Per Reconquista si intende il termine spagnolo e portoghese per definire il periodo, di 750 anni, in cui avvenne la liberazione delle terre occupate dai regni moreschi musulmani di al-Andalus (le attuali Spagna e Portogallo) da parte dei cristiani. La Reconquista si sviluppò, geograficamente parlando, dal nord al sud della penisola iberica. L’attacco islamico da parte degli Omayyadi (la prima dinastia califfale araba, al potere dal 661 al 750 d.C.) al regno visigoto di Spagna venne deciso nel 710 d.C. da Musa ibn Nusayr (640-710), governatore arabo del Marocco, esso stesso occupato pochissimi anni prima e teatro del totale annientamento della locale comunità cristiana. Tale invasione altro non fu che la continuazione dell’espansione islamica promossa dal profeta Maometto (570-632) e portata avanti, con alti e bassi, da tutti i suoi successori in Medio Oriente, regioni caucasiche e Africa Settentrionale. Nel 711, con la Battaglia del Guadalete, i maomettani distrussero l’esercito del re visigoto Roderico (688-711), conquistando poi gran parte della penisola iberica nel giro di soli cinque anni,: occupazione relativamente agevole in quanto facilitata dalle guerre intestine che all’epoca dilaniavano il regno goto. Le armate moresche superarono anche i Pirenei, tentando l’invasione del sud della Francia, ma vennero fermate dai Franchi, prima nel 721, nella Battaglia di Tolosa, poi definitivamente, nel 732, dal nonno di Carlo Magno, Carlo Martello (690-741), a Poitiers. La battuta di arresto e l’arretramento degli islamici, permise ad Alfonso V re di León (996-1028) di rioccupare buona parte della Spagna settentrionale. La conseguenza fu che il califfato di Cordoba iniziò a frammentarsi, intorno al 1031, in piccoli emirati indipendenti, noti in spagnolo come reyes de taifas, mentre le Asturie, il León e la Castiglia si fusero in un unico regno. Sull’altro fronte, i più importanti emirati arabi, anch’essi spesso in lotta tra loro, divennero quelli di Siviglia, Almeria, Malaga, Granada, Saragozza e Toledo. Questa situazione portò così allo scontro di due realtà feudali, di cui quella arabo-berbera era in fase di declino, in quanto al decentramento dei poteri politici non aveva fatto seguito, a livello locale, un miglioramento delle condizioni socioeconomiche dei contadini. L’obiettivo dei vari emirati era, in realtà, quello di arrogarsi gli stessi poteri del califfato senza, tuttavia, dovergli dipendere. Ma poiché gli emirati di Spagna non erano più in grado di fronteggiare l’avanzata cristiana, essi decisero di chiedere l’appoggio delle truppe almoravidi, le quali, nella battaglia di Zalhaca del 1086, infersero una grave sconfitta alle milizie cristiane di Alfonso VI (1040-1109), successivamente e nuovamente battuto, nel 1108, ad Uclés. Gli Almoravidi erano un movimento fondamentalista islamico, sorto in Africa settentrionale tra i nomadi e contadini berberi, che mal sopportavano l’oppressione dei feudatari arabi locali (sebbene semiti come gli arabi e convertitisi rapidamente all’islam, dopo la conquista musulmana del Maghreb, i berberi mantennero sempre una certa insofferenza nei confronti del popolo di Maometto. Paradossalmente una delle “vie” spesso seguite per tornare al potere fu quella di dare vita a dinastie ancor più fondamentaliste di quelle arabe). Dopo aver conquistato quasi tutto il Maghreb, gli Almoravidi portarono la capitale del nuovo Stato in Marocco, a Marrakesh. Nel 1085, la riconquista di Toledo da parte cristiana provocò l’intervento del sultano almoravide Yūsuf ibn Tāshfīn (1061-1106), che impose la sua superiorità militare, sorretta dal fanatismo religioso, su diversi “re” ispano-musulmani, da Siviglia a Valencia, eliminando l’aristocrazia arabo-andalusa, spegnendo quasi del tutto il sincretismo artistico-culturale che si era sviluppato grazie alla convivenza tra le comunità ebraiche e musulmane e rendendo assai difficile a tutti i sudditi, tanto è vero che molti