La campagna dell’Africa Sud Occidentale (1914-1915). Di Alberto Rosselli.

Mappa dell'Africa del Sud Ovest 1914.

La campagna dell’Africa Sud Occidentale 1914-1915

di Alberto Rosselli

Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, il governatorato tedesco dell’Africa Sud-Occidentale (l’attuale Namibia) ricevette da Berlino l’ordine di provvedere in maniera autonoma alla difesa del possedimento da qualsiasi attacco delle forze dell’Intesa: un compito decisamente impegnativo se non impossibile vista l’esiguità delle forze presenti nel possedimento che, similmente alle altre colonie germaniche d’oltre mare, ben difficilmente avrebbe potuto ricevere soccorso dalla lontana madrepatria.

Nell’agosto del 1914, l’esercito tedesco in Africa del Sud-Ovest contava infatti 140 ufficiali e 3.000 tra graduati e soldati: una compagine minuta ma tuttavia bene addestrata e comandata. Più dettagliatamente, il governatore Theo Seitz e il comandante dell’esercito, colonnello von Hydebreck (che di lì a poco, in seguito al suo improvviso decesso, sarebbe stato sostituito dal parigrado Viktor Francke) potevano fare conto sulle seguenti Compagnie Schutztruppe (i reparti coloniali tedeschi),così distribuite sul territorio. Nel Distretto Settentrionale (Comando di Windhuk) la 1a Compagnia era acquartierata a Regenstein e Seeis; la 4a a Okanjande; la 6a. a Outjo e Otavi e la 2a Batteria a Johann-Albrechts-Höhe. Nel Distretto Meridionale (Comando di Keetmanshoop), la 2a Compagnia era stanziata a Ukamas; la 3a a Kanus; la 5a a Chamis e Churufabis; la 7a a Gochas e Arahoab; l’8a a Warmbad e la 9a a Kabus. Per quanto concerneva l’artiglieria,  la 1° e la 3° Batteria risultavano distaccate a Narubis e a Kranzplatz bei Gibeon. Nel possedimento tedesco vi erano poi quasi 7.000 coloni maschi in gran parte reclutabili.

Per quanto riguardava la componente della marina tedesca presente nel 1914 nella colonia, il governatorato poteva fare conto soltanto su una piccola nave da guerra, la cannoniera Eber (unità da appena 977 tonnellate di dislocamento e 14 nodi di velocità, armata con due pezzi da 105 e sei da 37 mm.) poiché la pari categoria Panther  (nave stazionaria a Luderitz) in quel periodo si trovava in Germania per riparazioni. Abbastanza curiosamente, in Africa del Sud Ovest i tedeschi disponevano di ben tre mezzi aerei (molti se si considera l’epoca). Nel maggio 1914 erano infatti giunti dalla Germania i piloti Bruno Buchner, Alexander von Scheele e il meccanico Willi Truck con un biplano Otto e un biplano Aviatik P-14; seguiti il mese successivo da un biplano Roland Taube e da un LGF Roland Pfiel ai comandi del pilota austriaco tenente Paul Fiedler.

Durante i primi quattro mesi della campagna, i tedeschi (che sotto il profilo numerico e degli approvvigionamenti erano di gran lunga inferiori ai sudafricani) poterono quindi vantare una netta superiorità aerea sull’avversario: vantaggio che essi sfruttarono non soltanto per effettuare ricognizioni, ma anche per attaccare le colonne nemiche con rudimentali bombe ricavate da normali proiettili d’artiglieria da 4 pollici dotati di artigianali impennaggi. Fu soltanto a partire dal marzo 1915 che i sudafricani poterono disporre di due aerei BE2c forniti assieme a tre piloti e una dozzina di meccanici dalla Royal Navy. Ma poiché questi mezzi si rivelarono poco efficaci, nel successivo mese di maggio essi furono sostituiti da sei più moderni Henri Farman di fabbricazione francese. Al termine della primavera del 1915 i sudafricani arriveranno a schierare una decina tra biplani di fabbricazione inglese e francese (B.E.2 e Farman), strappando ai tedeschi il dominio dell’aria.

