Pochi sanno qualcosa, anche per sommi capi, dei crudeli e coinvolgenti conflitti politico-ideologici che sconvolsero la Cina nella prima metà del Novecento. Siamo abituati a considerare la Cina come una grande potenza in grado di invadere il pianeta non con sistemi bellici, ma con strategie commerciali. E di successo. Questa è la Cina di oggi. La Cina di ieri ce la racconta, con la sua ormai collaudata capacità narrativa, Alberto Rosselli con questo suo nuovo lavoro storico «Cina 1927-1950. La lunga guerra fratricida». Testo che prende il via dalla rivoluzione del 1911, il crollo della Monarchia e la proclamazione della Repubblica, con Sun Yat-sen primo presidente.
Una Repubblica che si impone immediatamente un vasto programma di modernizzazione del Paese, intavolando una serie di accordi (commerciali, industriali e militari) con le Nazioni occidentali, soprattutto facenti parte della Triplice Intesa (Francia, Gran Bretagna e Russia, poi anche Italia): cioè l’alleanza anti austro-prussiana che la neonata Repubblica cinese aveva supportato con aiuti di vario genere, anche militari, nel corso della Grande Guerra.
Negli Anni Venti, il Kuomintang (KMT), il partito fondato da Sun Yat-sen dopo la rivoluzione del 1911, diviene il primo partito cinese, seguìto dal Partito Comunista Cinese (PCC) – facente già parte del Kuomintang – formatosi sotto la guida di Mao Tse-tung, strettamente legato a Lenin, il capo del partito bolscevico il responsabile dello sterminio della famiglia dell’ultimo Zar Nicola II.
Ben presto i rapporti tra i due partiti iniziano a farsi molto tesi, fino all’aperta accusa lanciata da Mao a Chiang Kai-shek (succeduto a Sun Yat-sen nella leadership del Kuomintang) di volere instaurare un regime autoritario e “nemico del popolo”. Da qui la prima fase della sanguinosa Guerra civile, che si svolge sul finire degli Anni ’20.
Una Guerra civile caratterizzata dalle subdole manovre sovietiche tendenti a spaccare in due il Kuomintang spingendo l’ala sinistra a ribellarsi agli ordini di Chiang Khai-shek. Con il tragico risultato di scatenare una dura e selvaggia reazione da parte di Chiang, con un pogrom che costerà la vita a migliaia di cinesi filo-maoisti.
Per reazione, e con il sostegno dell’URSS, Mao da vita ad una “Armata Rossa” cinese presto equipaggiata da Mosca con armi moderne (mitragliatrici, mortai, velivoli da bombardamento e motoscafi armati).
In questa prima fase della Guerra civile cinese, la nazione che si dimostra abile a sfruttare a proprio vantaggio il clima incendiario che ha travolto la Cina, è il vicino Giappone, che con le sue truppe occupa e si impadronisce di nuove aree territoriali cinesi lungo la costa, obbligando poi i nazionalisti di Chiang e i comunisti di Mao a sottoscrivere una tregua e una sorta di ‘alleanza’ contro lo straniero che, malgrado molte infrazioni, durerà dal 1937 al 1945.
Terminata la Seconda Guerra Mondiale, con le atomiche su Hiroshima e Nagasaki, e la sconfitta del Giappone, la potenza che ora controlla e domina la Cina è la Russia di Stalin. Tra giugno e luglio ’47 si svolge l’ultimo, virale scontro tra le Armate del Kuomintang e quelle del PCC, terminato il quale, Mao riorganizza il suo esercito con una autentica messe di altri moderni armamenti ed equipaggiamenti (parte dei quali preda bellica giapponese) forniti da Stalin: premessa indispensabile per una serie di vittorie che determineranno la sconfitta e la fine del KMT.
Nel corso della primavera-estate 1948, le armate comuniste dilagano (complice anche l’inettitudine di alcuni generali nazionalisti) su tutto il territorio: un milione e mezzo di soldati, 700.000 guerriglieri, 23.000 tra cannoni e mortai. Impossibile calcolare il numero delle vittime. Dietro ordine di Mao, I ‘rossi’ non ebbero pietà e passarono per le armi migliaia di prigionieri, anche feriti: il tutto all’insegna delle ferocia insita nell’ideologia comunista.
L’approfondita ricerca di Alberto Rosselli non manca di ricostruire, e riferire, circa l’ambiguo atteggiamento di Stati Uniti e Gran Bretagna, che, vista la parata, abbandonarono di fatto Chiang Kai-sehk al suo destino. L’evento clou di quella vergognosa condotta si verificò il 15 gennaio 1949, giorno in cui i governi di Washington e Londra rifiutarono di aderire alla richiesta di una mediazione tra le parti in conflitto «per non ostacolare le trattative» (così riportò il comunicato ufficiale). Trattative che, in realtà, non portarono a nulla, grazie all’intransigenza di Mao.
E fu così che, il 22 gennaio 1949, 250.000 soldati della guarnigione nazionalista di Pechino si arresero alle preponderanti forze di Mao. Questa fu la prima delle molte mazzate inflitte alle forze del Kuomintang, che si concluderanno con l’occupazione comunista dell’isola di Hainan nel 1950, cioè al termine della Seconda fase della Guerra civile.
Tutti da leggere anche i brevi e avvincenti capitoli che Rosselli dedica, in una sorta di appendice, alla Resistenza anticomunista dopo il 1950: lotta condotta da reparti di irriducibili e che si protrasse per diversi anni. Il grosso dell’esercito del Kuomintang, sempre sotto la guida del generale Chiang Kai-sehk, si ritirò invece sull’isola di Formosa, trasformando, nel contempo, in fortezze una serie di piccoli arcipelaghi situati lungo la costa orientale, dai quali divenne possibile sferrare rapidi colpi di mano contro le truppe di Mao.
Non mancò a Chiang, almeno in quell’occasione, l’appoggio della CIA, che contribuì alla formazione del «Corpo Giovanile di Salvezza Anticomunista». Il tutto nel più ampio quadro della guerra di Corea, che vedeva contrapposte le Forze Armate cinesi e americane: le prime in supporto alla Corea del Nord, le seconde a quella del Sud.
L’accurata ricerca storica di Alberto Rosselli ricostruisce, con dovizia di particolari, eventi ed episodi finiti sotto silenzio, non ultimi i vani tentativi di Chiang Kai-sehk di convincere i presidenti USA (da Kennedy a Johnson a Nixon) a fornirgli l’appoggio necessario per abbattere Mao Tse-tung. Ma questa è un’altra storia.
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