Nonostante alcuni recenti e validi contributi, persiste l’immagine (popolare) dell’ultimo granduca mediceo al pari di un personaggio abulico e degenerato; prigioniero dei suoi luridi vizi e dei suoi lacchè. Ma trattasi di una vulgata che non regge, almeno stando ai documenti e ad un vaglio critico delle testimonianze d’epoca.
Dal fasto della regalità alla degradazione della bestialità: così, a leggere alcune cronache e testimonianze d’epoca o posteriori, si potrebbe interpretare la vicenda di Giovanni Gastone I, settimo ed ultimo granduca di casa Medici: meglio noto come Gian Gastone (1671-1737), figlio di Cosimo III e Margherita Luisa d’Orléans.
Sovrano dal 1723 al 17377, è sicuramente lunga la lista di coloro che con disgusto, compassione o indignatio hanno parlato (e sparlato) dell’ultimo sovrano mediceo come di una sorta di inetto, abulico ed avvinazzato. Ma ad oltre duecentonovanta anni dalla sua ascesa al trono è forse ora di vederci chiaro e fare pulizia di una leggenda nera che ha toccato punte di assurdità tali da fare quantomeno dubitare, più che dell’imparzialità, del buon senso di chi si ha acriticamente scritto affermazioni come queste: “In primo luogo, il G. Duca dimorava in un sudicissimo letto, con pochissime lenzuola, camicia e scuffi otto lordi, con due sole candele accese che rendevano pochissima luce alla grande stanza, ove riposava, essendo puzzolente di tabacco in fumo, ed escremento di cani etc., che sembrava una camera delle stinche per il fetore che vi era, avendo S.A. l’ugne alle dita delle mani e piedi come un astore….” [1]
E così, da un libello di natura infame contemporaneo al granduca, da alcune malevole affermazioni della Cronaca di Francesco Settimanni e di altre spigolature da cronache più o meno coeve e di dubbia attendibilità, è decollata una “leggenda sudicia”, poi amplificata fino all’elaborazione, più raffinata sul piano letterario, ma non sempre ineccepibile su quello storico, di Sir Harold Acton[2]. E se a questo poi si aggiunge l’idea della decadenza dell’allora Stato toscano, che sarebbe iniziata inesorabilmente con il lungo regno di Cosimo III, il quadro a tinte fosche è completo e servito.
Ma chi era veramente Gian Gastone? Per rispondere a questa domanda occorre porre mano ad una biografia seria ed approfondita, che esamini con pazienza la messe di documenti giacenti nell’Archivio di Stato e probabilmente anche in altri siti; lavoro peraltro già fatto, almeno in parte, ma che ancora non è approdato ad una sintesi complessiva. Del resto non tutte le fonti e le notizie sembrano così sfavorevoli al granduca. Lo stesso Settimanni, non senza qualche punta di malevolezza, si lascia scappare non poche notizie tutt’altro che disdicevoli sul conto di un principe che pure non apprezza. Stesso dicasi di Riguccio Galluzzi, che scrive pochi decenni dopo l’avvento della dinastia lorenese[3].
Ben poco di tutto ciò è passato nella comune vulgata storica che, al massimo, tende a definire come positivo il primo periodo di regno, in cui il principe avrebbe dato diversi segni di buone disposizioni e idee, poi non mantenute. Trattasi di un cliché, tra l’altro, antichissimo, che risale ai tempi della storiografia romana, particolarmente usato da Tacito e Svetonio proprio per gli imperatori particolarmente “tirannici” o presunti tali. Così un altro testo anonimo, probabilmente di poco successivo alla morte del principe, riporta vari provvedimenti benemeriti varati nei primi mesi di regno di Gian Gastone, per concludere che “Diversi altri non meno utili provvedimenti avrebbero potuto eseguirsi se avesse potuto continuare lo stesso contegno il nuovo sovrano, che aveva per altro nel fondo del suo cuore un grand’amore per la giustizia ed un vivo desiderio di giovare a tutti e non nuocere mai ad alcuno”[4]. Questa amore per la giustizia, e ci sarebbe da aggiungere, per la clemenza, è un tratto che il fango gettato addosso all’ultimo Medici non è riuscito a cancellare del tutto.
