero invece posto su un peschereccio per effettuare una ricognizione del relitto per verificarne le condizioni. Era giovedì 16 maggio, sfidando il mare agitato, gli aerei che volteggiano minacciosi e le mine dietro le creste delle onde, gli italiani riuscirono ad affiancare il Foscolo e a salirvi, recuperando i libretti di navigazione, ma non i libri di bordo. “Il Foscolo stava lentamente coricandosi sul fianco destro”. La nave era infatti perduta. Rientrati a Zeebrugge, ancora prima di arrivare in porto, gli ufficiali videro il piroscafo colare a picco. “Il relitto trovasi affondato a miglia tre circa, fuori Knokke”, annotò il comandante sul suo giornale nautico. Naufraghi a terra, senza soldi, i marinai iniziarono una navigazione che durerà fino al 9 giugno 1940, mantenendo inalterata, come a bordo, la disciplina attorno al suo comandante. “Mi reco insieme al Reggente Console al Comando Marina belga per comunicare con le mie superiori autorità. Nulla da fare. Mi propongono come unica via d’uscita di metterci a bordo di un piroscafo lettone che si trova a Zeebrugge e ritornare in patria; ma, fatto un sopralluogo , constato la non navigabilità della nave. Dopo aver fallito questo tentativo di rimpatrio, l’agente consolare mi comunica che il suo compito era finito e m’invitava a sloggiare insieme al mio equipaggio. Partiamo in due gruppi , prelevando con regolare ricevuta all’Albergo Kursaal Casino coperte di viaggio per l’equipaggio. La sera del 20 si giunge a Dunqerque dopo un viaggio di stenti e di peripezie .Il reggente Console italiano era partito , ma veniamo accolti cordialmente e tramite un sacerdote sistemati alla buona all’Ecole Saint Joseph, un edificio scolastico accanto a un convento di suore.” Le sorelle, assicurò il religioso, sarebbero state ben liete di ospitare gli sfortunati stranieri. In effetti la presenza dei marinai si rivelò provvidenziale perché il rifugio antiaereo era accessibile solo dalle strutture adibite a scuola. Se la struttura fosse stata bombardata, i rifugiati (e le suore) sarebbero rimasti prigionieri delle macerie. Detto fatto, i marinai, armati di piccone e attrezzi improvvisati, aprirono uno sbocco attraverso il muro che dava sulla strada. E il caso volle che alcuni spezzoni sganciati da aerei tedeschi colpissero l’edificio che, franando, fece crollare l’unica uscita preesistente. Il pertugio aperto dai marinai italiani evitò, quindi, la morte certa di tutti i rifugiati. Impressionate e commosse dall’evento, le suore dimostrarono la loro gratitudine dividendo le poche provviste con gli italiani. In quell’atmosfera carica di terrore, tra l’ululato delle sirene e i continui, martellanti bombardamenti della Luftwaffe, l’equipaggio resistette come in un mare in tempesta. “ Si dorme nelle cantine dove si passa parte della giornata tra allarmi continui e bombardamenti aerei”, annotò il comandante. “Vitto di miseria: pochi grammi di pane e un piatto di brodaglia. Tramite il comando militare mando un telegramma all’Ambasciata italiana di Parigi esponendo la nostra situazione e chiedendo immediata assistenza. Passano mercoledì e giovedì senza risposta. Vita di stenti, privazioni e pericoli, faccio nuove pratiche per ottenere approvvigionamenti avendo esaurito ogni scorta”. Una maestrina, che insegnava nell’istituto delle suore ottenne dal borgomastro l’autorizzazione a prelevare presso il forno militare e generi alimentari nella Nouvelle Gallerie una quindicina di forme di pane da donare agli italiani (impietosito dalle condizioni dei naufraghi, il panettiere non solo aumentò di sua sponte la razione, ma aggiunse anche un rasoio, delle lame, candele e lacci per scarpe. “Attacchi aerei continui e incendi , ci mettiamo spesso all’opera per difendere l’edificio dal fuoco, ma nella serata di venerdì dobbiamo sloggiare d’urgenza perché le nostre cantine sono requisite dalle autorità militari che ci fanno trasferire nei fondi del Musèe des Beaux- Arts della città, ove si svolgerà ulteriormente la nostra vita di stenti per cui la municipalità di Dunquerque ci concede dei buoni per prelevamento di viveri per qualche giorno. Tutti sani e molto appetito- scriverà con ottimismo il comandante. L’imponente costruzione del Museo nel cuore della città era occupata solo dall’anziano custode e dalla moglie che furono sollevati dal non essere più soli. Sopra le teste dei marinai , alloggiati nelle cantine, c’erano grandi sale piene di opere d’arte di scuola fiamminga, olandese, francese, italiana e la preoccupazione del custode era quella di salvare la quadreria. La città era duramente provata, fumo, incendi e detriti da per tutto; migliaia di soldati inglesi erano ammassati nel porto e s’imbarcavano per Dover. Nella città continuavano ad affluire le truppe britanniche in ritirata. Molti avevano perso i contatti con i comandi e vagavano tra le rovine , un’anarchia che toccò anche quelli del Foscolo , perché un reparto di inglesi forzò le porte per entrare nel Museo.
