A più di settant’anni dagli attacchi atomici di Hiroshima e Nagasaki la polemica tra “nuclearisti” e “pacifisti” è lungi dall’essere conclusa. Ad onore della democrazia e dalla libertà d’analisi storica possiamo affermare che mai lo sarà.
Immediatamente dopo la quasi totale distruzione delle due città nipponiche (molto più estesa ad Hiroshima e più “limitata” a Nagasaki, aiutata questa dalla morfologia del terreno) iniziarono subito gli attacchi politici, mascherati da ragioni umanitarie, contro gli Stati Uniti.
Gli argomenti classici di tali critiche sono arcinoti: furono due stragi inutili poiché il Giappone era già avviato ad arrendersi; l’uso indiscriminato dell’atomica fu solo una dimostrazione di potenza ai sovietici; chi vaporizza donne e bambini è uguale a chi li mette nei forni crematori.
Belle frasi certo, peccato che non corrispondano al vero. Vediamo il perché, cercando, nei limiti del possibile, di analizzare la questione come esseri senzienti e non come “animali politici” di aristotelica memoria.
Il Giappone aveva già deciso di arrendersi? Falso. Certo dopo le batoste delle Filippine (1944), di Iwo Jima-Okinawa (1945) e dei bombardamenti convenzionali le persone ragionevoli (mai mancate del tutto nella politica nipponica) cominciarono ad alzare la testa; ma la leadership militare del Paese era ancora unanime nel rifiutare qualunque accenno alla resa, in questo sostenuta dalla stragrande maggioranza di una popolazione resa fanatica ed irragionevole da trent’anni di propaganda razzista ed ultra imperialista, oltre che da secoli di misticismo religioso guerriero. Fu solo dopo due bombardamenti atomici, uno solo non bastò, che tutta la retorica imperial-fanatico-misticista si scontrò con la dura realtà della scienza (e della superiorità dell’Occidente), dando ai nipponici la “scusa” di arrendersi senza disonore di fronte ad un potere quasi divino (finezze psicologiche orientali) e costringendo anche i più folli presunti eredi dei samurai a scegliere tra la resa ed il suicidio rituale. Ad onore della razionalità umana bisogna riconoscere che la maggior parte di loro accettò “l’umiliazione” e poi collaborò lealmente con gli americani nella ricostruzione post bellica.
L’uso delle atomiche fu solo una dimostrazione di forza in ottica della nascente Guerra Fredda? Falso, ma in caso contrario ben fatto. Gli analisti militari statunitensi valutarono il prezzo da pagare per una conquista convenzionale del Giappone (Operazione Downfall) in circa un milione di soldati, tra morti e feriti. Già solo questo numero darebbe agli USA la motivazione morale e materiale per le atomiche. In aggiunta a ciò vogliamo pensare a quante vite giapponesi sarebbero state spezzate se tale campagna fosse stata combattuta? Nella battaglia di Iwo Jima i nipponici ebbero circa 20.000 caduti a fronte di 21.000 soldati impegnati in battaglia; gli USA da parte loro lamentarono circa 8.000 morti. Ancor peggiore fu il salasso di Okinawa, nel quale i giapponesi (tra militari e civili, che parteciparono attivamente alla difesa dell’isola) accusarono ben 110/150.000 vittime, mentre gli USA ne ebbero circa 13.000 morti ed il triplo dei feriti. Questi numeri, già di per se sconcertanti, dimostrano quanto il fanatismo nipponico aumentasse man mano che i “diavoli bianchi” s’avvicinavano all’arcipelago vero e proprio. Questo significa che se la conquista del Giappone avrebbe chiesto un milione di perdite tra gli USA, non è sbagliato calcolare che al Sol Levante l’inevitabile sconfitta sarebbe costata tra i dieci ed i venti milioni di morti, in massima parte civili, mentre gli attacchi nucleari ne uccisero circa 180.000 (la cifra esatta è impossibile da calcolare). Questi numeri, freddi ed impietosi, fanno capire quanto i bombardamenti atomici siano stati, paradossalmente, un’azione umanitaria.
Riguardo invece alla teoria secondo cui i nipponici sarebbero state solo delle cavie da maciullare e poi mostrare ai comunisti probabilmente non lo sapremo mai. Sicuramente l’obbiettivo principale degli USA era far finire la guerra e non spaventare i sovietici, ma non è da escludere che far vedere a Stalin e soci di cosa fosse capace l’arsenale delle democrazie non dispiacesse agli analisti più accorti. Perché? Perché ormai la guerra in Europa era finita e lo scontro democrazie-comunismo stava prendendo forma, tanto che Stalin non faceva mistero dell’inevitabilità di una Terza Guerra Mondiale che avrebbe sovietizzato il mondo. Da qui l’utilità di terrorizzare con l’atomica l’opinione pubblica mondiale e, soprattutto, i tiranni comunisti. Se la Guerra Fredda, basata sull’equilibrio del terrore in cui la guerra annulla se stessa a causa della “mutua distruzione assicurata”, non è mai degenerata in “guerra calda”, lo dobbiamo in gran parte al concreto esempio di Hiroshima e Nagasaki. Per rimanere in argomento “sovietico” ricordiamo inoltre che Stalin aveva la dichiarata intenzione di occupare quanto più Giappone possibile, sicuramente Hokkaidō ed il Nord di Honshū. Quindi l’accelerazione della resa nipponica, dovuta alle atomiche, contribuì ad impedire una divisione del Paese, sulla falsariga della Germania e della Corea, cosa di cui i nipponici onesti saranno sempre grati agli USA.