Altre fonti definiscono Gian Gastone un giovane brillante e addirittura di ottime maniere, ma portato per una vita abbastanza travagliata. Qualunque biografia del principe mediceo deve infatti misurarsi con una giovinezza, ma soprattutto con una maturità, tutt’altro che felici. Gian Gastone non fu affatto un principe “da favola”. Secondogenito, il trono sarebbe dovuto toccare al colto e spiritoso fratello Ferdinando (1663-1713), morto però prematuramente. Su una cosa poi i biografi sembrano tutti concordi: l’influenza nefasta che sul suo carattere ebbe il matrimonio con Anna Maria Franzisca (1672-1741), figlia del duca Giulio di Sassonia Lauenburg (1666-1689) e vedova dell’elettore palatino Filippo di Neuburg (1668-1693), celebrato a Düsseldorf il 2 luglio 1697. Trattasi forse dell’episodio più studiato della vita del principe mediceo. Per un’analisi equilibrata della questione si rimanda all’ottimo saggio di Patrizia Urbani. La studiosa ricorda un documento importante, inviato il 15 agosto 1708 dall’arcivescovo di Praga al cardinale Paolucci, il quale conteveva a nome del papa un’informazione segreta sullo stile di vita del Medici durante il suo soggiorno boemo accanto alla consorte. L’arcivescovo, che conosceva bene il principe, dichiarò che per la pubblica fama il principe era ritenuto privo di vizi se si eccettua quello del gioco[5]. Senza dubbio, almeno in un certo periodo, Gian Gastone aveva ceduto alla ludopatia; ma nulla di paragonabile a quanto viene scritto dall’autore dell’anonima “Vita di Gio. Gastone I”, che ci tratteggia il principe in quel periodo come un campionario di vizi di bassissima lega[6]. Ecco dunque già bello e pronto l’infame cliché con cui il principe sarà bollato: ubriacone e depravato oltre che prigioniero del suo stesso lacchè Giuliano Dami. Anzi, con un’insinuazione infame, poche righe prima l’anonimo calunniatore dichiara che il Dami “vedendo il contraggenio di S.A. verso la moglie, s’adoprò seco di maniera, che le subentrò in sua vece: e novello Seiano al moderno Tiberio gli procurava ancora di simili trastulli.[7]” Difficile non rilevare il vero significato di quel “subentrare”, anche se più avanti il libellista sarà molto più esplicito. Soprattutto il parallelo della coppia Dami-Gian Gastone, con Tiberio-Seiano per quanto del tutto risibile sul piano storico, la dice lunga sulla affidabilità di un autore del genere…
Desideroso di mantenermi libero e quieto quel di sovranità che Iddio mi ha dato….
