Un pensiero filosofico spesso etichettato come vicino all’ideologia di una “Nuova Destra”, collocazione rifiutata dal filosofo francese Alain De Benoist, che va oltre “schieramenti prettamente politici” fino a influenzare i concetti di Etica, Sociologia, Identità e Individuo.
Comunitarismo, o più in particolare “Comunitarismo identitario”, è un termine nato alla fine del secolo scorso negli Stati Uniti, per descrivere il funzionamento della società americana. Da qui la parola è mutata fino a indicare l’insieme di dottrine filosofiche distinte e tuttavia unite da punti che avversano il concetto di individualismo.
Il pensiero del Comunitarismo non è tuttavia contrario al Liberalismo o alla Democrazia, ma analizza ed enfatizza in modo differente le componenti stesse delle due ideologie, spostando l’attenzione dal singolo alla comunità nel suo insieme o, nella sua accezione più globale, all’intera società umana.
Il problema della priorità fra individuo e comunità ha un impatto molto significativo su gran parte delle questioni etiche, fra cui anche povertà, aborto, libertà di parola e pensiero, e multiculturalismo.
Se vogliamo necessariamente avvicinare il concetto di Comunitarismo a un’area politica, sostanzialmente si può dire che appartenga, per certi versi, sia a idee di stampo marxista che alla Destra storica ottocentesca e pre-fascista, in quanto, pur provenendo fondamentalmente dall’ideologia di Destra, ha quasi subito “analizzato” la propria essenza per giungere ad una nuova identità politica, accogliendo anche motivi storicamente appartenenti alla Sinistra anche rivoluzionaria. In pratica, quindi, il Comunitarismo si concentra sulla identificazione e comprensione delle idee “nazionalitarie” (che differiscono da quelle nazionaliste perché basate sulle “identità comunitarie” e non sulle “nazionalità”) e dell’ideologia socialisteggiante, per giungere ad un’unica politica che si dedichi allo sviluppo della comunità intesa come “società” e, in ogni caso, marcatamente anti-imperialista.
Il “Sistema Complesso” e il modello della Grecia antica
Come “società” si deve infatti intendere l’insieme organizzato degli individui, che condividono comportamenti e obiettivi, e che interagiscono per formare un gruppo o una comunità. Tralasciando la sociobiologia e la etologia sociale, riferite esclusivamente all’analisi delle società animali, sono invece da tenere in considerazione sociologia, antropologia ed economia in quanto riferite al gruppo umano. Inoltre, ultimamente, anche la fisica si sta interessando ai fenomeni sociali, principalmente dal punto di vista del cosiddetto “sistema complesso”, fino a stabilire i principi di nuove discipline scientifiche come la “Sociofisica” e la “Econofisica”.
Comunità intesa quindi in senso sociologico e antropologico soprattutto dall’esponente più rappresentativo, il giornalista, saggista e filosofo francese Alain De Benoist, classe 1943, direttore di “Krisis” e “Nouvelle Ecole”, autore di numerose opere fra cui “Le idee a posto”, “L’eclisse del Sacro”, “L’impero interiore”, “Democrazia”.
De Benoist tende alla realizzazione di una sorta di dizionario delle idee relativo principalmente ai concetti base della politica postmoderna, fra i quali ecologia, differenza, democrazia partecipativa e comunità. Nell’ottica comunitarista De Benoist asserisce quindi che “E’ necessario ripensare uno schema base delle correnti di pensiero politico e del loro coordinamento, che fino ad oggi hanno imposto categorie culturali, spirituali e ideologiche, erroneamente basate sull’ormai storicamente superato secolo dei lumi”. L’illuminismo è un retaggio che bisogna abbandonare per giungere al recupero del significato più puro di Socialità e Libertà e, conseguentemente, alla riscoperta del modello di Sovranità, che più si avvicina al concetto politico della “Città-stato” dell’antica Grecia, dove la partecipazione popolare era il fondamento della stessa vita comunitaria.
L’esempio dell’antica Grecia deve quindi essere considerato un concetto non astratto, ma un vero e proprio progetto da attuare realizzando una dopo l’altra le potenzialità ancora inespresse della democrazia, che non si accompagnano allo sviluppo di una comunità nel solo senso “affaristico-mercantile”.
“La democrazia di tipo rappresentativo – afferma De Benoist – è un limite per poter sviluppare un maggior coinvolgimento popolare alla vita politica di un paese. Credo in un Europa unita e federale, dove il concetto di nazione dovrebbe decadere in favore delle identità regionali, unite da un comune senso di appartenenza continentale”.
