Un personaggio sconosciuto e affascinante. Giornalista colto, esploratore, mercenario, avventuriero, trafficante, ma soprattutto protagonista di sbalorditive imprese di spionaggio nell’ambito di un intricato doppio gioco.
Amleto Vespa, le cui vicende sono ancora oggi coperte da non pochi punti oscuri, fu una delle più abili spie a livello mondiale, collegato si servizi segreti di mezzo mondo, e tuttavia sconosciuto ai più, come ogni spia degna di tale appellativo. Il suo nome è legato ai fatti più importanti degli anni precedenti la seconda guerra mondiale, e ad altri che ebbero luogo durante il conflitto stesso, fra i quali il cosiddetto “incidente della Manciuria” (dove visse a diverse riprese dal 1922 al 1940), la rivoluzione messicana di Emiliano Zapata, il Manchukuo, l’affare Kaspe, e l’intricata verità sull’attacco giapponese a Pearl Harbor.
Nacque a L’Aquila nell’aprile 1884, ultimo di cinque figli. Il padre era funzionario statale, la madre insegnante. Della sua prima infanzia si conosce molto poco, le notizie che si sanno provengono dalla sua stessa autobiografia, nella quale si definisce figlio di poveri contadini, alimentando il mistero. Abbandonò la campagna nel 1910 e si imbarcò per il Messico, affascinato dai racconti sui rivoluzionari messicani e decise di combattere contro gli insorti del celebre Emiliano Zapata. Successivamente, pare sia stato coinvolto anche in oscuri intrighi politici fra i governi dell’Europa orientale, in seguito a un non meglio precisato matrimonio di convenienza con una misteriosa contessa polacca. Raccontò di diversi viaggi negli Stati Uniti, Australia, Indocina francese e Mongolia, tuttavia non ci sono riscontri di una sua presenza in Messico, fra i fedeli del generale Francisco Madero.
Le cronache storiche, alcune lettere al fratello, e i documenti d’archivio, dicono fosse fervente ammiratore del primo Mussolini ideologicamente socialista, ostile all’ideologia all’amministrazione giapponese della Manciuria, e che lasciò l’Italia nel 1908 per San Francisco, poi fu a Vladivostok nel 1911 dove si mise al servizio dei servizi segreti delle forze di spedizione alleate. Nella città sovietica conobbe Jeannine (Nina), esule della rivoluzione russa, che nel 1917 divenne sua moglie. Nel 1920 la coppia passò il confine cinese e si stabilì a Harbin, dove Amleto Vespa lavorò al servizio di Zhang Tsuo-Lin, signore locale della guerra, fino all’assassinio di quest’ultimo nel 1928.
Il suo nome era già noto nel territorio, tanto che fu oggetto di un mandato di arresto ed estradizione, ricevuto dal Consolato italiano di Tianjin, per l’accusa di contrabbando di armi e traffico di stupefacenti, ma Vespa aveva agito d’anticipo contro tale eventualità, ottenendo la cittadinanza cinese, nel 1924.
Nel 1931, la polizia segreta Kempeitai, emise un ulteriore ordine di cattura, ma Vespa riuscì a fuggire sotto il naso degli agenti che lo stavano cercando, e che però prese in ostaggio la famiglia, costringendolo a costituirsi. Fu a questo punto che l’italiano accettò di lavorare per l’agenzia di spionaggio giapponese della Manciuria, sotto il falso nome di “Comandante Feng”.
Nel 1938, sempre in Manciuria, Amleto Vespa conobbe un reporter australiano, Harold John Timperley, corrispondente da Shangai per il “Manchester Guardian”, al quale rivelò diverse informazioni sulla propria vita, fino alla pubblicazione di un libro, nel quale era definito “agente segreto per conto del Giappone”, in seguito all’incontro con il capo del servizio segreto nipponico per il Manchukuo, del quale però non viene rivelato il nome, ma solo il fatto che era di alto rango e appartenente alla nobiltà del Sol Levante.
