L’impresa di Fiume: quando si aveva il coraggio di resistere ai Poteri forti. Di Michele Rallo.

Gabriele D'Annunzio.


Quando si aveva il coraggiodi resistere ai poteri forti

Si è già detto in altro articolo[1] della particolarissima situazione che, all’indomani della guerra, si era venuta a creare a Fiume: occupata dai serbi con la benedizione dei nostri cosiddetti alleati (29 ottobre 1918); liberata dagli italiani, chiamati in soccorso dalla popolazione fiumana (17 novembre); oggetto di un colpo di mano francese (28 novembre), con il risultato che alla occupazione amica dell’Italia s’era sovrapposta una seconda occupazione da parte francese. Occupazione – quest’ultima – che i fiumani avvertivano come ostile e arrogante, e che le truppe italiane consideravano a tutti gli effetti come nemica.

Durante tutto il dipanarsi del contenzioso anatolico che ci aveva visto ancora una volta osteggiati dai nostri “alleati”,[2] la vicenda di Fiume era rimasta silente ma incombente, quasi una carta di riserva che Londra, Parigi e Washington si riservavano di giocare al momento giusto contro di noi, magari per “ammorbidire” la nostra politica sulla Turchia.

IL GOVERNO NITTI

La resa dell’Italia avveniva nel giugno 1919, quando Vittorio Emanuele Orlando (colpevole di lesa maestà nei confronti del Presidente USA) veniva costretto alle dimissioni. A succedergli era chiamato il remissivo Francesco Saverio Nitti, il più “wilsoniano” fra i politici italiani.

Il cambio della guardia non poteva avvenire in un momento più critico, all’indomani del mesto ritorno della nostra delegazione al tavolo dei negoziati, alla vigilia del trattato di Versailles e, soprattutto, mentre nuove nubi si addensavano sul cielo di Fiume, città (e provincia) che Wilson e compagni pretendevano consegnare al nascente Regno Serbo-Croato-Sloveno. Nitti, peraltro, era di per sé stesso una catastrofe per gli interessi italiani, una punizione del Cielo per tutti i peccati passati, presenti e futuri della politica romana. Basti pensare che, fresco di nomina, trovava il coraggio financo di esprimere pubblicamente la sua simpatia per Thomas Woodrow Wilson, il nemico numero uno degli interessi italiani.

Così su Nitti si esprimeva l’ex ministro della Guerra, il generale Enrico Caviglia: «Il Ministro Nitti, succedendo a Orlando, nutriva per Wilson e per gli americani un’ammirazione ed un timore che trasparivano da tutti i suoi discorsi al parlamento.» E ancòra, chiamando in causa l’influenza esercitata su di lui dal Presidente degli Stati Uniti: «L’opposizione pertinace di quest’uomo [Wilson] contro le nostre aspirazioni adriatiche influenzò la volontà di tutti gli uomini politici che si succedettero, dopo il ministero Orlando, nel governo dell’Italia fino al trattato di Rapallo. Si dimenticarono le ragioni per cui noi entrammo in guerra, e parve che le nostre richieste adriatiche non fossero legittime. L’opinione pubblica italiana non mostrò più una volontà sola, ma fu divisa in due campi; mentre gli jugoslavi erano sempre tutti uniti a volere la Dal­mazia, Fiume, l’Istria, Trieste, Gorizia, eccetera. E quando Wilson e Clemenceau, i nostri acca­niti avversari, scomparvero dalla vita politica e l’ambiente internazionale divenne meno ostile a noi, la questione adriatica si sarebbe potuta risol­vere in nostro favore. Invece l’idea wilsoniana in­dusse i nostri negoziatori a rinunce che non avreb­bero fatto se quella ostilità non fosse mai esistita.»[3]

I VESPRI FIUMANI

Alla elezione di Nitti faceva immediato riscontro il brusco peggioramento della situazione a Fiume. I soldati italiani e francesi si guardavano in cagnesco, fino all’episodio che fungeva da detonatore: degli ufficiali francesi allungavano le mani su alcune donne fiumane, per strappar loro dal petto le coccarde bianco-rosso-verdi. I nostri militari reagivano, e la parola passava alle armi. Gli scontri duravano una settimana (dal 29 giugno al 6 luglio) e si concludevano con il bilancio di 9 caduti francesi e 1 italiano. I francesi – circondati dall’ostilità generale della popolazione – dovevano fare i bagagli ed abbandonare Fiume. Era una riproposizione quasi alla lettera dei Vespri Siciliani, ed infatti veniva subito battezzata “Vespri Fiumani”.

