Nota come “Operazione I-69”, la missione organizzata nel 1939 dal governo americano, doveva effettuare esplorazioni ed esperimenti scientifici in Antardite. A tale scopo fu realizzata una base mobile per operare in condizioni estreme, i cui veri scopi restano ancora avvolti nel mistero.
Alla fine degli anni Trenta del secolo scorso, il mondo era sostanzialmente diviso in tre settori d’influenza: Europa continentale sotto il dominio dell’Asse (Germania, Italia e paesi allineati), Unione Sovietica e Stati Uniti. In pratica, tre ideologie diverse che avevano in comune solo lo scopo di imporsi a livello mondiale. La ricerca scientifica e le missioni esplorative e di conquista erano, per ognuna di queste parti, una assoluta priorità, con un movimento di propaganda senza precedenti.
Fino alla prima metà del XX secolo, solo tre uomini avevano attraversato l’Antartide e raggiunto il Polo Sud. Nel 1911 i grandi esploratori Roand Amundsen e Robert Scott avevano intrapreso una sorta di competizione, e fu Amundsen ad arrivare al Polo nel dicembre 1911, mentre Scott giunse un mese più tardi, nel gennaio 1912.
L’ammiraglio Richard E. Byrd, della marina USA, fu il terzo a raggiungere il Polo Sud, nel 1929, sorvolando il continente in occasione della sua prima spedizione antartica.
Gran parte delle prime informazioni sull’Antartide, sulle sue risorse e fenomeni naturali, è stata ottenuta durante le due spedizioni dell’ammiraglio Byrd, specialmente la seconda, avvenuta dal 1933 al 1935. Queste missioni, organizzate nei minimi dettagli e con grandi risorse, avevano lo scopo di raccogliere dati scientifici in diverse aree del continente antartico. Un territorio più vasto dell’intero Nord America e ancora oggi poco conosciuto.
Al comando dell’impresa, e per espresso ordine del presidente Roosevelt, l’ammiraglio Byrd conduceva la sua terza spedizione, anche se non sarebbe stato sul campo per i tre anni previsti, ma comunicando le istruzioni dagli Stati Uniti e compiendo periodiche visite presso le installazioni. Byrd era assistito da una squadra di esperti ufficiali governativi che formavano il Comitato di Coordinamento. Fra di essi, il dottor Ernest Gruening, direttore della divisione Territori e Possedimenti del governo; l’ammiraglio Russel Waesche della U.S. Coast Guard; il comandante Charles Hartigan del Comando Operazioni Navali della US-Navy; e Hugh Cumming del Dipartimento di Stato. Il 15 novembre 1939, la terza spedizione Byrd partì da Boston per un progetto triennale nelle regioni antartiche, finanziato dal governo americano e noto come Expedition of USA Antarctic Service, o più semplicemente Project I-69, con il compito di conquistare la maggior parte di territorio, cioè almeno 4 milioni di miglia quadrate; di esplorarlo, ed effettuare una serie di esperimenti.
I finanziamenti erano di circa 350mila dollari dell’epoca, per approvazione ufficiale del Congresso, che aveva deciso anche la collaborazione di enti statali accuratamente selezionati.
Le due navi scelte per la spedizione erano la Bear of Oakland e la North Star, quest’ultima del Dipartimento dell’Interno. Gli equipaggi erano di 55 uomini, 21 dei quali scienziati e ricercatori di varie discipline. In più, 140 cani da slitta e altri 20 cuccioli che sarebbero stati cresciuti e addestrati sul posto.
Dopo aver passato il canale di Panama, le navi si sarebbero dirette in Nuova Zelanda per essere rifornite. L’ultima parte di viaggio le avrebbe portate nel Mare di Ross e alla Baia delle Balene, verso la Barriera dei Ghiacci, che segna l’inizio del continente antartico e dove lo sbarco era previsto nella prima metà del gennaio 1940, limite ultimo prima del sopraggiungere del periodo delle notti polari. In caso di ritardo, l’impresa avrebbe dovuto essere rinviata di un anno.