Secondo le conversazioni avute con i suoi referenti, Vespa riferì che i giapponesi volevano che la colonia del Manchukuo fosse finanziariamente autosufficiente e, in tale contesto, gli sarebbe stato ordinato di compilare rapporti su ricchi membri della comunità ebraica di Harbin, russi bianchi e altri residenti stranieri e cinesi. Fu anche incaricato di reclutare gruppi di ribelli per sabotare la ferrovia cinese dell’Estremo Oriente, che era gestita dal governo sovietico.
Vespa affermò che i giapponesi vendevano ai racket monopoli per gioco d’azzardo, prostituzione e traffico di oppio, per sostenere finanziariamente la conquista della Cina. Nella sola Harbin, Vespa contava 172 bordelli, 56 fumerie d’oppio e 194 negozi che vendevano narcotici. Tuttavia, la situazione era confusa perché c’erano cinque distinte organizzazioni di sicurezza giapponesi in Manciuria, spesso in contrasto fra loro, e i singoli ufficiali a volte tenevano per sé il denaro destinato a pagare le armi giapponesi. Vespa vendette protezione ad altri racket e organizzò incursioni di gang contro i rivali dei monopoli.
Vespa affermò inoltre che le aree coltivate a papavero da oppio aumentarono rapidamente dopo il 1932 e che dal 1937 l’oppio fu inviato in Cina, come “materiale militare” per l’esercito imperiale giapponese. In località senza presidi militari nipponici, le spedizioni furono inviate ai consolati giapponesi. Le navi della marina imperiale trasportavano droghe in città lungo le coste cinesi e le motovedette facevano lo stesso sui principali fiumi cinesi. Vespa supponeva che queste spedizioni avessero lo scopo di demoralizzare le truppe nemiche e ridurne l’efficacia in combattimento, inoltre raccontò che molti monopoli furono assegnati a coreani e che includevano tentativi di estorcere denaro alla popolazione locale.
Nei colloqui con il giornalista australiano, Vespa raccontò anche molti dettagli sul cosiddetto “Caso Kaspe”, cioè sul sequestro di Simon Kaspe, figlio di Joseph Kaspe, importante uomo d’affari ebreo che possedeva il “Moderne Hotel”, principale luogo di incontro e traffici vari della città di Harbin. Simon Kaspe, cittadino francese, fu rapito mentre visitava Harbin il 23 agosto 1933 e si diceva che i responsabili fossero una banda criminale di russi bianchi. Quando la pressione diplomatica straniera obbligò le autorità giapponesi ad arrestare i rapitori, per rappresaglia Simon Kaspe fu ucciso, e Vespa raccontò la scoperta del cadavere mutilato nel novembre 1933 fuori Harbin, e sembra che i racconti di episodi simili furono per altro numerosi.
Vespa riferì, inoltre, che gli agenti segreti giapponesi, lui stesso compreso, erano incaricati, fra le altre cose, di impedire che le denunce e le petizioni presentate dalla popolazione locale, giungessero all’esame della Commissione Lytton che, nel 1931 era stata incaricata, con mandato della Società delle Nazioni, di svolgere un’inchiesta ufficiale sull’incidente di Mukden del settembre ’31, ovvero della distruzione del collegamento ferroviario che aprì la via alla conquista giapponese del Manchukuo.Per la cronaca, la Commissione Lytton era formata dal britannico Conte di Bulwer-Lytton come presidente, coadiuvato dal generale americano Frank Ross McCoy, da Heinrich Schnee (Germania), dal conte Luigi Aldrovandi Marescotti (Italia) e dal generale Henri Claudel (Francia), e fu in Manciuria per sei settimane, nella primavera del 1932 nel tentativo di accertare i fatti, anche tramite l’incontro con i capi di governo della Repubblica di Cina e del Giappone. L’intento della spedizione era di placare le ostilità tra il Giappone e la Cina e di contribuire quindi a mantenere la pace e la stabilità nell’Estremo Oriente. Tuttavia, nonostante l’impegno, la Commissione non fu in grado di chiarire in modo sufficiente i fatti.
Dopo non molto tempo, dal momento che Vespa, ufficialmente agente segreto per conto del Giappone, in realtà era contrario all’occupazione nipponica del Manchukuo, fu smascherato nel suo doppio gioco, e costretto a fuggire a Shangai nel 1936. Due anni dopo, il libro “Secret agent of Japan”, scritto dal reporter australiano, venne pubblicato a Londra e riscosse un successo più che discreto.