Con fermezza l’equipaggio riuscì a dissuadere il reparto, ma ormai i bombardamenti avevano distrutto buona parte della città e il porto da dove si diffondeva l’odore acre dei depositi di oli combustibili che bruciavano. Attorno al Museo gli edifici erano diventati bracieri. Anche qui come alla scuola del convento, l’equipaggio del Foscolo rischiava la vita. Invece di pensare subito alla propria salvezza i marinai italiani si attivarono per portare al sicuro in un sotterraneo quadri, incisioni e oggetti antichi. Dieci ore di lavoro che permise di salvare il patrimonio museale in un sotterraneo tra cui dipinti di Rubens, Brughel, Magnasco, Corot e uno schizzo di Jean Bart, il celebre corsaro venerato in Francia la cui tomba si trova nella vicina chiesa gotica di S. Eloi. Il comandante scriveva: “Intorno tutto brucia, è impossibile rimanere in questo posto, si decide di scappare verso la campagna insieme alla famiglia del guardiano del museo”. L’equipaggio,35 figuri che assomigliavano a tutto tranne che a dei marinai, insieme ai custodi del museo, fecero rotta su Rosendael, ma trovarono solo distruzione e fiamme, e ripiegarono nel territorio interno assediato dai tedeschi. Dopo una lunga marcia nella campagna deserta, dove la primavera inoltrata aveva riempito la natura di colori e di profumi che ripulirono i polmoni degli uomini dopo giorni di fumo acre e irrespirabile, raggiunsero una fattoria nei pressi di Tetegem .Il comando francese concesse all’equipaggio di alloggiare per una notte in un fienile , posto non tanto sicuro perché vicino a una batteria mobile antiaerea sottoposta ai tiri diretti dell’artiglieria e dei bombardieri germanici. Gli uomini del Foscolo accettarono anche questo rischio e si mantennero inquadrati e disciplinati come se fossero stati sulla loro nave. Il cibo mancava e il rifugio si rivelò una trappola . Alcune esplosioni di cannoni demolirono in parte il fienile : sette soldati francesi furono feriti gravemente, ma un tenente e il cappellano morirono sul colpo. Il carpentiere del Foscolo costruì una croce di legno che fu ficcata nella terra per segnalare la loro sepoltura nella campagna. Alla data del 31 maggio /1 giugno il comandante annotava: “ Ci troviamo fra due fuochi e senza speranza colla sola fede nel Signore. Vitto razionato e quasi sempre in pericolo di vita”. Il 2 giugno le truppe tedesche erano ormai a pochi chilometri dal rifugio degli uomini del Foscolo. I soldati francesi con i guardiani del museo decisero di scappare e lasciarono l’equipaggio in mezzo alla battaglia. Tra colpi di artiglieria e bombardamenti aerei in prima linea, stretti l’uno con l’altro , non si aspettavano più nulla, fino ad allora avevano salvato la pelle. Lo spirito del Foscolo li proteggeva ? “ All’alba – scriveva nel suo diario il primo ufficiale – gli aerei si erano diradati e anche il fuoco germanico era cessato, segno che la resistenza franco inglese era stata eliminata”. Era il 3 giugno 1940, c’era un silenzio assoluto e inquietante nella campagna; poi voci umane, concitate a pochi passi dal rifugio ; gli italiani si accorsero di essere circondati dalle truppe d’assalto dei tedeschi. Il comandante del Foscolo temeva che il suo equipaggio, lacero e impolverato asserragliato nella fattoria ex comando dei francesi, potesse venire scambiato dai tedeschi per un reparto dell’esercito nemico, inglesi forse, disertori o peggio . La situazione