Nel febbraio del 1941, in concomitanza con l’attacco e l’invasione di Sumatra, Giava, Bali, Sumbawa, Flores, Sumba e Timor, isole facenti parte del grande arcipelago indonesiano, il Comando Supremo giapponese iniziò a pianificare la sua strategia aerea e navale in direzione del continente oceanico, promuovendo, prima ancora che tutte le colonie olandesi cadessero in suo possesso, un articolato programma di ricognizioni e bombardamenti dei principali centri civili e militari disseminati lungo la costa australiana del nord. Nella fattispecie, le città, i porti, gli aeroporti e i nodi e depositi ferroviari e logistici che attirarono subito l’attenzione dei giapponesi furono quelle ubicati nelle regioni di Kimberley, nella Terra di Arnhem, nella penisola di Capo York e nell’area nord orientale dell’immenso Paese: Darwin, Wyndham, Derby, Broome, Somerset (Capo York) e, in un secondo tempo, le lontane Mossman, Cairns e Townsville. Il 18 febbraio1942, quattro delle sei portaerei giapponesi che il 7 dicembre 1941 avevano partecipato all’attacco a sorpresa alla base di Pearl Harbour, attraversarono, da nord verso sud, lo stretto che separa l’isola di Timor da quella di Yamdema, penetrando nel Mare di Arafura e poi nel Mar di Timor, il braccio d’acqua che separa l’isola indonesiana dalla Terra di Arnhem, la propaggine settentrionale del continente australiano. La formazione (che disponeva di circa 200 tra caccia, bombardieri in picchiata, bombardieri orizzontali e aerosiluranti del tipo Mitsubishi A6M2 Reisen-Zero, Aichi D3A1-VAL e Nakajima B5N2 si avvicinò indisturbata fino a 300 miglia dalla costa australiana e all’alba del 19 febbraio, dai ponti delle portaerei nipponiche si levò una prima ondata di 81 tra caccia e bombardieri destinati a colpire il porto di Darwin, nodo viario e logistico di prima importanza e capolinea dell’unica strada ferrata che collegava la costa nord al resto del Paese. Verso le 6,30 del mattino, la grossa formazione aerea giapponese sorvolò compatta l’Isola di Bathurst, mettendo in allarme i frati della locale missione cattolica che, resisi subito conto dell’imminente pericolo, telegrafarono l’avvistamento al Comando della RAAF di Darwin. Incredibilmente però la segnalazione non venne presa sul serio e dopo neanche mezz’ora sull’inerme città australiana si scatenò il finimondo.
Nell’arco di appena quaranta minuti i bombardieri e i caccia giapponesi tempestarono di ordigni da 60, 250 e 500 chilogrammi e di migliaia di proiettili da 7.7 e da 20 millimetri tutti gli obiettivi navali e terrestri, contrastati da un debole e disordinato fuoco antiaereo. I bombardieri Aichi VAL si accanirono soprattutto contro le 35 navi, mercantili e militari, ancorate in porto, affondandone otto (1), compreso un grosso trasporto truppe australiano e un cacciatorpediniere statunitense, il Peary.(1.190 tonnellate di dislocamento). Un’altra dozzina di piroscafi venne danneggiata più o meno gravemente. Saturati gli obiettivi navali, i bombardieri che ancora disponevano di ordigni colpirono in rapida successione l’idroscalo (dove vennero distrutti tre idrovolanti Catalina), i depositi di carburante e le officine dello scalo, la centrale telefonica, gli uffici governativi, la stazione ferroviaria e l’ospedale della RAAF, causando la morte di 243 tra militari e civili e il ferimento di altre 350 persone. Contemporaneamente, i caccia nipponici mitragliarono a fondo l’aeroporto sul quale, disgraziatamente, risultavano in fase di atterraggio gli unici 10 caccia Kittyhawks di cui disponeva la base (la formazione, il 33° Squadron Usa, era decollata poco prima dell’attacco giapponese alla volta di Giava, dove le forze di terra olandesi, inglesi e americane stavano ancora resistendo agli attacchi giapponesi, ma era stata subito richiamata alla base quando all’orizzonte avevano fatto la loro comparsa i velivoli nemici). Appena posate le ruote sulla pista, tre Kittyhawks furono immediatamente distrutti dal fuoco degli Zero che abbatterono in volo altri cinque aerei statunitensi. Il comandante della squadriglia americana, tenente Robert G. Oestreicher, riuscì però a colpire due caccia giapponesi. Verso mezzogiorno, una seconda ondata di 80 apparecchi nipponici piombò nuovamente su Darwin, completando il lavoro e non incontrando praticamente alcuna resistenza, salvo il fuoco antiaereo leggero di poche postazioni.