Nell’estate 1914, i sudafricani e i britannici presenti nella colonia del Capo potevano fare conto, almeno sulla carta, su un esercito composto da circa 43.000 europei più 33.000 tra ausiliari e portatori neri. Oltre a ciò, essi disponevano di alcune decine di migliaia di quadrupedi e di un buon quantitativo di mitragliatrici e di un più che sufficiente parco artiglierie e mezzi a motore. Senza contare il supporto fornito dalla Royal Navy. Il divario risultava quindi evidente, ma i tedeschi speravano che gli inquieti boeri (coloni di origine olandese presenti in Sudafrica che, come è noto, tra il 1899 e il 1902, avevano combattuto una dura guerra contro gli inglesi) si rifiutassero di schierarsi al fianco dei loro vecchi nemici in guerra con la Germania. Ricordiamo, a questo proposito, che già prima dello scoppio del Primo Conflitto, molto accortamente il Comando tedesco di Windhoek aveva provveduto ad accatastare un certo quantitativo di armi e munizioni da assegnare, nell’eventualità di una loro seconda rivolta anti-inglese, ai coloni boeri. Questi ultimi infatti non potevano certo dimenticare che, durante le fasi finali della guerra contro i britannici, Lord Horatio Kitchener non aveva esitato ad adoperare il pugno di ferro anche contro tutta la comunità sudafricana di origine olandese, facendo bruciare fattorie e raccolti e rinchiudendo donne, bambini e vecchi in campi di concentramento. Proprio per queste ragioni e a dimostrazione della fondatezza delle ipotesi tedesche, nell’estate del 1914, non pochi Afrikaners intravidero nella nuova contesa tra Germania e Gran Bretagna una concreta opportunità per liberarsi dal giogo inglese. Anche se, a dire il vero, la maggior parte dei militari e dei civili boeri preferirà seguire le direttive del loro carismatico leader Louis Botha, fedele alla Corona britannica. Non a caso, all’inizio di agosto del 1914, Botha si premurò di telegrafare a Londra riferendo che la South African Defence Force (le forze armate sudafricane), non soltanto avrebbe protetto i territori dell’Impero da qualsiasi aggressione nemica, ma all’occorrenza avrebbe anche attaccato la confinante colonia tedesca dell’Africa del Sud-Ovest.

L’8 agosto 1914, il governatore tedesco Theo Seitz, ordinò la mobilitazione generale, emanando nel contempo una serie di disposizioni atte a garantire l’integrità dei confini, sia nei confronti di un’eventuale offensiva britannica da sud, sia per arginare possibili colpi di mano portoghesi da nord. Pur non sussistendo ancora, nel 1914, uno stato di belligeranza tra Germania e Portogallo (le due nazioni entreranno in guerra soltanto il 9 marzo del 1916), lungo i confini che separavano l’Africa del Sud-Ovest dall’Angola lusitana si erano verificati diversi scontri a causa di vecchi contenziosi territoriali: scaramucce che con il passare del tempo si sarebbero trasformate – come vedremo – in una vera e propria guerra non dichiarata. Temendo, inoltre, un attacco nemico sia dal versante costiero che sud-orientale, il governatore tedesco ordinò la discutibile demolizione delle stazioni radio di Swakopmund e Lüderitz (che inevitabilmente ridussero le sue possibilità di contatti con la madrepatria) e la partenza delle ultime due unità navali tedesche presenti nel porto di Swakopmund, la Arnold Amsinck e l’Eturia che, con a bordo un carico di posta e prodotti, salparono alla volta del Sud America.

Si dovette attendere però il 23 agosto per vedere le Schutztruppen in azione. In questa data, infatti, nei pressi della località di Kummernais, ebbe luogo il primo combattimento tra reparti tedeschi e sudafricani, seguito di lì a breve da altre scaramucce nella zona di Nakop e di Beenbreckt. Il 4 settembre, un battaglione al comando del capitano Oskar Scultetus tentò di sferrare un attacco contro l’enclave costiera britannica di Walvis Bay: operazione che tuttavia non sortì alcun successo a causa della reazione della guarnigione inglese, validamente appoggiata dalle artiglierie di alcune unità della Royal Navy ancorate in rada.

Assillato dall’eventualità di possibili infiltrazioni nemiche lungo i confini della colonia, verso la metà di agosto Seitz – che non disponeva di sufficienti truppe per controllare l’intero perimetro del vasto possedimento – fece demolire il tratto di ferrovia che univa Swakopmund e Nonidas, non prima però di avere portato in salvo tutto il materiale rotabile. E il 1° settembre egli fece anche abbandonare gli uffici governativi di Pomonahugel e Bogenfels, località considerate troppo esposte ad eventuali colpi di mano sudafricani.

Pochi giorni più tardi, in seguito alla dichiarazione di guerra da parte dell’Unione Sudafricana alla Germania (9 settembre 1914), reparti a cavallo del generale Botha iniziarono egualmente a varcare in più punti la frontiera dell’Africa del Sud-Ovest, occupando, il giorno 13, la località di Ramansdrift. Il piano di invasione ideato da Botha comportava una penetrazione da più parti e quasi simultanea in territorio nemico. Nella fattispecie, due colonne al comando dei generali Henry Lukin e Jacob van Deventer sarebbero avrebbero invaso il possedimento da sud, occupando Sandfontein e Kiriis West; mentre una terza, al comando del generale Berrangé, proveniente da Kimberley, avrebbe attraversato la Beciuania meridionale, attaccando la colonia da sud-est e puntando anch’essa su Kiriis West, ma anche su Keetmanshoop. Oltre a ciò, due corpi trasportati da unità della Royal Navy (uno agli ordini del colonnello P.S. Beves e l’altro agli ordini dello stesso Botha) sarebbero sbarcati rispettivamente a Lüderitz e a Swakopmund, per poi puntare (il primo lungo la direttrice Aus–Gibeon, e il secondo passando per Karibib) sulla capitale Windhoek, dove, secondo i piani, sarebbero poi confluite le altre tre colonne provenienti da sud.