Lo stesso De Benoist identifica nel centralismo di una città come Roma l’origine dell’idea di Stato, anche se ad alcuni ciò può apparire anacronistico, se non addirittura arbitrario. Un’idea di Stato a cui contrapporre il federalismo delle autonomie locali (più o meno sul modello svizzero) come una sorta di garanzia della effettiva continuità fra chi governa e chi viene governato, cioè i cittadini. E’ oltremodo evidente il riferimento alla dottrina espressa da Rousseau, non a caso illuminista atipico e, se vogliamo, precursore utopista del principio della “volontà generale della popolazione” come espressione più dinamica della comunità. L’utilizzo costante dell’attività sociale è la caratteristica principale della democrazia partecipativa.
Cosa vuol dire quindi Comunitarismo? A quale tipo di comunità ci si vuole riferire? Fondamentalmente il concetto di “Comunità” è per altro ambiguo poiché, attraverso la storia, si è espresso in forme molto diverse e, non di rado, contrastanti. In questo senso, il Comunitarismo, non ha la pretesa di essere una scuola di pensiero dogmatico, ma un orientamento prima di tutto culturale, che non vuole offrire formule particolari per far funzionare la comunità, ma proporre una chiave di lettura e interpretazione.
Volendo visualizzare il pensiero comunitarista possiamo rintracciare, fra le varie interpretazioni, una difesa dei legami, delle relazioni, dei rapporti di prossimità, delle identità personali e collettive, e la volontà di recuperare un contatto diretto con l’ecosistema. Queste posizioni portano a una critica radicale dell’attuale sistema economico e culturale e dell’idea stessa di crescita economica, come corsa in avanti del sistema globale di produzione e consumo a cui si contrappone non lo sviluppo sostenibile, ma la decrescita ed il localismo.
Quella comunitarista è quindi una critica del consumismo e del modello antropologico da esso prodotto. Il Comunitarismo, sempre secondo De Benoist, “preferisce la qualità alla quantità, e la persona all’individuo. La comunità di cui si parla è una realtà radicata in un tempo e in uno spazio, come risposta alla crisi dello Stato Nazionale, ridotto a esecutore delle decisioni dei poteri economici e finanziari, con l’affermazione di vincoli di solidarietà e di una prospettiva comune, più forte del semplice contratto sociale utilitarista fra gli individui. Una comunità politica che possa sostituire, dove possibile, la democrazia rappresentativa con forme di democrazia diretta”. Un’occasione per smascherare l’illusione di necessaria giustizia del sistema di sviluppo occidentale, costruendo un percorso fatto di partecipazione e condivisione, comportamenti individuali e azioni collettive, per ridare alla comunità stessa il controllo del proprio destino.
Il fine della politica oltre la politica
Facendo seguito a tale principio, un elemento molto significativo della filosofia concettuale di Alain De Benoist è la valorizzazione dei temi ambientali. La sensibilità ecologica si riflette sulla consapevolezza politica, in quanto si basa proprio su un rifiuto delle logiche di mercato, in nome di più alti valori. Solo la prospettiva comunitaria, che mette da parte l’economia per porre l’accento sui rapporti umani e il dialogo politico tra cittadini e istituzioni, è adatta a rendere ragione della questione ecologica, vissuta in primo luogo come problema sociale, capace di coinvolgere la collettività. Si oltrepassa quindi la contrapposizione storica fra Destra e Sinistra, fra conservatorismo e progresso, per concentrarsi su problemi e soluzioni concrete, senza velleità restauratrici, ma neanche accettando passivamente lo status quo, caratterizzato da una ormai innaturale spinta al consumismo e all’economismo più esasperato. De Benoist rivaluta il momento politico a spese di quello economico e punta ad una concezione comunitaria fortemente anticonformista, in un’epoca dominata dalle logiche di mercato e da una globalizzazione che non offre il giusto risalto alle identità locali: “C’è e continuerà ad esserci la globalizzazione, ossia l’interdipendenza dei mercati, il villaggio globale, ma in quanto contenitore che deve essere riempito di contenuti. La scommessa della nostra civiltà sarà, infatti, affiancare alla globalizzazione economica, la globalizzazione dei diritti, delle identità e della giustizia. Dall’economia di mercato non possiamo passare alla società di mercato. Sarebbe drammatico. Non si uscirà mai da questo sistema, trasformandolo per renderlo più accettabile, ma cambiandone il paradigma per mettere fine alla colonizzazione della terra da parte della forma-capitale, dell’antropologia liberale e della civilizzazione del profitto”.