Affrontiamo ora la questione morale vera e propria, ovvero che secondo molti i bombardamenti atomici su un nemico sconfitto mettono gli USA allo stesso livello dei nazisti (chissà poi perché nel raffronto non vengono mai usati i crimini comunisti…). Falso. Prima di tutto un Paese in guerra che non si arrende non è ancora sconfitto; detto questo la leadership statunitense aveva come primo dovere tutelare i propri soldati, cosa che abbiamo visto fece adeguatamente. Inoltre i nipponici degli anni ’30 e ’40 non avevano il diritto di fare le vittime, per varie ragioni. La loro condotta in Cina fu a dir poco macabra, basti citare gli esempi del Massacro di Nanchino, in cui uccisero 350.000 civili e stuprarono decine di migliaia di donne, piuttosto che le efferatezze dell’Unità 731, sezione dell’esercito nipponico che effettuò esperimenti chimici e batteriologici sulla popolazione e su cavie umane, il tutto con un’efferatezza degna di Mengele al meglio di sé. Poi venne la Guerra del Pacifico, scatenata (checché ne dicano i complottisti di sinistra e di estrema destra) dai giapponesi, che volevano attaccare alle spalle le potenze europee impegnate contro Hitler, tanto da “rubare” l’Indocina alla Francia fascista di Vichy. Per loro sfortuna dovettero fare i conti anche con la presenza americana nella regione e, in un attacco di delirio ed illusione di invincibilità, scelsero la guerra. Guerra che i nipponici condussero, da un lato, con coraggio ed abnegazione a dir poco eroici, dall’altro uccidendo 7 milioni di filippini, malesi, vietnamiti, cambogiani, indonesiani e birmani, oltre a circa 23 milioni di cinesi. Per non parlare delle comfort women, migliaia di ragazze (gli storici vanno da un minimo di 20.000 ad un massimo di 400.000) asiatiche ed olandesi rapite dall’esercito nipponico ed usate come schiave sessuali per i soldati. A ciò si aggiungono i crimini ai danni dei prigionieri di guerra occidentali (con curiosa particolare crudeltà riservata a quelli aventi i capelli rossi). In particolare ricordiamo che, oltre alle uccisioni indiscriminate di cui esiste un ampio repertorio fotografico, nei campi di prigionia giapponesi il tasso di mortalità dei soldati anglosassoni fu trenta volte superiore rispetto che in quelli tedeschi. Nulla di tutto ciò ha generano nei successivi 70 anni delle scuse formali da parte del Giappone (se non altro i nipponici si risparmiano l’ipocrisia di noi occidentali). Alla luce di tali crimini (e di molti altri non trattati per motivi di spazio) possiamo serenamente affermare che i bombardamenti atomici tutto fecero tranne che colpire degli angioletti immacolati.
Infine una considerazione. La critica all’uso delle atomiche, che abbiamo visto non essere affatto supportata da basi concrete, è di natura puramente politica. Gli Stati Uniti, in quanto vincenti sia contro le ideologie fasciste che contro quella comunista, generano molti rancori. Tali rancori danno adito ad attacchi spesso (non sempre…) pretestuosi. Da un lato gli ideologizzati di “estrema destra”, non potendo seriamente dire “nazisti e nipponici erano meglio degli USA”, si limitano ad elencare errori ed orrori, veri o presunti, dei Paesi democratici, di cui gli Stati Uniti sono il partner di maggioranza. Per quanto alcune critiche abbiano fondamento si tratta di “una conta” che inevitabilmente i “neri” sono destinati a perdere.
Ancora più squallide sono le critiche di “sinistra”. I compagni, o come si fanno chiamare adesso, da un lato si stracciano le vesti per Hiroshima e Nagasaki, dall’altro sono costretti a riconoscere che il Sol Levante “fascista” doveva essere sconfitto; da un lato fanno finta di piangere sui crimini nipponici contro le altre popolazioni asiatiche, ma dall’altro tendono a giustificare la lotta dei giapponesi (che allora si consideravano razza divina) contro il dominio dell’uomo bianco. Il 10 agosto 1945 l’Unità scrisse riguardo alle atomiche un articolo intitolato “Al servizio della Civiltà” in cui accusava di “astratto umanitarismo” coloro che ne criticarono l’utilizzo. Probabilmente erano gli stessi comunisti che fino agli anni ’80 fecero le “marce per la pace” contro gli imperialisti americani. Se le critiche “nere”, al netto della loro pretestuosità, cercano in qualche modo di pulire la storiografia da santificazioni e dannazioni spesso superficiali, quelle “rosse” dimostrano che la classica ipocrisia dei comunisti spesso sbanda in demenza da sindrome bipolare.
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