Verso la metà del settembre 1914, l’ammiraglio Herbert King-Hall, comandante della base navale di Città del Capo, provvide ad inviare una nave da guerra a Walvis Bay, sia per proteggerne l’isolato insediamento inglese, sia per effettuare cannoneggiamenti contro località ed installazioni nemiche tedesche, tra cui la non lontana città di Swakopmund dove era ubicata una delle tre stazioni radio tedesche (le altre due si trovavano a Lüderitz e a Windhoek). Gli impianti di Swakopmund vennero ripetutamente colpiti (il 23, il 24 e il 30 settembre) dall’incrociatore ausiliario Armadale Castle.

Il 19 settembre, il contingente del colonnello P. S. Beves (che in seguito verrà rimpiazzato dal generale Duncan McKenzie), composto da 1.824 uomini, prese terra a Lüderitz, scarsamente difesa dai tedeschi. Dopo l’occupazione del porto e della città, i sudafricani provvidero a radunare tutti i coloni bianchi presenti, deportandoli in Sudafrica, nonostante le vibranti proteste del governatore Seitz. Durante il ripiegamento verso l’interno dei reparti tedeschi, il capitano Münstermann riuscì a fare saltare alcuni tratti della ferrovia che univa Lüderitz ad Aus, impedendo così agli inglesi di mettersi subito all’inseguimento. Anche perché, prima di demolire la linea, i tedeschi avevano fatto trasferire tutto il materiale fisso e rotabile presso la stazione di Tschaukaib. Volendo ristabilire l’efficienza degli impianti cittadini, i sudafricani avevano nel frattempo ripristinato la centrale elettrica di Lüderitz, che Seitz aveva fatto sabotare prima della ritirata, rifornendo così tutto il comprensorio, tra cui la non lontana Kolmanskop che era ancora occupata dai tedeschi.

Più o meno nello stesso periodo, un secondo corpo di spedizione di quasi 2.500 uomini, al comando del brigadiere generale Henry Timson Lukin, si trasferì da Città del Capo a Port Nolloth, centro costiero sudafricano della regione del Namaqualand. Il compito di questo raggruppamento sarebbe stato quello di attaccare la colonia tedesca da sud. Nella fattispecie, la cavalleria di Lukin avrebbe dovuto raggiungere e porre sotto controllo i guadi sul fiume Orange (corso che segnava il confine tra il Sudafrica e l’Africa del Sud-Ovest), in attesa dell’arrivo del grosso dell’esercito. E fu proprio nel corso di questa operazione che i sudafricani andarono incontro al loro unico, grave rovescio dell’intera campagna. Una volta sbarcato, il brigadiere generale Lukin stabilì il suo quartiere generale a Steinkopf, località situata lungo una ferrovia a scartamento ridotto che attraversava l’arido deserto occidentale fino a O’Kiep. Le forze al comando di Lukin erano considerevoli. Esse erano composte  per la maggior parte di efficienti reparti di fanteria a cavallo (cinque battaglioni dei South African Mounted Rifles più due batterie della Transvaal Horse Artillery), e un reggimento di fanteria, i Witwatersrand Rifles. Riordinate le truppe, Lukin inviò due battaglioni dei Mounted Rifles a prendere possesso dei Banchi di Raman (Raman’s Drift), situati lungo il fiume Orange. Raggiunto l’obiettivo, i reparti a cavallo individuarono ed incalzarono per circa 25 miglia in direzione nord-est un piccolo manipolo tedesco posto a guardia del fiume. Il 24 settembre, il grosso della forza di Lukin arrivò ai Raman’s Drift e il giorno seguente una compagnia sudafricana composta da 120 uomini al comando del capitano E. J. Welby si spinse fino a Sandfontein, una località situata ai piedi di una kopje (collina) di forma conica altra 150 piedi, ubicata circa 25 miglia all’interno del territorio germanico. Sandfontein, presso la quale i tedeschi avevano edificato un piccolo presidio, rivestiva una notevole importanza soprattutto per la presenza di diversi pozzi d’acqua. La possibilità di disporre di questi ultimi avrebbe infatti consentito ai reparti a cavallo di Lukin di proseguire la loro marcia verso l’interno della colonia.

Una volta accampato, il reparto di Welby venne però improvvisamente attaccato dai tedeschi. Venuto a conoscenza tramite telegrafo del fatto, Lukin inviò il tenente colonnello R. C. Grant con uno squadrone del 1° South African Mounted Rfles, due cannoni da 13 libbre e una sezione di mitragliatici della Transvaal Horse Artillery, a dare manforte a Welby. E dopo una lunga cavalcata notturna, Grant raggiunse Sandfontein, alle 07.25 del 26 settembre, trovando Welby ben posizionato a difesa della collina. Tuttavia, prima che gli uomini di Grant potessero smontare da cavallo, una vedetta riferì che una colonna tedesca stava avanzando da nord-est e che la linea telefonica con i Raman’s Drift risultava tagliata. Grant corse quindi sulla cima del colle e vide un grosso reparto di cavalleria germanica, con al traino sette pezzi da campagna da 77 millimetri, avanzare al galoppo da est e un reparto meno consistente giungere simultaneamente da ovest. Si trattava delle unità Franke, Bauszus, Ritter e Razzard, agli ordini del colonnello delle  Schutztruppen Joachim von Heydebreck al quale il comando tedesco aveva ordinato di sloggiare i sudafricani da Sandfontein

