La travagliata storia del popolo albanese percorre alcuni tratti comuni con quella italiana, dai tempi dei romani a Mussolini, passando per le Repubbliche marinare. Uno sguardo storico d’insieme per tracciare il percorso di una Nazione con un futuro ancora tutto da scrivere.
Non è un azzardo definire l’Albania la ventunesima regione italiana, tale è stata la nostra sfera d’influenza nella storia locale.
Nei secoli è stato latente, negli schipetari,un vero senso di unità nazionale, complice la partizione imposta dalla geografia che divise de facto il paese in province, feudi e sfere d’influenze.
La Schiperia, antica provincia dell’Illiria, subì l’influenza dei greci e dei macedoni; nel secondo secolo d.C. Claudio Tolomeo (100-175) definì gli abitanti del luogo nel primo documento della storia in cui viene citato il nome Albania “Nido di nomadi pastori, bellicosi e robusti.”
Gli albanesi furono sempre uomini liberi, nessuna dominazione modificò usi e costumi locali radicati nella mentalità delle genti, che tuttavia non riuscirono a far proprio un concetto di patria, se non recentemente.
Anche sotto il console romano Lucio Emilio Paolo (229 a.C.-160 a.C.) la romanizzazione, pur procedendo con i metodi infallibili della Repubblica (esercito, leggi, strade), fu solo di facciata, dato che ordinamenti tribali ed usi locali rimasero inalterati; sotto Diocleziano (244-313) sortì effetti positivi la suddivisione in Dalmazia e Macedonia, ma ancor di più la creazione della via Egnazia che collegava l’Albania alla Turchia passando da Grecia e Macedonia.
Fu un momento di luce per la Schiperia, la cui vita evolse in senso occidentale con la latinizzazione di molte tribù, che donarono all’Impero Romano d’Oriente un abile imperatore: Anastasio I (430-518).
Con la decadenza bizantina l’Albania si trovò ad essere crocevia del mondo balcanico, legato alla Roma d’Oriente, ed occidentale, grazie al suo affacciarsi sull’Adriatico.
In questo contesto i contatti con l’Italia ripresero a pieno ritmo grazie ai commercianti veneziani, che dopo alterne vicende arrivarono a dominare l’Adriatico.
Siamo ormai nel secolo XIII, periodo segnato dall’egemonia serba sotto re Stefano Dušan (1308-1355), lungimirante sovrano che instaurò un vero quanto effimero impero serbo, caratterizzato anche dagli ottimi rapporti commerciali con Venezia.
Grazie a tali contatti la fede cattolica non si spense nelle popolazioni albanesi, per lo più ortodosse, dato che i veneziani solevano costruire chiesette anche nei luoghi più impervi.
Stefano Dušan (1308-1355) riuscì a garantire una certa governabilità alla regione, ma alla sua morte il potere centrale si dissolse, favorendo l’anarchia.
In questo contesto, alla fine del XV secolo, da oriente giungono gli invasori turchi. Con l’arrivo degli invasori islamici ottomani ha inizio una delle fasi cruciali della storia albanese. Tra una scorreria ed un massacro, infatti, i turchi fecero quanto in loro potere per convertire a forza le popolazioni locali all’islam.
L’avanzata ottomana fu rapida, in gran parte a causa delle diatribe interne ai cristiani balcanici. Il 15 giugno 1389 si giunse così alla “battaglia della piana dei merli”, in Kossovo, che segnò la distruzione del Regno di Serbia ed il tramonto della speranza albanese di un futuro legato all’Occidente.
Grazie ai veneziani, tuttavia, alcune zone costiere restarono libere dall’occupazione islamica, dando anche la possibilità ad una guerriglia sui monti di tenere viva la fiaccola dell’indipendenza albanese.
Venezia non si limitò a combattere, ma ristrutturò il porto di Durazzo per soddisfare le necessità della difesa ed al contempo la funzionalità dei commerci. Sovrastata tuttavia da uno squilibrio di forze, quando il tracollo sembrava imminente ecco irrompere sulla scena Giorgio Castriota Scanderbeg (1405-1463), ad illuminare di un ultimo bagliore l’imminente tramonto dell’Occidente in Albania. Scanderbeg, figlio di un signorotto locale, fu preso in ostaggio e condotto a Costantinopoli, il suo nome trasformato in Skander e gli fu imposto di abbracciare la religione islamica. Divenuto armigero del Sultano, fuggì dai propri commilitoni rifugiandosi a Kruja e qui, conoscitore dei segreti militari della mezzaluna, organizzò la resistenza nazionale contro l’invasore.
Figura eroica e romantica, il Castriota animò le fantasie popolari per ventiquattro anni fondando la Lega di Alessio, alleanza che per la prima volta riunì sotto un’unica insegna tutti i clan del Paese, nel primo abbozzato barlume di identità nazionale.
Celebre anche in Occidente, specie a Venezia e presso le corti di Napoli e pontificia, divenne il simbolo della resistenza cristiana all’islam. La sua morte, nel 1468, segnò la fine di un’epoca.