La squadra della missione vera e propria sarebbe stata formata da 25 gli uomini, e doveva stabilire, nella zona definita Little America, la Base Ovest, al comando del dottor Paul Siple, che aveva già preso parte alle precedenti spedizioni dell’ammiraglio Byrd.
Dopo di ciò, era previsto che le navi si dirigessero a Valparaiso, in Cile, per effettuare un altro carico, quindi dovevano fare rotta per un punto a Sud del continente americano, e stabilire la Base Est, la cui esatta dislocazione non è mai stata rivelata ufficialmente, anche se approssimativamente doveva trovarsi a circa 1.100 miglia da Little America. Alla direzione della Base Est era Richard Black, che aveva preso parte alla seconda spedizione Byrd e rappresentava il Dipartimento dell’Interno.
Il progetto “Snow Cruiser”.
Otre a queste due basi, la spedizione aveva anche una “base mobile” concepita specificatamente per operare in Antartide. Una sorta di gigantesco mezzo meccanico che pareva uscito dalla fantasia di Jules Verne o dai telefilm del capitano Buck Rogers nel 25° secolo.
Questa creazione era stata battezzata Snow Cruiser, e doveva essere in grado di superare montagne, attraversare immense distese di neve e ghiaccio e oltrepassare ampi crepacci.
Il progetto Snow Cruiser, firmato dal dottor Poulter, inizia nel 1937, e come partner tecnici, oltre alla Research Foundation of Armour Institute, aveva la Good Year, la Cumming Oil Engine e la General Electric, tre dei maggiori colossi industriali, per la fornitura delle componenti tecniche.
Il 29 aprile 1939 a Washington viene ufficialmente annunciata la preparazione della spedizione in Antartide, in una conferenza nella quale vengono mostrati al pubblico i disegni tecnici del prototipo, che sarebbe stato noleggiato dalla US-Antarctic Service, organismo governativo preposto all’organizzazione delle missioni al Polo Sud.
La costruzione dello Snow Cruiser è avviata l’8 agosto ’39 e conclusa in ottobre con un investimento, davvero esorbitante per l’epoca, di 150mila dollari. Era lungo circa 18 metri, alto 5 metri e largo 6. Pesava oltre 40 tonnellate e i quattro pneumatici speciali Good Year erano alti 3 metri. La meccanica era un insieme di tecnologia diesel elettrica: due motori diesel Cummings a 6 cilindri, raffreddati ad acqua, da 150 hp ciascuno, alimentavano una coppia di generatori che a loro volta davano energia ai 4 gruppi automotori elettrici da 75 hp, uno per ruota, applicati in corrispondenza dei mozzi. Le quattro ruote motrici erano tutte a movimento assiale sterzante indipendente, comandati da un circuito idraulico.
Elemento portante era il telaio tubolare a gabbia, che permetteva di contenere i pesi e disporre di notevole spazio all’interno. Tra le enormi ruote del veicolo, infatti, era installato il laboratorio scientifico, attrezzato per test geofisici, con tanto di cuccette, soggiorno e servizi igienici. Gli ambienti erano riscaldati con il calore del liquido di raffreddamento dei propulsori. La cabina di comando, in realtà era un vero e proprio ponte, data la posizione rialzata rispetto alla linea del mezzo, era attrezzata con i comandi di una locomotiva. La velocità era di circa 50 Km/h anche con il piccolo aereo portato sul tetto.
Il 24 ottobre 1939 lo Snow Cruiser, soprannominato “Penguin”,viene trasferito da Chicago a Boston per l’imbarco. Un viaggio attraverso Indiana, Ohio, Pennsylvannia, New York e Massachussets di oltre 1.650km, organizzato come un grande evento propagandistico, con una nutrita scorta di polizia, compiuto ad una velocità media di circa 40km/h. Durante il tragitto erano pochi i tratti dove non si accalcava una immensa folla, ma nessuno in realtà sapeva con certezza a cosa servisse quello strano e gigantesco semovente, da chi era stato costruito, e soprattutto perché.