Il tenente F. B. Adler, responsabile della sezione di artiglieria britannica, posizionò i suoi pezzi e aprì il fuoco alle 08.00, quando i tedeschi si trovavano a circa 4.000 iarde di distanza. Pochi minuti più tardi, una violenta salva di artiglieria tedesca investì però la posizione britannica, provocando una mezza dozzina tra morti e feriti e l’uccisione di molti quadrupedi. Welby e Grant stimarono che le forze del colonnello von Heydebreck fossero dieci volte superiori alle loro, ma si apprestarono comunque ad una difesa ad oltranza della strategica posizione.. Alle 10.30, una granata tedesca distrusse un cannone e tutti gli artiglieri, compreso un sergente maggiore, rimasero uccisi o feriti. Il restante pezzo dovette quindi essere manovrato da due artiglieri feriti e da alcuni soldati. Alle 11.00, i tedeschi ricevettero dalle retrovie altri due pezzi da campagna, raggiungendo la disponibilità di ben 10 armi. Il tenente Adler diresse personalmente il tiro del suo ultimo cannone, finché rimase senza munizioni. Dopodiché si preoccupò di danneggiarne la culatta per renderlo inservibile. Alle ore 13.00, il combattimento cessò temporaneamente, ma un’ora più tardi i tedeschi lanciarono un attacco, venendo però respinti. Alle 17.00, tutti i pezzi germanici concentrarono il loro fuoco contro la posizione tenuta dai sudafricani che nonostante nuove perdite continuò a resistere, grazie anche alla determinazione di Grant, che nel frattempo era stato ferito seriamente. Alle 18.00, i tedeschi lanciarono un nuovo attacco contro la posizione e poco dopo i sudafricani furono costretti ad arrendersi. A quel punto accadde qualcosa di veramente curioso. Non appena il fuoco cessò, sia i soldati tedeschi che quelli sudafricani, ormai arsi dalla sete, posarono le armi e si misero a correre in direzione dei pozzi di Sandfontein situati nella terra di nessuno. E giunti sul posto bevvero a più non posso, e insieme, ridendo e scherzando come si fa tra amici. Nello scontro di Sandfontein i sudafricani avevano avuto 16 morti e circa 50 feriti, e i tedeschi 14 morti, tra cui il maggiore von Rappart, considerato uno dei migliori ufficiali delle Schutztruppen, più una cinquantina di feriti.

E fu così che il primo tentativo sudafricano di invasione terrestre della colonia tedesca si tradusse in una sconfitta. Anche perché il generale Lukin aveva dimostrato di non possedere idee chiare circa la consistenza delle forze nemiche in questo settore, complice lo Stato Maggiore che appena tre giorni prima dello scontro di Sandfontein, aveva ricevuto precise informazioni su movimenti di convogli ferroviari tedeschi carichi di truppe diretti verso il sud della colonia. Incredibilmente, però, la notizia era stata inoltrata a Lukin non per via telegrafica, ma mediante una staffetta che non fece a tempo a recapitargli l’importante dispaccio. La battuta di arresto di Sandfontein mise temporaneamente fine ai tentativi di infiltrazione nel sud della colonia nemica, anche perché nel frattempo i sudafricani di Botha si erano trovati ad affrontare un nuovo, grave ma prevedibile problema: la rivolta dei coloni boeri filo-tedeschi dell’Orange River e del Transvaal.

Anche a fronte della nuova emergenza, di cui avremo modo di parlare, per tutto il mese di settembre e di ottobre il territorio dell’Africa del Sud-Ovest fu comunque teatro di diversi episodi bellici. Il 21 settembre, nella parte orientale della colonia tedesca, la località di Schuckmannsburg e l’intero Dito di Caprivi (lasciato dai tedeschi quasi completamente sguarnito) furono occupati truppe sudafricane e subito sottoposti all’amministrazione della Northern Rhodesia Police. Mentre otto giorni più tardi, le truppe di McKenzie ripresero da Lüderitz la loro marcia verso l’interno, raggiungendo la stazione ferroviaria di Grasplatz. Il 30 settembre, più a nord, le forze di Botha, sbarcate a Swakopmund, costrinsero i tedeschi a ritirarsi con gli ultimi convogli ferroviari verso l’interno, in direzione di Karibib. Nonostante questi rovesci, ancora per alcune settimane le forze germaniche dimostrarono di sapere reagire, costringendo le avanzanti colonne sudafricane a rallentare sensibilmente la loro marcia verso la parte centrale della colonia. Il 26 ottobre, il pilota austriaco Paul Fiedler decollò con il suo velivolo Roland effettuando una missione  di ricognizione sulla località Steinkopf, fornendo utili notizie circa i movimenti delle truppe nemiche. E il 30 ottobre, nel profondo sud, alcuni reparti tedeschi a cavallo riuscirono a penetrare per un certo tratto in territorio sudafricano, distruggendo un paio di chilometri della line ferrata che collegava Steinkopf a Port Nottoth.