“Del foglio (?) molto vi ringrazio e sostanzialmente ho inteso quanto era passato tra V.S. e il marchese (?) e poi col signor conte (?) a Torino; avendo non meno ricevuto le giudiziose risposte date da lei rispettivamente all’uno e all’altro intorno alle ombre concepite su di noi, che possono cadere affatto; mentre io col divino aiuto cercherò di camminare con massime di buon Principe neutrale, nè di parzialeggiare con alcuno desideroso di mantenermi libero e quieto quel poco (porto?) di sovranità che Iddio mi ha dati [8]”. Così, pochi giorni dopo la morte di Cosimo III (30 ottobre 1723) e la propria salita al trono, Gian Gastone scriveva a Ferdinando Bartolommei, già rappresentante dello Stato toscano sotto Cosimo III a Vienna presso l’imperatore e confermato dal nuovo sovrano. L’epistolario con Bartolommei mostra un Gian Gastone assai attento alle variazioni della politica estera, deciso a giocare la sua partita cercando l’appoggio dell’Austria contro le pretese spagnole, soprattutto quella di introdurre in Toscana presidi di truppe per garantire la successione all’infante Don Carlos di Borbone, stabilita dal trattato di Londra nel 1718. L’azione del granduca e del suo ministro riscosse, almeno all’inizio, un certo successo:
“Da Vienna vedranno volentieri ch’ Ella conservi illesa la sua sovranità e ciò desiderano che sia per lunghissimo tempo e che V.A R. col suo chiaro discernimento troverà da se stessa assai normale quando rifletterà che nel segnare il trattato che dispone di codesta successione hanno già avuto in mente tutti quei cambiamenti possibili ad accadere in molti anni e capaci di mutare il sistema delle cose d’Italia, né mai soffriranno che gli Spagnoli pongano piede in codesti stati né in quelli di Parma prima del tempo stabilito.”[9]
Così Bartolommei a Gian Gastone in una lettera del gennaio 1724; il diplomatico è attentissimo in particolar modo a tutte le manovre che possano impedire l’ingresso di truppe spagnole nel granducato, soprattutto a Portoferraio e Livorno. Trattasi di un percorso ad ostacoli, in cui l’equilibrio venne sempre messo in gioco dai frequenti terremoti diplomatici internazionali. Ad esempio, con il trattato di Siviglia (9 novembre 1729), il problema della presenza delle guarnigioni ritorna sul tavolo: si stabilisce che 6.000 soldati sarebbero entrati nelle piazzeforti parmensi e toscane. “Neppure dal pericolo di un conflitto tra le potenze borboniche e l’Austria la Toscana poté trarre qualche beneficio, nonostante Gian Gastone tramite il suo inviato a Vienna, Bartolommei, cercasse sempre di far leva sui dissensi tra l’Austria e la Spagna” [10]. Affermazione puntualmente confermata dalla documentazione d’archivio, in particolar modo da una lettera del granduca al suo solerte e fidato rappresentante proprio del gennaio 1730: missiva dal tono chiaramente preoccupato.[11] Nella lettera, purtroppo non facilmente comprensibile, il granduca ribadisce la sua ferma intenzione di respingere le guarnigioni spagnole, cosa che gli riuscirà fino al 1731, quando l’evoluzione della situazione internazionale non glielo consentirà più (trattato di Vienna del 22 luglio 1731).E sSe si considera che Gian Gastone regnerà sino al 1737, non è certo un cattivo risultato. Sul piano della politica interna poi, i “buoni propositi” del nuovo sovrano si sarebbero spenti dopo un paio d’anni, per poi sprofondare nelle mani di Giuliano Dami e dei suoi accoliti, sui quali esiste una letteratura tanto maleodorante quanto poco affidabile. A costringere il granduca spesso a letto furono semmai le sue condizioni di salute, e soprattutto una brutta caduta occorsagli nel 1729. Ma a ridimensionare questo fosco e ambiguo quadro interviene anche una fonte di norma non certo favorevole al granduca, cioè il Diario Fiorentino (inedito) di Francesco Settimanni, il quale si indigna quando il granduca, cosa ch’egli soleva fare spesso, commuta condanne a morte in pene detentive:
“Il Serenissimo Granduca, dopo aver data l’audienza a vari ministri e personaggi, venne davanti la consulta, la quale durò due ore, ed in essa quando tutta Firenze era piena di ladri, e tutto lo stato di altri malfattori, S. A. R. permutò la sentenza di morte a cinque rei condannati alla morte.”[12]
Proprio il Settimanni, forse suo malgrado, ci ha lasciato un ritratto di alcuni giorni di carnevale spensierati e sereni, con il granduca che si mescola alla sua gente di tutti gli strati sociali. “XIV febbraio 1729:
Il Ser.mo Granduca alle ore 23: e mezzo uscì dal palazzo de’ Pitti insieme alla Serenissima Principessa Violante, e si portò alla piazza di Santa Croce, sulla quale era una gran quantità di maschere; quivi avendo veduti gli sbirri, che secondo il solito attestatisi sotto la casa de’ Lenzoni, facevano riverenza all’ A.S.R., chiamò il Bargello Bartolommeo Pochini alla carrozza, a cui con voce piuttosto alta che non disse: “Pochini vorrei un servizio da te, e so che me lo farai. Lascia andar la notte le maschere per la città e pe’ teatri, so che il Fiscale non vorrebbe, ma fammi questo servizio, lasciale, lasciale andare”. “E così fu data la licenza alle maschere che potessero di notte tempo andare dove volevano. Il Ser.mo granduca dopo di aver girato intorno alla piazza, d’aver vedute ballare alcune maschere che si erano schierate avanti la carrozza, portossi alla Commedia de gl’Istrioni , e di quivi con la medesima gran principessa Violante alla casa degli Incontri, dove dal sig. cav. Marchese Ferdinando Incontri (…) era imbandita una magnificentissima cena di cento trenta piatti caldi, alla quale le altezze loro sedettero insieme con molte gentildonne che oltre a quelle della corte furono intorno al numero di 24”.