era drammatica, non si poteva rischiare di soccombere senza neppure potersi spiegare. L’Italia era o non era alleata della Germania? Gli uomini decisero di uscire allo scoperto , le mani in alto per mostrare che erano disarmati , mentre il comandante che parlava tedesco gridava : italiani, siamo italiani. La presenza di quello strano gruppo di sbandati tra le linee nemiche in aperta campagna non convinceva i militari tedeschi che mantenevano nervosamente i fucili spianati. Come potevano immaginare, d’altronde, che nel campo di battaglia si trovavano davanti un intero equipaggio della marina mercantile italiana? Non c’era tempo per riflettere, il comandante del Foscolo chiese a un tenente che venissero esaminati i loro documenti ( i preziosi libretti di navigazione), gli italiani erano allineati ad un passo dalla morte sotto il tiro dei fucili dei loro alleati. Finalmente il tenente diede l’ordine di abbassare le armi. Ancora una volta quelli del Foscolo avevano trovato una buona stella. L’incontro con i soldati tedeschi non concluse però le loro vicissitudini, perché per molti giorni condivisero la marcia con i soldati nei campi e nelle trincee fangose fino al primo presidio dove furono subito rifocillati. I militari avevano ricevuto ordini di portarli al comando divisione germanico . Scrive il 3 giugno il comandante del Foscolo: “Continua la vita di tribolazioni e continui bombardamenti da batterie e aerei, ( la resistenza francese nonostante tutto era ancora attiva). Dopo peripezie infinite si passa la zona di battaglia e veniamo accolti fraternamente dai comandi tedeschi.” Prima del rimpatrio l’8 giugno la navigazione prosegue nello scenario di desolazione e morte, con tanti imprevisti ma ormai la rotta del Foscolo continuava sicura fino a Bruxelles , Colonia e Monaco. E poi il rimpatrio. La storia del naufragio della nave e l’odissea del suo equipaggio fecero cronaca. L’Italia appena entrata in guerra aveva bisogno di notizie in qualche modo rassicuranti, storie che infondessero fiducia nella capacità della nazione e dei suoi uomini. Scriveva Luigi Barzini a tutta pagina su ‘Il Popolo d’Italia’, il 23 giugno 1940. “Trentaquattro marinai italiani componenti l’equipaggio di una nave mercantile affondata, portati dal destino nell’inferno di Dunquerque , sfuggiti all’acqua per cadere nel fuoco , sono emersi miracolosamente salvi dalla citta-fornace dopo aver attraversato le più straordinarie e drammatiche avventure che siano mai toccate a gente di mare “Scamiciati, stracciati, gli indumenti sporchi di fuligine e di fango, le barbe lunghe, i capelli arruffati, senza altro bagaglio che dei fagotti legati con funicelle e qualche tozzo di pane dentro la camicia, quando sono rientrati nel silenzio del mondo pacificato parevano trentaquattro classici pirati”. Nel lungo servizio del grande Barzini non si menziona che il Foscolo fu colpito da aerei germanici , d’altra parte sarebbe stata una propaganda negativa per gli alleati dei tedeschi. Noi preferiamo pensare, poiché crediamo all’anima delle navi, che il piroscafo Foscolo si sia immolato per salvare la vita del suo equipaggio per uno di quei patti del destino che non si sa dove avvengono, ma avvengono. Il 10 giugno l’Italia entrava ufficialmente in guerra a fianco della Germania. E quasi tutti i marinai del Foscolo furono richiamati per fare la guerra vera.
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