Secondo il resoconto del Comando Militare australiano: “l’attacco giapponese del 19 febbraio devastò non soltanto la città ma anche il morale dei suoi abitanti e, cosa molto più grave, quello delle truppe che, salvo eccezioni, si fecero prendere dal panico in maniera deplorevole […] Durante il bombardamento si verificarono diserzioni dai posti di combattimento e nella zona urbana, addirittura, atti di saccheggio ai danni di negozi e abitazioni civili colpite”. Il raid del 19 febbraio fu il primo dei 64 che i giapponesi effettuarono fino al 12 novembre 1943. Da quella data, essendo radicalmente cambiate le sorti del conflitto a tutto favore degli alleati, le forze aeree giapponesi dislocate a Timor (che nel frattempo era diventata la principale base di partenza dei bombardieri nipponici impiegati contro le coste australiane) si limitarono ad effettuare soltanto rari voli di ricognizione sul territorio nemico, l’ultimo dei quali, sembra, venne compiuto il 25 giugno 1944 da un isolato bimotore Mitsubishi “Betty” (3) che venne abbattuto da un caccia Mustang. Dal 19 febbraio al 17 marzo, data di arrivo del 49° Gruppo Caccia Usa montato su Kittyhawks, Darwin rimase pressoché indifesa. E in questo periodo, stranamente, i giapponesi allentarono la presa (caccia nipponici effettuarono due soli attacchi leggeri sull’aeroporto, il 4 e il 16 marzo, distruggendo un paio di ricognitori Hudson). Ma se i difensori di Darwin poterono tirare un sospiro di sollievo, non fu così per gli abitanti della tranquilla e lontana cittadina costiera di Broome, importante centro ferroviario situato tra Derby (che verrà anch’essa attaccata il 20 marzo) e Port Hedland. All’alba del 3 marzo, 20 bombardieri “Betty” a grande autonomia colpirono duramente la località distruggendo la stazione ferroviaria, 16 idrovolanti Catalina e Dornier Do.24 alla fonda e causando la morte e il ferimento di un centinaio di persone. L’attacco venne ripetuto, il 20 marzo, da altri 15 “Betty” e costrinse le autorità militari australiane e predisporre urgentemente l’installazione in loco di alcune batterie antiaeree. Sempre nel mese di marzo (il 3 e il 23), otto “Betty” di base a Timor fecero visita ai depositi di petrolio di Wyndham ( (Kimberley) incendiandoli.