ebrei si rifugiarono presso i principi cristiani (fatto rilevante in sede culturale). La politica interna degli Almoravidi risultò, nella sostanza, molto oppressiva: prevalentemente fiscale, e persecutoria verso le minoranze non islamiche, situazione che favorì la rinascita di uno spirito cristiano armato. Fu questo, infatti, il periodo dell’epopea del celebre hidalgo (membro della piccola e media nobiltà militare ispanica di antico lignaggio, ma spesso rimasta senza terre e denari) castigliano, Rodrigo Diaz de Bivar, detto El Cid Campeador (1043-1099) che, tuttavia, di tanto in tanto, non disdegnò di offrire la sua spada a qualche emiro musulmano. Le sue truppe riuscirono ad occupare Valencia (1094) e il territorio circostante, anche se dopo la sua morte, avvenuta cinque anni dopo, fu nuovamente rioccupata dai berberi. Oppressi da una politica fiscale pesantissima e da continue vessazioni, i contadini cristiani sottomessi agli islamici iniziarono a ribellarsi a più riprese (tra il 1110 e il 1117) contro gli Almoravidi, unendosi alla lotta delle truppe castigliane e aragonesi. Quest’ultimi, con Alfonso I d’Aragona (1082-1184), presero Saragozza nel 1118, facendone la capitale del secondo regno peninsulare, reso poi più potente e solido grazie all’unione con la mediterranea Catalogna. Tale fusione avvenne nel 1137, suscitando preoccupazioni e rivalità da parte degli altri Stati cattolici spagnoli, al punto che, nell’ambito della Reconquista, i cristiani non riuscirono mai a realizzare un’autentica strategia d’intervento comune contro i musulmani. Tuttavia, tali difficoltà interne risultavano assai inferiori a quelle del regime almoravide, pressato dalle sconfitte e dalle ribellioni in Spagna, nell’attuale Portogallo e persino in Africa, dove si formò una nuova dinastia berbera (gli Almohadi, formatisi nelle montagne marocchine e devoti ad una corrente fondamentalista sunnita avente alcune influenze sciite), che se da un lato riuscì a sconfiggere gli Almoravidi nel 1145, dall’altro non migliorò affatto la situazione in Spagna. Al contrario, la Reconquista trovò numerosi sostenitori tra i cristiani europei occidentali, soprattutto quelli provenienti dalla Francia, tanto che nel 1212, nella decisiva battaglia di Las Navas de Tolosa, si riuscì a conseguire una vittoria molto importante, che fece progredire rapidamente la marcia verso sud. La coalizione spagnola era capeggiata da Alfonso VIII di Castiglia (1155-1214), la cui opera fu continuata dal nipote Ferdinando III (1201-1252) e da Giacomo I d’Aragona (1208-1276). Con l’unione di León e Castiglia, sotto il re Ferdinando III, si riuscì, nel 1236, a prendere Cordova. Siviglia venne liberata nel 1248. Successivamente, nel corso del XIII secolo, il regno d’Aragona conquistò le isole Baleari, Valencia (1238) e Murcia (1266), quest’ultima città, in seguito, venne però incorporata alla Castiglia. Nel 1282, invece di concentrarsi sulla definitiva riunificazione della penisola iberica, gli aragonesi, che puntavano anche, per scopi commerciali, al dominio del Mediterraneo occidentale, volsero lo sguardo altrove, strappando la Sicilia ai francesi. E stessa cosa fecero i castigliani che si spinsero fino all’estremo sud della Spagna, prendendo Jerez e Cadice. Intanto, nella parte occidentale della penisola si formò il regno indipendente del Portogallo (1143), posto sotto la protezione della chiesa di Roma. Con la conquista di Cadice (1262), terminò la fase “aurea” della Reconquista,: questa, infatti, entrò in un periodo di lunga stasi, dovuta ad un complesso di cause interne ed esterne. L’eventualità di un’ennesima invasione musulmana costrinse la Castiglia, priva di una marina propria, a tenere sotto controllo lo stretto di Gibilterra, servendosi soprattutto della flotta genovese. Sotto il regno di Alfonso XI (1311-1350), i cristiani dovettero respingere l’ultimo tentativo di invasione dal Marocco nella battaglia del Salado del 1340, e quattro