L’eredità dell’eroe albanese passò ai veneziani, che pur impegnandosi strenuamente e collaborando con i guerriglieri delle montagne, non riuscirono a contrastare a lungo le preponderanti forze ottomane.
Con la definitiva espulsione di Venezia dalla Schiperia molte famiglie aristocratiche si rifugiarono in Italia, i rivoltosi si rifugiarono sulle alture, mentre altri fuggirono dalla terra natia verso i paesi limitrofi.
In Grecia e negli altri Paesi balcanici gli albanesi costituirono varie comunità, costituendo delle enclave in territorio straniero, mentre la diaspora albanese in Italia trovò compensi ed aiuti che ne favorirono l’integrazione e la diluizione nel tempo.
Il concetto che l’italiano medio ha degli albanesi non si discosta molto dalle navi cariche di profughi che dopo la caduta del muro di Berlino invasero le coste pugliesi, ma vi fu una precedente diaspora da oltre Adriatico, composta da prodi combattenti che non vollero piegarsi all’islam. Risultato della conquista turca e della fuga di molti dei suoi figli più prodi fu che d’Albania si trovò impoverita d’intelletto e di braccia, consegnata all’oblio dell’oscurantismo musulmano. I turchi cominciarono a scardinare l’ordinamento sociale trasformando le classi in caste, paralizzando i traffici e la circolazione di ogni cosa, dalle persone alle idee. La nuova classe dirigente, al soldo di Costantinopoli era garante di un controllo militare assoluto, ed il Paese sprofondò nell’arretratezza che scavò un solco mai più colmato con l’Occidente.
Odio e rancore si tramandarono di generazione in generazione, con bey e pascià che ricorrentemente concepivano piani di rivolta contro Costantinopoli, ma sempre per ambizione personale, mai in nome di una riscossa nazionale.
Tra i più celebri vi fu Ali Pascià Tepeleni (1744-1822), che riuscì a riunire in rivolta sotto un’unica insegna l’Epiro, la Tessaglia e l’Albania. Morì fatto decapitare dal sultano Mahmud II (1789-1839), che annientò ogni velleità rivoluzionaria nel 1824. Nel nord albanese altri tre condottieri ribelli fecero la stessa fine.
Tuttavia secoli di dominazione fecero sì che le conversioni all’islam divenissero la norma, facendo dei ribelli sulle montagne un’esigua minoranza. Tale fu “l’ottomanizzazione” dell’Albania che nel corso dei secoli diede ai sultani diciotto gran visir, il primo viceré d’Egitto e molte truppe leali alla mezzaluna.
Per tali ragioni le potenze firmatarie del Trattato di Santo Stefano del 1878, pur così duro verso la Turchia, lasciarono ad essa la maggior parte del territorio schipetaro.
Ma il sentimento nazionale, incubato dagli albanesi nei secoli e venuto prepotentemente alla ribalta proprio dopo il Trattato di Santo Stefano, fece sì che tra il 1912 ed il 1914 nascesse, finalmente, un Regno d’Albania indipendente, a seguito della Prima Guerra Balcanica, conflitto che vide il dominio ottomano sui Balcani quasi completamente distrutto. Alla Conferenza di Londra e sotto l’egida dei governi di Roma e Vienna furono tracciati in confini dell’Albania, che faceva così, per la prima volta, il proprio ingresso nella Comunità delle Nazioni europee.
Malgrado la raggiunta autodeterminazione la strada per un periodo di pace e serenità sarebbe stata ancora lunga. Con un governo centrale pressoché impotente Grecia e Serbia non avevano rinunciato alle proprie mire espansionistiche, dunque l’Italia rispose occupando Valona mentre l’impero asburgico, travolto dalla Prima Guerra Mondiale, scomparve dalla scena.
L’Italia patrocinò anche l’ingresso dell’Albania nella Società delle Nazioni, impegnandosi a difendere l’integrità territoriale ove fosse minacciata e a ristabilire le frontiere ove fossero violate. Fu istituita con capitale prevalentemente italiano la Banca Nazionale d’Albania (1928), fu creata la S.V.E.A. (Società per lo sviluppo economico dell’Albania) che procurò al neo Stato un prestito da 70.500.000 franchi oro, atti a promuovere un piano industriale di opere pubbliche. Furono infine attuate una riforma legislativa, una commerciale ed una scolastica, tutte su modello di quelle italiane. Sempre nel 1928 l’Italia appoggiò l’incoronazione a re d’Albania di Zog I (1895-1961). Il regno di Zog si sarebbe interrotto nel 1939, a seguito dell’occupazione italiana.
Le vicende della seconda guerra mondiale sono note, con la dura guerra partigiana ed il Paese finito nell’orbita comunista dal 1945 fino alla caduta del muro di Berlino (periodo durissimo dominato dalla figura del despota leninista Enver Oxa).
In un certo senso possiamo dire che la storia d’Albania è appena cominciata.
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