I guadagni gli offrirono la possibilità di viaggiare, con passaporto cinese, fra Hong Kong e New York nella seconda metà del 1939, sotto il falso nome di Amleto Dechellis, ufficialmente giornalista. Tornato a Shangai nel settembre 1940, venne arrestato dal Kempeitai e imprigionato con l’accusa di essere un agente informatore per conto degli Stati Uniti ma, in quanto di nascita italiana, considerato comunque un alleato del Giappone e, come tale, non soggetto a condanna. Nel frattempo, avvenne l’attacco a Pearl Harbor e gli Stati Uniti entrarono di fatto nella seconda guerra mondiale. Nel frattempo, nacquero due figli, che la moglie Nina decise di portare in America dove Genevieve, la figlia, divenne interprete per conto della Lega delle Nazioni e il figlio Italo cambiò identità e divenne ingegnere aeronautico.
Anche la morte di Amleto Vespa rimane avvolta nel mistero. Non si sa infatti quando avvenne di preciso, ma si parla di un periodo fra il 1942 e il 1944.
Dopo la guerra, Genevieve fu convocata dall’ambasciata italiana a Shanghai, che gli presentò alcuni documenti secondo i quali il padre era stato fatto prigioniero dai giapponesi e deportato Taiwan, forse a Formosa, o forse in un’isola delle Filippine, dove fu in seguito processato e giustiziato. Tuttavia, insieme alla maggior parte dell’archivio, questi documenti furono distrutti in un misterioso incendio all’interno dell’ambasciata.
Leggenda e verità storica
Ulteriori ricerche sulla figura di Amleto Vespa, chiariscono in parte le misteriose vicende delle quali fu protagonista, anche se molti dati sono contraddittori, a partire dal foglio di congedo militare, secondo il quale Vespa lasciò il servizio in base a un articolo del Codice del Regio Esercito che, a ben vedere, risulta inesistente.
Nella biografia ufficiale, il giovane Amleto, a seguito di una colluttazione con un guardia-caccia che aveva scoperto suo fratello nelle campagne aquilane in un periodo vietato dalla legge, decise di lasciare l’Italia e di imbarcarsi per il Messico dove, rimasto impressionato dalla brutale dittatura di Porfirio Diaz, sarebbe diventato guerrigliero con il grado di capitano nell’esercito rivoluzionario del generale Francisco Madero, che assieme a Pancho Villa e, per un certo periodo, a Emiliano Zapata, fu protagonista della rivoluzione messicana. Versione poco convincente perché pare che Amleto Vespa non sia nemmeno mai stato in Messico, in quanto non vi sono tracce, negli archivi messicani, di un ufficiale italiano in prima linea a fianco di Madero. E’ possibile invece che Vespa abbia detto di aver iniziato il suo viaggio dal Messico, per accreditarsi e mascherare il vero motivo per cui era stato congedato dal servizio militare: l’ingresso nei servizi segreti.
In base ad alcune notizie di Angela Vespa, figlia del fratello di Amleto, e a lettere da questa messe a disposizione, risulta evidente che i racconti al giornalista australiano Timperley, pur ricchi di particolari storici molti specifici, sono in contrasto con alcuni dati storici.
Pare esatta la notizia secondo cui Amleto Vespa avrebbe abbandonato l’Italia nel 1908, in direzione San Francisco, per poi dirigersi a Vladivostok, dove in quegli anni vi erano cantieri con molti lavoratori italiani, impiegati nella costruzione della ferrovia Transiberiana. Molti erano originari di Rocca di Cambio e Rocca di Mezzo, richiesti in quanto abilissimi scalpellini, che sapevano come perforare le montagne. Vespa si unì a loro e, poco prima del 1915, si trasferì in Siberia, si presume come agente segreto per conto dell’esercito italiano. Elementi di sospetto sul ruolo di intelligence che ricopre sono i numerosi spostamenti prima della Grande Guerra, e il fatto che fosse uno dei pochi italiani a non essere richiamato alle armi, a giudicare dal foglio matricolare.