L’idea dello Snow Cruiser era nata durante la seconda spedizione Byrd in Antartide, in circostanze a tutt’oggi poco chiare. Harold Vagtborg, direttore della Research Foundation of Armour Insitute of Technology di Chicago, è stato il capo-progetto realizzato poi dallo staff del dottor Thomas Poulter, responsabile dell’Ufficio Scientifico della Fondazione, ricercatore, e vice-comandante della seconda spedizione Byrd.
E’ lo stesso Vagtborg a spiegare la nascita del progetto riferendosi a una conversazione alla quale erano presenti diversi scienziati oltre a Poulter, in occasione della drammatica operazione di salvataggio dell’ammiraglio Byrd, che sarebbe stata molto più agevole e rapida se fosse esistito un mezzo con particolari caratteristiche. Sarebbe poi stato ideale se, dotato di un apposito laboratorio mobile, radio, un certo comfort e opportune dotazioni, avesse avuto la possibilità di operare con un determinato raggio d’azione dal campo base, per raccogliere campioni o esplorare zone altrimenti impossibili da raggiungere.
Nel giugno 1934, nel corso della seconda spedizione, l’ammiraglio Byrd era rimasto isolato a circa 125 miglia dal campo base, e il dottor Poulter con due membri della spedizione, Pete Demas e Buddy Waite, dovevano spingersi in suo soccorso, ma a 50 miglia dalla partenza il trattore sul quale viaggiavano si era rotto. Un secondo tentativo si era risolto in un altro fallimento a 30 miglia dalla base. Il terzo finalmente aveva avuto successo, ma Byrd era stato trovato in condizioni critiche, dopo aver resistito circa tre settimane.
Al rientro in USA, Poulter fu chiamato alla Research Foundation, un ente che svolgeva ricerche ed esperimenti (fotografia dell’alta velocità, alta pressione, propellenti), dove ha le possibilità di sviluppare le proprie idee, arrivando a progettare un mezzo completamente autonomo, in grado di operare su ogni terreno e in ogni condizione di tempo, con abbastanza spazio per scorte alimentari e un’autonomia di circa 5.000 miglia, dotato di laboratorio, apparato radio per comunicare sia con la base che con aerei in volo per la mappatura del territorio, 5 uomini di equipaggio, linee essenziali per l’aerodinamica e, naturalmente, grande potenza.
Giunto al porto militare di Boston, il mezzo è imbarcato sulla North Star per la traversata di due mesi fino alla Baia delle Balene, sulla banchisa polare, dove arriva il 12 gennaio 1940. Lo Snow Cruiser viene quindi riassemblato e dopo altri tre giorni viene fatto sbarcare.
Le difficoltà iniziarono da subito: il pesante mezzo pareva non avere la minima manovrabilità sul ghiaccio perché, con sorpresa di tutti, le quattro grandi ruote motrici giravano quasi a vuoto, senza aderenza. Forse una progettazione troppo superficiale? Calcoli errati circa i coefficienti di attrito?
Il dottor Poulter impiegò le due settimane successive immerso nella ricerca di una soluzione al problema, tentando diversi espedienti: il montaggio delle due ruote di scorta per formare una coppia gemella sull’asse anteriore, e di rudimentali catene su quelle posteriori, ma senza alcun risultato. Gli errori fatti in fase di progettazione erano a quanto pare irrimediabili e nonostante l’aumento di quasi il 50% della superficie d’attrito, il pesante “Penguin” rimaneva praticamente immobile.
Poulter tornò negli Stati Uniti, per riunirsi con ingegneri e meccanici, e cercare una soluzione, ma nel frattempo era scoppiata la seconda guerra mondiale: l’industria e le risorse del paese erano totalmente impiegate nello sforzo bellico, e non furono concessi nuovi finanziamenti.
Tornato in Antartide, Poulter e il suo staff riuscirono a far compiere alcuni brevi tratti allo Snow Cruiser, con grandi difficoltà, e a portare a termine ricerche di poca importanza, quindi il pesante mezzo venne definitivamente abbandonato. Fu ritrovato nel 1957, in pessime condizioni, sotto una spessa coltre di neve, ma poco dopo i continui movimenti del ghiaccio determinarono una spaccatura della superficie e lo Snow Cruiser precipitò irrimediabilmente nell’oceano, dove si trova ancora oggi.
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