Intanto, molto a settentrione, lungo la linea di demarcazione tra la colonia tedesca e l’Angola portoghese, erano scoppiati diversi incidenti. Il 31 ottobre 1914, alcuni reparti germanici al comando del capitano Oswald Ostermann avevano lasciato il caposaldo di Nkurenkuru sul fiume Cubango effettuando un raid contro il forte portoghese di Cuangar, che venne distrutto. Dopo lo scontro, nel corso del quale diversi soldati portoghesi e civili vennero uccisi, il governo lusitano accuserà la Germania di avere proditoriamente attaccato il possedimento di un paese neutrale, infierendo anche sulla popolazione civile (non a caso, Lisbona definirà questo scontro come il “massacro di Cuangar”). Per dovere di cronaca, occorre però ricordare che nello stesso periodo anche i portoghesi avevano violato i confini dei possedimenti tedeschi in Africa. Nella fattispecie, i lusitani avevano effettuato, sia partendo dall’Angola meridionale che dal Mozambico settentrionale, diversi attacchi contro località dell’ Africa del Sud-Ovest e del Tanganika. E tutto ciò ben prima che la Germania dichiarasse guerra al Portogallo (9 marzo 1916).

La rivolta dei dissidenti boeri

Come si è visto, fino dall’inizio della guerra il leader Louis Botha e il ministro della Difesa Jan Smuts si erano dichiarati fedeli sostenitori della causa britannica, anche se alcuni alti gradi del suo esercito erano ancora incerti sul da farsi. Alcuni el3ementi di spicco della comunità boera, tra cui Christian De Wet, pensavano infatti di approfittare della guerra per liberarsi degli inglesi. Nell’ottobre 1914, fu proprio Christian De Wet a mettersi a capo della rivolta dell’Orange River Colony, imitato poco dopo da Jacobus Hercules (“Koos”) De la Rey che, tuttavia, venne quasi subito eliminato dalla polizia inglese. De Wet non fu però l’unico personaggio a fomentare la rivolta degli Afrikaners. Anche Christiaan Frederik Beyers, il comandante della forza di difesa dell’Unione del Sudafrica, rassegnò le dimissioni e si unì a lui. Poco prima dello scoppio della guerra, Beyers, che si trovava in Germania, aveva assistito alle manovre dell’esercito tedesco, rimanendo impressionato dall’efficienza della macchina da guerra del Kaiser e, lusingato dalle attenzioni che aveva ricevuto dai più alti ufficiali prussiani, egli aveva preso a cuore la causa tedesca. Cosa che accadde anche al generale Jan Christoffel Greyling Kemp che, dopo avere anch’egli comunicato a Botha le proprie dimissioni, passò con i ribelli. Ma il personaggio forse più temuto da Botha fu  senz’altro il colonnello Salomon Gerhardus (“Manie”) Maritz, comandante del distretto militare di Upington. Allo scoppio della guerra, Botha ordinò a Maritz di recarsi a Pretoria per prendere ordini, ma questi si rifiutò, dichiarando che avrebbe combattuto non a fianco degli odiati inglesi, ma a sostegno dei coloni tedeschi dell’Africa Sud-Occidentale.

Il 9 ottobre 1914, ad Upington, Maritz arringò le sue giovani truppe e le incitò a prendere le armi contro gli inglesi. E tutti gli uomini, tranne una sessantina, aderirono alla rivolta. Quindi, la colonna si mise in marcia verso il territorio tedesco unendosi, il giorno 10, ad Ukamas, ai reparti del kaiser. L’annuncio ufficiale della sommossa fu dato soltanto il 26 ottobre, allorquando Botha decise di denunciare i capi ribelli e di scendere in campo a fianco dei britannici contro di essi. Dimostrando di apprezzare questa mossa, il Comando di Londra offrì al leader sudafricano rinforzi (nella fattispecie un contingente australiano destinato al fronte europeo che proprio in quei giorni stava transitando a bordo di piroscafi al largo di Città del Capo), ma Botha preferì saggiamente farne a meno, puntando tutto sui lealisti afrikaner. Con molta rapidità, egli fece armare ed equipaggiare tutti i riservisti, radunando in pochi giorni a Vereeniging, nel Transvaal meridionale, 6.000 soldati a cavallo, appoggiati da una sezione di artiglieri composta da una dozzina di pezzi. Per prima cosa, Botha decise di dare la caccia a De Wet che nel frattempo si era dato alla macchia con i suoi fedeli. Alcuni informatori riferirono che il capo ribelle si trovava a Mushroom Valley (località situata circa 60 miglia a nord-est di Bloemfontein). Botha, al comando di un forte contingente di cavalleria appoggiato da alcuni pezzi d’artiglieria, si precipitò sul posto e all’alba del 12 novembre piombò sulle forze di De Wet, che proprio qualche giorno prima aveva perso il figlio Danie nel corso di una schermaglia con gli inglesi. De Wet cercò di opporre una qualche resistenza, ma alla fine dovette ritirarsi verso le vicine montagne per poi dirigersi verso il deserto del Kalahari, inseguito dal colonnello Coenraad (“Coen”) Brits, uno dei più brillanti ufficiali di Botha. Grazie all’utilizzo di numerose cavalcature e perfino di camion e autovetture, Brits riuscì infine a raggiungere De Wet e i suoi pochi esausti fedeli, catturandoli. Era il 1° dicembre 1914.