Mentre i Vespri erano ancora in corso, una delegazione guidata dal sindaco Antonio Grossich si recava a Roma da Gabriele D’Annunzio, chiedendogli di assumere la guida del movimento di resistenza fiumano.  Insieme a Grossich c’era Giovanni Host-Venturi, comandante della Legione Fiumana, una milizia semiclandestina che si era distinta durante gli scontri coi francesi; e c’era pure Giovanni Giuriati, presidente del Comitato per le Rivendicazioni Nazionali che riuniva tutte le associazioni irredentiste d’Italia (più tardi, Segretario nazionale del PNF). D’Annunzio accettava, e si conveniva di procedere all’arruolamento di volontari nell’ambito dei vari movimenti nazionalisti, da far successivamente confluire nella Legione Fiumana (che da quel momento assumerà una caratura nazionale, quella della Legione dei Volontari Fiumani).[4]

Intanto, calmatasi la situazione a Fiume con la partenza dei francesi, i nostri cari “alleati” levavano alte grida per quella che consideravano una immotivata aggressione, e pretendevano la formazione di una commissione d’inchiesta internazionale. Ma, prima ancora che la commissione si pronunziasse, il governo wilsoniano di Roma si prostrava anticipatamente al volere dei potenti: Nitti decretava d’urgenza lo scioglimento del Corpo degli Arditi – accusati di aver avuto un ruolo di primo piano nei Vespri – e la smobilitazione della 3a Armata del Regio Esercito (22 luglio). Questa, di stanza nella Venezia Giulia, era comandata dal Duca d’Aosta, Emanuele Filiberto, noto per i suoi sentimenti nazionalisti e rivendicazionisti.

Un mese dopo – il 20 agosto – la Commissione d’inchiesta interalleata decretava lo scioglimento del governo di Fiume (il Consiglio Nazionale Fiumano) e l’allontanamento dalla città di un altro corpo d’élite del nostro esercito, i Granatieri di Sardegna, che francesi e angloamericani consideravano responsabili degli incidenti.

LA MARCIA DI RONCHI

I Granatieri lasciavano Fiume il 25 agosto, ma non raggiungevano la destinazione assegnata e si fermavano poco oltre il confine, a Ronchi. Qui era già acquartierata una parte della Legione Fiumana, quella formata dai volontari che avevano iniziato a giungere da ogni parte d’Italia.[5]

D’Annunzio arrivava a Ronchi l’11 settembre, e la notte stessa si metteva alla testa di legionari, arditi e granatieri, e varcava il confine armistiziale. Il “Comandante” con la sua avanguardia motorizzata (una colonna di camion con un migliaio di granatieri) giungeva all’alba del 12 settembre alle porte di Fiume, dove trovava ad attenderlo Host-Venturi con altri reparti della Legione.

L’ingresso in città era un’apoteosi. Gabriele D’Annunzio era accolto da una popolazione in delirio, mentre il Consiglio Nazionale Fiumano, riprese le sue funzioni, lo nominava governatore della città.

Si concludeva così la prima fase dell’epopea fiumana, quella dei Vespri e della “marcia di Ronchi”. Ne sarebbe seguita una seconda, parimenti esaltante e fascinosa, quella della “Carta del Carnaro”. L’una e l’altra avrebbero fatto da battistrada per una nuova stagione rivoluzionaria che s’annunziava in Italia: la marcia su Roma sarebbe seguita da lì a poco.

N O T E

[1] Si veda: 1918: il tradimento degli Alleati contro l’Italia. // “La Risacca”, aprile 2017.

2 Si veda: 1919: l’Italia in Turchia, contro i piani inglesi. // “La Risacca”, giugno 2017.

3 Enrico CAVIGLIA: Il conflitto di Fiume. Garzanti editore, Milano, 1948.

4 Mario LAZZARINI:  L’impresa di Fiume.  Italia editrice, Campobasso, 1995.

5 Michele RALLO: Il coinvolgimento dell’Italia nella prima guerra mondiale e la “vittoria mutilata”. La politica estera italiana e lo scenario egeo-balcanico, dal patto di Londra al patto di Roma. 1915-1924. Edizioni Settimo Sigillo, Roma, 2007.


[1] Si veda: 1918: il tradimento degli Alleati contro l’Italia. // “La Risacca”, aprile 2017.

[2] Si veda: 1919: l’Italia in Turchia, contro i piani inglesi. // “La Risacca”, giugno 2017.

[3] Enrico CAVIGLIA: Il conflitto di Fiume. Garzanti editore, Milano, 1948.

[4] Mario LAZZARINI:  L’impresa di Fiume.  Italia editrice, Campobasso, 1995.

[5] Michele RALLO: Il coinvolgimento dell’Italia nella prima guerra mondiale e la “vittoria mutilata”. La politica estera italiana e lo scenario egeo-balcanico, dal patto di Londra al patto di Roma. 1915-1924. Edizioni Settimo Sigillo, Roma, 2007.

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