Se le identità locali rispecchiano, su scala minore, la comunità nel suo insieme, per tale motivo sono da considerarsi anch’esse in senso sociologico e antropologico. Identità in quanto comunità, si può intendere come struttura organizzativa sociale in un territorio di estensione limitata dove gli abitanti abbiano caratteristiche, tradizioni e abitudini comuni.
In genere, il principale elemento identificativo che accomuna individui appartenenti ad una stessa comunità è il linguaggio, e in tale ottica il termine “comunità” può anche essere riferito ad associazioni con ideologie comuni, fino ad essere considerata estensione del concetto di “famiglia”. Una dimensione di vita comunitaria che implica la condivisione di un sistema di significati, comportamenti e valori. In pratica le basi dello studio risalente a Ferdinand Tonnies (1855-1936) pubblicato nel 1877 nell’opera “Comunità e Società”.
Per estensione, dalla piccola comunità, si arriva alla comunità umana in senso generale, per il fatto che, a parte le differenze di abitudini, corsi storici o religione, il genere umano condivide valori fondamentali o, quantomeno, comuni diritti e doveri, tenendo presente come, dal punto di vista più propriamente psicologico, un individuo si rapporta alla comunità di appartenenza e alla società nel suo insieme. Se nel primo caso l’individuo è avvantaggiato da una sorta di “protezione” che gli consente di evitare traumi di vario genere (e che però ne limita il suo pieno sviluppo), nel secondo caso vi è una maggiore “esposizione” a diverse forme di rischio, ma al tempo stesso una maggiore libertà nello sviluppo delle potenzialità del singolo.
Recentemente si è poi visto come non sia necessario un contatto fisico o una particolare vicinanza geografica per formare una identità comunitaria, grazie alla tecnologia che ha sensibilmente ridotto (se non annullato) la difficoltà delle comunicazioni e le distanze.
“Dobbiamo ricostruire un pensiero critico e filosofico”
Nel concetto di Comunitarismo si può comprendere anche quello di multiculturalismo, inteso come libertà dell’individuo di poter scegliere il proprio stile di vita relativamente alla condizione socio-culturale, contrapposto al multicomunitarismo, cioè la fedeltà ad una certa comunità e ad una certa cultura.
Tuttavia, secondo il sociologo polacco Zygmund Bauman, “fino a che multiculturalismo e multicomunitarismo si confonderanno, il multiculturalismo servirà “gli interessi della globalizzazione priva di freni politici, e le stesse forze globalizzatrici avranno gioco facile con conseguenze devastanti, fra le quali la più diffusa è l’ineguaglianza intersociale e intrasociale, per altro in continuo aumento. Una soluzione a tutto questo, sarebbe il trovare forme di coabitazione e convivenza soddisfacenti o, per lo meno, accettabili: se non appare possibile una revisione dell’ordinamento sociale, è logico che chiunque possa avere il diritto di cercare il proprio posto nell’ordine della realtà, accettando però le conseguenze di tale scelta”.
Rifacendosi al pensiero del filosofo italiano Costanzo Preve, a sua volta profondo conoscitore autore di diverse opere sul Comunitarismo, “la sfida dei tempi attuali è quella di ricomporre un pensiero occidentale comunitario, o meglio “comunistico”, specialmente con l’utilizzo della critica come principale filtro e strumento”. In pratica, ricostruire un pensiero filosofico e concettuale con solide basi, lasciandosi alle spalle la pesante eredità del pensiero occidentale, che per altro Preve non demonizza né rifiuta, ma interpreta: i passati secoli di filosofia occidentale sono in ogni caso legati dalla aspirazione del singolo al vivere comunitario, contrapposto alla visione atomistica, individualista e utilitarista, protagonista assoluta dell’epoca contemporanea.
Secondo Preve per costruire un qualcosa che sia innovativo e prenda spunto dal passato, prima bisogna “distruggere”: “attraverso una serrata critica al pensiero comunitario, che nel corso della storia si è concretizzato in ideologie politiche anche totalitarie (le quali hanno puntato all’annichilimento dell’uomo in realtà sociali e statali coercitive), e attraverso una reinterpretazione del pensiero marxista e delle successive espressioni engelsiane e kaustkiane, intese come alterazioni dello stesso Marx, si arriverebbe all’intuizione che fondamentalmente Marx sia stato un elemento primario del concetto di Comunitarismo e che, in un certo senso, il comunismo sia un espressione troppo frettolosa e superficiale del Comunitarismo stesso”.