Più o meno nello stesso periodo anche il leader ribelle Beyers venne sbaragliato dalle truppe lealiste. Beyers morì annegato mentre tentava guadare il fiume Vaal. Un altro capo ribelle, tale Kemp, sfuggì anch’egli attraverso il deserto del Kalahari, per cercare di raggiungere il territorio tedesco, ma venne catturato dalle forze mobili del generale Louis Jacob (”Jaap”) van Deventer. 

Eliminate le ultime sacche di resistenza, Botha offrì un’amnistia a tutti i rivoltosi ancora alla macchia che avessero spontaneamente deciso di arrendersi non oltre il 15 novembre 1914: scadenza che, tuttavia, venne procrastinata al 12 del mese successivo e infine al 21 di dicembre. La fallita sommossa degli 11.500 afrikaners filo-tedeschi (furono 30.000 i boeri che preferirono schierarsi nelle file dei lealisti di Botha), costò ai governativi 347 tra morti e feriti, e ai ribelli circa 540. Il 28 novembre l’ammiraglio King-Hall venne informato da Botha che il governo sudafricano era pronto a riprendere la campagna nell’Africa Sud-Occidentale Tedesca.

L’esercito dell’Unione sudafricana che si mosse alla conquista dell’Africa Sud-Occidentale tedesca era composto da unità regolari e irregolari, rinforzati da un reggimento rhodesiano, qualche piccolo reparto inglese e una squadra di autoblindo fornita dalla Royal Navy. Nello schieramento di Botha, militavano anche diversi avventurieri, tra cui l’abile e violento Scotty Smith (al secolo George St. Leger Gordon Lennox), un mercenario che, almeno così sembra, aveva combattuto con gli inglesi lungo la frontiera nord-settentrionale dell’India, e in Spagna, durante le Guerre Carliste. Sembra anche che Scotty Smith avesse poi capeggiato per qualche tempo, lungo il confine del Bechuanaland (Botswana), una banda formata da ladri di bestiame.

I volontari stranieri che si unirono alle forze dell’Unione Sudafricana, militando nel Mounted Burgher Corps provenivano da ogni angolo del globo. Molti di essi avevano combattuto contro gli inglesi durante la Guerra dei Boeri. Quasi tutti indossavano divise molto personalizzate e stravaganti. Portavano un grosso fazzoletto al collo, bandoliere portamunizioni a tracolla e il loro fucile incappucciato in una custodia di cuoio attaccato alla sella del proprio cavallo. Erano uomini rudi, infaticabili, ma molto indisciplinati e poco affidabili. Alcuni di essi, inviati nelle retrovie tedesche per effettuare ricognizioni, scomparvero per molti giorni, facendo ritorno alla base con molti capi di bestiame razziati, ma in compenso con nessuna informazione utile. Ma non tutti questi volontari avevano fegato da vendere come erano soliti dire di se stessi. Durante un modesto scontro avvenuto a Lutzputs, uno di questi volontari alla sola vista di una pattuglia tedesca fuggì al galoppo e non si fermò prima di avere coperto venti miglia. Non a caso, la quasi totalità degli ufficiali regolari sudafricani non amavano i reparti composti da questi “irregolari”. Soltanto Botha riuscì, con il tempo, a fare di questi volontari dei soldati appena passabili. Pur non amando le teste matte, il leader sudafricano li accettò infatti nel suo esercito, cosa che però non fece nel caso dei “Bastards”, “meticci” nativi dell’Africa del Sud-Ovest che in un primo tempo combatterono a fianco dei tedeschi, passando in seguito al nemico. Quando il leader di questa curiosa congrega di mercenari (i Rehobeth Bastards), Cornelius van Wyk, apprese dell’arrivo di Botha a Swakopmund (11 febbraio 1915), si affrettò ad incontrarlo per offrirgli i suoi servigi. Ma Botha lo persuase a lasciare perdere: “Grazie. Ma si faccia da parte. Questa è una guerra tra uomini bianchi, cioè persone civili”.

Botha si fermò Swakopmund per parecchi giorni, i compagnia delle sue truppe e del suo figliolo più giovane, Jantje, (il primogenito era già da tempo sotto le armi). In questo periodo di sosta egli provvide a riorganizzare il Corpo di Spedizione Nord ed inviare come rinforzo alla vicina base di Walvis Bay alcuni forti reparti a cavallo al comando di esperti ufficiali come Martinus Wilhelmus Myburgh, Coenraad Brits e Manie Botha (un nipote del leader). Rafforzata la duplice testa di ponte di Swakopmund e Walvis Bay, il leader sudafricano pose quindi le basi per la successiva avanzata verso Karibib e Windhoek.