Il 28 marzo, i caccia del 49° Gruppo, grazie alle indicazioni fornite da un impianto radar giunto dagli Stati Uniti sei giorni prima, ottennero la loro prima vittoria e nel corso delle incursioni del 27 e 28 marzo riuscirono ad abbattere o danneggiare gravemente 31 tra caccia e bombardieri giapponesi provenienti da Timor, accusando la perdita di 8 aerei. Tra il 27 aprile e il 1 maggio 1942, i giapponesi effettuarono otto attacchi consecutivi con formazioni ciascuna mediamente composte da 20 caccia e 25 bombardieri orizzontali. Durante i quattro giorni di combattimenti, i Kittyhawks (decentrati per motivi di sicurezza sull’aeroporto di Darwin e su quelli vicini di Batchelor e Adelaide River) abbatterono 13 aerei nemici perdendone quattro. E il 16 giugno, il tenente Andrew Reynolds buttò giù il suo quinto avversario guadagnandosi la fama di “asso”. Dalla metà di giugno alla fine di luglio, il Comando Aereo nipponico di Dili (Timor) interruppe, salvo qualche volo di ricognizione sull’area del Kimberley, tutti gli attacchi in massa, per via della crescente carenza di carburante (dall’estate del ’42, i sommergibili americani, statunitensi e olandesi, soprattutto quelli di base a Fremantle, iniziarono ad operare con successo e sempre più frequentemente nelle acque indonesiane e in quelle della Nuova Guinea, colpendo duramente il traffico mercantile nemico e mandando in crisi il sistema di approvvigionamento delle numerosissime guarnigioni giapponesi disseminate in quegli arcipelaghi. Timor, in particolare, essendo delle isole occupate una delle più distanti dalla madrepatria risultava essere quindi quella che con più difficoltà riusciva a ricevere adeguati rifornimenti. Per contro, gli australiani, grazie ai cospicui aiuti provenienti dagli Stati Uniti, iniziavano a consolidare e potenziare le difese aeree e terrestri di tutta la costa nord occidentale e orientale (in data 25 luglio, tanto per fare un esempio, nei dintorni della sola Darwin risultavano operativi ben 3 stazioni radar americane e sei aeroporti protetti da numerose batterie antiaeree inglesi dotate di riflettori e di pezzi da 20, 37, 40 e 102 millimetri). Il 30 luglio, i giapponesi si rifecero comunque vivi, lanciando contro il porto di Darwin 27 bombardieri bimotori Mitsubishi scortati da 15/20 caccia Zero. Accolti da un violentissimo fuoco di sbarramento e assaliti da non meno di 40 Kittyhawks, i giapponesi persero quasi subito 9 aerei, subendo danni ad altri dieci.
Disorientata dalla reazione alleata, la formazione giapponese ebbe difficoltà a centrare gli obiettivi stabiliti e in breve dovettero rientrare a Timor perdendo in mare lungo il tragitto un paio di bombardieri danneggiati. Il 23 agosto, dopo una lunga sosta dovuta alle costrizioni imposte dal Comando Supremo di Tokyo, quasi totalmente assorbito dagli impegni derivanti dalle campagne aeronavali del Pacifico, la Forza Aerea di Timor riprese le attività. E in quella data inviò una ventina di bimotori e altrettanti caccia contro l’aeroporto di Hughes, situato a cinquanta chilometri da Darwin. L’attacco riuscì solo in parte (vennero distrutti alcuni caccia sulla pista e un paio hangar e di depositi di carburante) perché dalle altre basi della zona decollarono rapidamente 18 Kittyhawks del 49° Gruppo, agli ordini del tenente James B. Morehead. I caccia statunitensi abbatterono 15 aerei nemici, due dei quali tirati giù dallo stesso Morehead che con questa bella azione divenne il secondo “asso” alleato della Terra di Arnhem, con cinque vittorie accreditate. Nello scontro, gli americani non subirono alcun danno. A conti fatti, nel corso di cinque mesi di attività, il 49° Gruppo aveva totalizzato 72 vittorie contro la perdita di 17 velivoli. Molto impressionato dalla crescente forza dell’avversario, il Comando Aeronautico di Timor decise, già a partire dalla fine di agosto, di effettuare soltanto nelle ore notturne la maggior parte delle azioni di bombardamento su Darwin e dintorni. L’antiaerea australiana dovette