Va infatti sottolineato che, nonostante la feroce critica del Comunismo storico e novecentesco e dei suoi macroscopici errori, Preve resta comune convinto della necessità di un pensiero forte di matrice anticapitalista, ma a differenza di altri, non ne auspica uno, qualunque esso sia: cosa ben più difficile, ne propone uno scevro dagli errori insiti nel determinismo economicistico o, peggio, nell’operaismo degli anni Sessanta, ai quali attribuisce l’inevitabile deriva verso la realizzazione del Comunismo in un apparato burocratico oppressivo.
Preve, in ogni caso, non si limita a criticare l’ideologia comunista del secolo scorso, al cui crollo attribuisce anche conseguenze negative, prima fra tutte la nascita dello potere unipolare americano, ma sottopone a serrata critica anche le “false visioni comunitaristiche” quali fascismo e nazismo, in quanto vere e proprie aberrazioni che hanno schiacciato l’individuo in nome di una “ragion di Stato” modellata sul concetto di “Nazione” per il primo, e di “Razza” per il secondo.
Lo studio di Costanzo Preve tende quindi a chiarire ed escludere quegli equivoci interpretativi che la parola Comunitarismo genera nei vari ambienti politici, culturali, sociali, affermando che “non può esistere Comunitarismo senza libertà fondamentale dell’Uomo e la necessaria condivisione della partecipazione alla vita della comunità”. Discorso che si ricollega al concetto antico di Città-stato dal punto di vista di “partecipazione alla agorà”.
Se ci soffermiamo sul significato della parola “comunità”, ci accorgiamo che essa è riconducibile, in definitiva, ad un duplice senso: ciò che è in comune ed essere-in-comune.
Possiamo quindi considerare ciò che è in comune come oggetto materiale del vissuto, la comunità stessa o, più precisamente, tutte le sue componenti che devono essere messe in comune. L’essere-in-comune rappresenta invece la modalità di esistenza del libero individuo che partecipa direttamente, e insieme agli altri, a ciò che è in comune.
Comunitarismo e lavoro
Per comprendere il ruolo del lavoro nel Comunitarismo, bisogna anzitutto capire qual’è la critica delle dinamiche politico-economiche che riguardano l’ambito lavorativo, ed essere coscienti di quali ostacoli intellettuali e materiali occorre superare.
In questo caso, un aiuto è offerto dalle stesse parole di Marx: “Immaginiamo un’associazione di uomini liberi che lavorino con mezzi di produzione comuni e spendano coscientemente le loro forze-lavoro individuali come una sola forza-lavoro sociale; che decidano insieme quale parte del prodotto complessivo debba servire a sua volta da mezzo di produzione e con quali scopi, e quale parte vada consumata come mezzo di sussistenza dai membri della comunità. Immaginiamo anche che al posto del sistema capitalista delle associazioni cooperative unite, debbano regolare la produzione nazionale secondo un piano comune (come voleva fare la Comune di Parigi del 1871 – ndr)”. In pratica, i produttori dovrebbero impadronirsi dei mezzi di produzione, rovesciando i concetti dell’economia politica, abitudine che fa apparire ovvio come i rapporti fra persone siano rapporti fra cose, e che produrre sia uguale a produrre merci. Infatti, non si produce più valore, ma valori d’uso, cioè beni per determinati scopi. L’abolizione della forma di lavoro che crea valore, ha delle immediate ripercussioni anche dal punto di vista politico. Alla morte del valore corrisponderà la fine della gestione indiretta, della politica separata, e solo quando la produzione sarà concentrata in mano ad individui associati, il pubblico potere perderà il suo carattere politico e si avrà un vero sviluppo e una vera crescita. “Le persone – per concludere con De Benoist – sono state abituate a pensare che “crescita” e “sviluppo” siano fenomeni naturali, mentre durante la storia l’umanità ha ragionato diversamente. L’ideologia del progresso ha giocato da questo punto di vista un ruolo essenziale. Anche se oggi ha perso gran parte delle credibilità, la vecchia credenza secondo cui una crescita quantitativa permanente è una cosa sempre buona in sé, non ancora ha abbandonato le menti”.
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