Naturalmente il cronista non si lasciò sfuggire l’occasione di chiudere la serata con un ghiotto pettegolezzo:
“Intorno alla medesima tavola furono eziandio sopra 90 cavalieri, che tutti stettero molto allegramente, e più di ogni altro il Serenissimo Granduca il quale avendo bevuto soverchiamente ebbe alquanto di vomito, che incomodò non poco l’abito prezioso di una gentildonna, ch’ebbe quella sera l’onore di sedergli accanto. Dopo cena vi fu il ballo, che durò sino alle nove ore di quella notte, alla qual ora il Ser.mo Granduca fece ritorno al palazzo de’ Pitti. “[13]
Un quadro tutt’altro che fosco, decadente
o maleodorante.
[1] Vita di Gio.Gastone I settimo e ultimo granduca della R. Casa de’ Medici, Firenze, il “Giornale di erudizione” editore, 1886, p. 39. Sulle origini e il probabile autore di questo scritto, Luigi Gualtieri, un funzionario che, messo da parte dal governo Mediceo per imbrogli vari, cercherà di “riciclarsi” con il governo lorenese. Su questo libello, le sue origini e il suo “valore” cfr Patrizia URBANI, “Il principe nelle reti” in Gian Gastone (1671 -1737). Testimonianze e scoperte sull’ultimo Granduca de’ Medici (a cura di Monica Bietti),Firenze, Giunti, 2008, pp. 111-114.
[2] Giuseppe CONTI, Firenze dai Medici ai Lorena, storia, cronaca aneddotica, costumi: 1670-1737, Firenze, Giunti Marzocco 1987 (rist. dell’ediz. Firenze, R. Bemporad & figlio, 1909); Sir Harold ACTON, Gli ultimi Medici, Torino, Einaudi, 1962 e 1987.
[3] Riguccio GALLUZZI, Istoria del granducato di Toscana sotto il governo della Casa Medici, Firenze, Cambiagi, 1781 (rist. anastatica Cisalpino-Goliardica, Milano, 1974), vol. V
[4] Archivio di Stato di Firenze (d’ora in poi ASF) Mediceo del Principato, 2713, ins. 3, c 269 (r-v).
[5] Ibidem, p. 90.
[6] Vita di Gio.Gastone I … cit. p. 14.
[7] Ibidem, p. 13. Il corsivo è nostro.
[8] ASF, Mediceo del Principato, 1165, 13 novembre 1723.
[9] ASF, Mediceo del Principato, 1165, ? gennaio 1723 (la datazione è secondo il calendario fiorentino).
[10] Furio DIAZ, Il granducato di Toscana. I Medici, Torino, Utet, Torino, Utet, 1976, p. 522.
[11] ASF, Mediceo del Principato, 1167, c. 3, Gian Gastone a Ferdinando Bartolommei, 21 gennaio 1729 (secondo il calendario fiorentino).
[12] Francesco SETTIMANNI, Diario Fiorentino, ASF, Manoscritti, 143, c. 395 v., XVI ottobre 1729
[13] Ibidem, c.413 r/v.
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