Questa scattò poche settimane più tardi, ma si rivelò subito difficoltosa, sia a causa della resistenza tedesca, sia per la presenza nel deserto costiero della Namibia di pozzi avvelenati e di terreni minati. Botha inviò al colonnello Viktor Francke, il nuovo comandante delle Schutztruppen, succeduto al colonnello von Hydebreck, rimasto ucciso dall’esplosione accidentale di una bomba da aereo, una vibrante lettera di protesta. Ma Francke rispose che  l’utilizzo di mine e l’avvelenamento dei pozzi erano pratiche perfettamente legali, in quanto egli aveva provveduto ad impiantare vistosi cartelli. Va comunque detto che nessun soldato sudafricano perse la vita a causa del veleno immesso nei pozzi dai tedeschi e tanto meno dalle rudimentali e rare mine lasciate dal nemico lungo i sentieri. Ciò che causò perdite tra le truppe di Botha furono invece i pozzi puliti in quanto la loro acqua risultò talmente cattiva da causare fortissime gastriti e coliti. Per la cronaca, anche lo stesso Botha stette malissimo proprio per avere ingerito quest’acqua. Successivamente, il leader sudafricano darà ordine affinché grossi quantitativi di acqua potabile venissero trasportati per nave da Cape Town a Swakopmund dove egli fece costruire ed allestire grandi cisterne e un attrezzato ospedale da campo, presso il quale lavorò anche, in qualità di infermiera, sua moglie Annie.

A metà febbraio, intanto, sul fronte meridionale, le forze di van Deventer erano riuscite a scacciare i tedeschi da Upington e Lüderitzbucht, mentre una colonna di 2.000 uomini al comando del colonnello C. A. Berrangé marciò contro la ferrovia da Kuruman, riunendosi il 14 aprile (a Kiriis West) alle forze di van Deventer. L’11 aprile, il generale Jan Smuts prese il colmando della intera Forza Sud che con un’ampia manovra aveva circondato i reparti tedeschi di stanza nel sud della colonia. In tre giorni le sue colonne raggiunsero la ferrovia centrale che scorreva lungo l’asse sud-nord del possedimento e che i tedeschi avrebbero voluto usare per una loro eventuale ritirata verso settentrione. E tutto ciò si verificò più o meno quando la Forza Nord di Botha stava ultimando l’attraversamento del deserto della Namibia, in direzione di Karibib.

I tedeschi, intanto, arretravano con ordine e lentamente, contrattaccando quando se ne presentava l’opportunità. Erano ancora forniti di artiglieria, mitragliatrici, munizioni e provviste. La notte del 25 aprile una colonna di soldati sudafricani e rhodesiani al comando del colonnello P. C. B. Skinner, inviata da Botha a perlustrare la linea ferroviaria a nord di Trekkopjes, si scontrò con un battaglione tedesco che si apprestava a contrattaccare le forze dell’Unione in marcia verso l’interno. Skinner dovette ritirarsi e a trincerarsi rapidamente a Trekkopjes, dove le fanterie tedesche, appoggiate da due batterie, lo attaccarono con violenza. Skinner, che disponeva di un solo pezzo antiaereo artigianale  da 15 libbre (soprannominato dai suoi uomini “Skinny Liz”) montato su ruote ricavate da un vagone ferroviario, si trovò subito in difficoltà e fu quindi costretto a chiedere rinforzi che, per sua fortuna, arrivarono in tempo. A ribaltare le sorti della battaglia fu un gruppo di autoblindo della Royal Navy al comando del tenente comandante Whittall, giunte da poco al fronte. Pochi giorni prima, questi mezzi erano stati avvistati da un ricognitore tedesco, ma il pilota li aveva scambiati per un treno di cucine da campo. Le autoblindo, grazie alla loro estrema mobilità e alla loro corazzatura, attaccarono i fianchi dello schieramento di fanteria tedesco, bersagliandolo con le mitragliatrici Maxim di cui erano dotate, costringendo le truppe germaniche al ripiegamento. Al termine della battaglia, che durò cinque ore, i tedeschi lasciarono sul campo 14 morti, altrettanti feriti e 15 prigionieri, mentre i sudafricani ebbero 8 morti e 34 feriti. La strada per Karibib era aperta.

Per Botha, quest’ultima località rivestiva una notevole importanza, sia per la presenza di una grossa stazione ferroviaria, sia per il fatto che, una volta superata Karibib, la capitale Windhoek sarebbe stata a portata di mano. Prevedendo questa manovra, inizialmente il colonnello Francke concentrò una grande forza a difesa di Karibib, ma poco più tardi (temendo probabilmente di venire accerchiato) egli preferì fare arretrare i suoi reparti a Windhoek. E fu così che, senza incontrare grandi ostacoli, il 5 maggio 1915, il South African Irish entrò in Karibib, seguito il giorno seguente dai Rand Rifles e dallo stesso Botha alla testa del suo quartiere generale. Nel frattempo, tra il 25 e il 26 aprile, la Forza Sud di Smuts, dopo avere occupato Keetmanshoop, aveva sostenuto un cruento ed incerto scontro a Gibeon. Pur concludendosi con la ritirata dei tedeschi, la battaglia si era rivelata per i sudafricani una vittoria dimezzata. Le avanguardie a cavallo, infatti, non avevano provveduto per tempo a tagliare la linea ferroviaria alle spalle dei tedeschi che quindi poterono utilizzare gli ultimi convogli ferroviari in loro possesso per sgomberare la zona e ripiegare rapidamente su Windhoek.