infatti attendere la fine di novembre del ’42 per vedere volteggiare nuovamente nei cieli di casa e alla luce del sole una consistente formazione nemica. Il 23 novembre, dopo quasi due mesi di inattività diurna (nell’ottobre erano stati effettuati soltanto cinque attacchi contro Darwin e 7 contro Batchelor, Pell e la penisola di Cox), i giapponesi effettuarono un’impegnativa ricognizione su Katherine (località piuttosto interna, situata a sud-est di Darwin) e le tre notti successive una ventina di bimotori Mitsubishi colpì il porto di Darwin e l’aeroporto di Hughes, perdendo un solo aereo, nonostante l’intervento dei caccia notturni del 77° Squadron della RAAF. Alla fine di gennaio 1943, il sistema difensivo dei territori nord australiani venne ulteriormente rafforzato dall’arrivo di tre nuovi Squadron montati su Spitfire MkIX (il n.54 della RAF e i n.452 e 457 della RAAF, dislocati rispettivamente a Darwin, Strauss e Livingstone) e gli attacchi giapponesi iniziarono giocoforza a rarefarsi, anche per la crescente penuria di carburante, pezzi di ricambio e bombe. Tra il 2 e il 15 marzo, il Comando Aereo di Timor riuscì ancora mettere insieme 30 bombardieri e 20 caccia e a lanciarli contro Darwin e contro la base di Coomalie che aveva ricevuto da non molto i nuovi caccia pesanti notturni Bristol Beaufighter. Durante i combattimenti gli Spitfire del 452° Squadron abbatterono 10 aerei nemici, perdendone quattro. Il 2 maggio del ’43, venti Mitsubishi e 20 “Zero” ritornarono su Darwin, venendo accolti dagli “Spit” che ne abbatterono sicuramente 7, più probabilmente altri quattro. Il 9 maggio, una mezza dozzina di “Zero” mitragliò a bassa quota l’aeroporto dell’isola di Millingimbi, danneggiando alcuni Spitfire: operazione che venne ripetuta il giorno 28 e che portò alla distruzione, in combattimento, di 3 aerei giapponesi e 2 australiani. All’alba del 20 di giugno, ventuno “Betty” e 21 “Zero” attaccarono nuovamente il porto di Darwin, colpendo le infrastrutture e alcune unità all’ancora. In questa azione i giapponesi persero 9 bombardieri e 5 caccia, mentre gli australiani accusarono l’abbattimento di 2 “Spit”. A partire dalla fine di giugno, il Comando nipponico di Timor decise di concentrare tutti i suoi ultimi sforzi essenzialmente contro le basi aeree alleate dalle quali ogni giorno si levava un numero sempre più massiccio di bombardieri impiegati per martellare le installazioni navali e militari giapponesi di Flores, Sumba, Sumbawa e della stessa Timor. Il 30 giugno, ventisette “Betty” scortati da 23 “Zero” colpirono duramente la base di Fenton, situata 150 chilometri a sud di Darwin, riuscendo a distruggere 7 quadrimotori B24 Liberators e 6 “Spit” contro la perdita di 6 bombardieri e due caccia. L’azione venne poi ripetuta il 6 luglio e portò alla distruzione di 8 “Spit” e alla perdita da parte giapponese di 7 bombardieri e 2 caccia di scorta. I relativi successi ottenuti rinfrancarono lo spirito dei piloti nipponici che con coraggio e determinazione cercarono in tutti i modi e a prezzo di perdite spaventose di ristabilire un impossibile livello di parità con gli alleati. Il 10 agosto sei “Betty” tentarono, con due faticosi raid da 2.500 e 3.500 chilometri, di distruggere alcune unità navali nel lontano scalo di Broome e in quello, lontanissimo, di Hedland, ma aldilà dell’exploit aeronautico non riuscirono ad andare. Il 12 novembre, infine, dopo una mezza dozzina di attacchi minori condotti in settembre da sezioni di 2/3 bombardieri alla volta, nove “Betty”, carichi oltre il limite massimo di bombe da 250 chilogrammi, fecero la loro ultima comparsa nel cielo di Darwin e di Fenton, colpendo gli obiettivi assegnati e, questa volta, senza subire alcuna perdita.
NOTE:
(1) I bombardieri giapponesi affondarono fra le altre, le seguenti unità: Meigs
(12.568 tonn.), Mauna Loa (5.436 tonn.), Zealandia (6.600 tonn.),
British Motorist (6.891 tonn.), Kelat (1.849 tonn.), Neptuna
(5.952 tonn.).
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