anni più tardi, grazie all’aiuto navale di Aragonesi e Genovesi, essi conquistarono Algeciras, stroncando definitivamente le velleità marocchine. Purtroppo, le ambizioni della Castiglia iniziarono a collidere con quelle dell’Aragona (divenuta forte e ricca grazie alle conquiste e alla politica marinaresca di Giacomo I) e del Portogallo, tenacissimo nel rifiutare la supremazia castigliana (i portoghesi sconfissero addirittura il potente avversario ad Aljubarrota, nel 1385). Nonostante i progressi compiuti ai danni degli esercito moreschi, in campo cristiano la crisi socio-economica interna perdurava: con la distribuzione delle fertili terre meridionali tolte ai mori, agli Ordini Cavallereschi (quelli di Calatrava, Alcantara e Santiago) e ai cavalieri castigliani, i re di Castiglia crearono feudi parassitari, incapaci di mettere a frutto con criterio ed equità i loro latifondi, sempre in lotta con i contadini moreschi locali insoddisfatti, e facili e frequenti debitori di denaro nei confronti dei banchieri ebrei che, tra l’altro, sostenevano da tempo la stessa corona castigliana. Ne derivarono la decadenza dell’agricoltura andalusa e la conseguente crescita della Mesta (il potente ‘cartello’ dei feudatari produttori di lana, che giunse a diventare un vero e proprio Stato nello Stato). Questa insostenibile situazione di degrado portò, infine, ad una guerra civile, a cominciare dal regno di Alfonso X (1221-1284), proseguendo poi, con episodi di vera tragedia, come durante il regno di Pietro I (1334 -1369), detto ‘Il Crudele’, assassinato dal fratellastro Enrico di Trastamara (1332-1379). Detto questo, nella seconda metà del XIV secolo, i regni cristiani dominavano ormai sulla quasi totalità del territorio iberico, avendo costretto i musulmani ad arroccarsi nella parte più meridionale, in Andalusia. Di fatto, la Castiglia disponeva ormai della forza militare necessaria per conquistare i resti del Sultanato di Granada, ma i suoi re preferirono temporeggiare e, soprattutto, mettere a frutto le conquiste fatte, incassando i tributi imposti ai contadini e ai commercianti islamici sottomessi, e continuando feroci ed inutili dispute interne con potentati e feudatari. A tutto ciò si aggiunsero calamità naturali, come la terribile Peste Nera del 1348, che attraverso successive ondate, dal 1362 al 1375, devastò la penisola iberica, e nuove guerre civili. Enrico di Trastamara e i suoi successori, sempre più deboli e incapaci, regnarono per circa un secolo su un paese sconvolto dalla fame, dalle rivolte contadine e dalle inutili persecuzioni antiebraiche (ricordiamo la strage di Siviglia nel 1391) indotte dalla stessa crisi socio-economica. Vero è che, in questo periodo, alcuni personaggi illuminati e capaci, come don Álvaro de Luna (1390-1453) o Enrico IV (1454-1474), tentarono di rimettere un poco di ordine, proteggendo i conversos (cioè ebrei convertiti al cattolicesimo) e di porre fine all’insubordinazione della grande nobiltà. Ciononostante, Enrico venne deposto dalla nobiltà e sostituito dalla sorellastra di lui, Isabella (1451-1504), maritata nel 1469 al re d’Aragona, Ferdinando II (1452-1516). Finalmente, il 2 gennaio 1492, la coppia reale, Los Reyes Católicos (I Re Cattolici), presero la decisione finale, attaccando e conquistando ciò che rimaneva del regno islamico di Granada, e scacciandone l’ultimo sovrano Boabdil di Granada (1459-1528). Con la presa di Granada la Reconquista ebbe quindi termine. Dopo oltre sette secoli di persecuzioni islamiche e di guerre contro gli invasori arabo-berberi l’Europa aveva vinto una sfida epocale e fondamentale per il futuro sviluppo dell’Occidente.
Bibliografia consigliata:
www.spagna.cc/reconquista
Alessandro Vanoli, La Reconquista, il Mulino, Bologna, 2009;
John H. Elliot, La Spagna Imperiale, il Mulino, Bologna, 1982;
Jaime Vicens vives, Profilo della storia di Spagna, Einaudi, Torino, 1966.
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