Forse neanche lui sapeva che si sarebbe trovato, di lì a poco, al centro dei maggiori intrighi internazionali del tempo. Nel 1917, infatti, scoppiò la Rivoluzione d’Ottobre e Vespa raggiunse il confine fra Siberia e Manciuria. Si occupò di import-export di macchinari agricoli e, probabilmente, ebbe un ruolo di appoggio ai menscevichi che, in lotta con i bolscevichi, si raccoglievano proprio lungo quel confine. Fu questo il periodo in cui conobbe la moglie Anna Nina, un’aristocratica di lontane origini polacche, e qui sta il richiamo alle vicende che Amleto Vespa avrebbe passato in Europa orientale, e il collegamento con il misterioso matrimonio qui celebrato.
Negli anni successivi, a seguito della sconfitta dei russi bianchi contro i bolscevichi, Vespa si rifugiò in Manciuria, dove ebbe inizio un nuovo periodo, che gli procurò non pochi fastidi. E’ confermato il fatto che, all’inizio degli anni Venti, visse con la moglie ad Harbin e diventò una sorta di capo dell’intelligence del potente governatore della Manciuria, il signore della guerra Zhang Tsuo-Lin. Per suo conto, Vespa cercò di controllare il traffico d’armi fra Italia e Cina, infastidendo non poco il governo italiano, che da poco era in mano a Benito Mussolini, ma che tuttavia ancora non riusciva a controllare i flussi di affari segreti con la lontana Cina.
E’ vero che Vespa, in questo periodo amministra l’Atlantic Theater (teatro-cinema di Harbin) ed è editore di un piccolo giornale russo-cinese, come è vero che, nel 1922 fu arrestato, e trattenuto a lungo nell’ambasciata italiana. Due anni più tardi ottenne la cittadinanza cinese, probabilmente sotto pressioni del potente e Zhang Tsuo-Lin, con il quale rafforzò il sodalizio criminale.
A questo punto, le notizie si fanno fumose, soprattutto a causa dello scoppio della guerra fra Cina e Giappone per la conquista della Manciuria, conflitto che determinò il declino delle attività di Vespa nella zona di Harbin, anche in seguito all’uccisione del proprio protettore locale, il quale venne assassinato durante in viaggio in treno (probabilmente da una banda criminale rivale o dagli stessi giapponesi che non avevano intenzione di soddisfare le troppo esigenti richieste), per avere favorito l’ingresso delle truppe giapponesi in seguito ad accordi politici segreti e a sostanziosi pagamenti.
Nella biografia scritta da Timberley, Vespa raccontò delle numerose atrocità compiute dai giapponesi e, per questo, a causa delle minacce alla famiglia, all’arresto e maltrattamento della moglie, fu costretto a collaborare con gli occupanti, diventando il “Comandante Feng” (che in giapponese significa appunto “vespa”), e tuttavia più che mai intenzionato ad offrire il proprio appoggio, dandosi quindi al doppio gioco, passando regolarmente informazioni ai guerriglieri nazionalisti del Manchukuo.
Corrisponde al vero che, una volta scoperto, fuggì a Shangai nel 1936, sempre ricercato dai giapponesi e in aperta opposizione al regime fascista, a causa dell’asse Roma-Berlino-Tokyo. Da allora, come ogni agente segreto che si rispetti, fece perdere le proprie tracce. Da alcune informazioni, non confermate ufficialmente, sembra si sia rifugiato nella concessione francese a Shangai, dopo l’invasione giapponese della città, per poi riuscire a raggiungere gli Stati Uniti con un passaporto in cui il falso nome era in realtà quello della famiglia della madre, De Chellis.
E’ certo che una sola verità sulla vita di Amleto Vespa non è ancora stata scritta, e forse non lo sarà mai. In molti sostengono che il regime di Mussolini abbia voluto distruggere tutte le tracce degli affari segreti fra Italia e Cina, che avrebbero compromesso l’integrità ideologica del fascismo. Di fatto è sicuro il suo ruolo di personaggio scomodo: inviso ai fascisti per via della sua autonomia in Cina, e sgradito a chi il regime lo combatteva perché, in fondo, era pur sempre una spia a servizio dello Stato, la più fedele versione della realtà si dice sia custodita negli inaccessibili archivi dei servizi segreti giapponesi.
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