Dopo l’arrivo dei reduci di Gibeon nella capitale, il colonnello Francke esaminò la situazione e in considerazione del fatto che di lì a pochi giorni Windhoek sarebbe stata attaccata sicuramente da due lati (da nord-ovest dalla colonna di Botha e da sud da quella di Smuts) decise di abbandonare la capitale, anche per evitare un inutile strage di civili. E fu così che il 15 maggio 1915 le Schutztruppen iniziarono a ripiegare verso settentrione, in direzione di Omaruru, portando con loro la maggior parte dei prigionieri. Windhoek, l’obiettivo primario di tutta la campagna, venne quindi occupata senza combattimenti degni di nota. La città apparve ai sudafricani come un miraggio. Adagiato su verdi colline, l’agglomerato urbano, che a quel tempo contava circa 8.000 anime, era formato da case in muratura linde e pulite e da ordinati edifici pubblici. Su un colle dominante la città spiccava un castello in puro stile tedesco e poco lontano gli alti tralicci della più potente stazione radio africana a sud dell’equatore. Dopo la ritirata delle Schutztruppen, a Windhoek erano rimasti pochi adulti bianchi, ma molte donne e bambini.

L’11 maggio, dopo essersi consultato con il colonnello Francke, il governatore Theodor Seitz, volle mettersi in contatto con Botha, per discutere le eventuali condizioni di resa. Per l’occorrenza, le parti stabilirono un armistizio di quarantotto ore, con decorrenza a partire dal 20 maggio, e per l’incontro venne scelta la località di Giftkop, situata 30 miglia a nord di Karibib. Durante i colloqui, Seitz propose, in cambio dell’interruzione dei combattimenti, che la porzione nord della colonia rimanesse ancora sotto il suo governo, almeno fino alla fine della guerra in Europa. Ma Botha respinse questa eventualità, esigendo una resa senza condizioni: diktat che i tedeschi respinsero con sdegno, ponendo così termine all’incontro. La guerra sarebbe dunque proseguita fino alla totale distruzione di ciò che rimaneva dell’esercito germanico.

Rientrato al suo quartiere generale, Botha decise di riorganizzare le sue truppe e per trasferire a  Swakopmund e nel nord-est tutti i reparti ancora dislocati nel sud della colonia. Il 18 giugno, i sudafricani ripresero l’offensiva entrando, due giorni più tardi, a Omaruru, già sgomberata dai tedeschi. Poi, il 1° luglio, il colonnello Coen Brits puntò con i suoi reparti su Otavi, mentre Botha fece una sosta per consentire alla sua affaticata fanteria di radunarsi. I suoi uomini avevano infatti marciato consecutivamente per sei giorni e con appena un quarto di razioni di acqua. Comunque sia, le rimanenti 80 miglia che li separavano da Otavi, vennero da essi coperte in appena quattro giorni. Pressati da più direzioni, i tedeschi, asserragliati nelle estreme località settentrionali di Namutoni e Tsumeb, si dissero nuovamente pronti a trattare una tregua. Facendo finta di non essere al corrente della cosa, i cavalleggeri del colonnello Myburgh, dietro ordine di Botha, effettuarono un rapido movimento aggirante lungo il fianco sinistro dello schieramento tedesco, onde impedire al nemico una qualsiasi eventuale ritirata verso il confine angolano. Nei giorni che seguirono, a Gaub la cavalleria sudafricana batté un piccolo reparto tedesco, raggiungendo infine Tsumeb, la stazione ferroviaria più settentrionale della colonia,  sede, tra l’altro, di un fornito deposito di pezzi di ricambio. Alla vista dei reparti a cavallo sudafricani, la modesta guarnigione tedesca di Tsumeb non reagì quasi, anche perché il suo comandante era convinto che fosse in corso un cessate il fuoco. Resosi conto delle intenzioni dei sudafricani, l’ufficiale chiese invano che la tregua venisse rispettata e che il reparto nemico abbandonasse subito la cittadina. A quel punto, Botha, già al corrente dei fatti, contattò telefonicamente il comandante tedesco spiegandogli che la tregua era da considerarsi applicabile soltanto all’area attorno ad Otavi e che quindi il colonnello Myburgh aveva la potestà per imporre alla guarnigione di Tsumeb una resa immediata. Cosa che puntualmente si verificò. A Tsumeb, Myburgh mise le mani su grosse quantità di armi, munizioni e scorte, anche perché all’inizio della guerra, proprio in questa località, il governatore Seitz avevano fatto immagazzinare tutto il materiale bellico con il quale egli avrebbe voluto equipaggiare i “ribelli” sudafricani. Nella località i sudafricani trovarono anche un campo pieno di prigionieri britannici e di “lealisti” sudafricani, che vennero subito liberati. Il 6 luglio 1915, i cavalleggeri del colonnello Coen Brits raggiunsero e conquistarono Namutoni, liberando altri prigionieri dell’Unione, tra i quali il tenente Adler della Transvaal Horse Artillery, l’ufficiale che con tanto valore si era battuto a Sandfontein. I prigionieri furono trovati ben nutriti e in discrete condizioni di salute.

Il 9 luglio 1915 il colonnello Francke decise di arrendersi e Botha questa volta si dimostrò piuttosto generoso. Agli ufficiali tedeschi fu permesso di tenere le armi, ma non le munizioni, mentre ai riservisti fu concesso di fare rientro alle proprie fattorie con un fucile e un po’ di munizioni “per difendersi dagli eventuali scorrerie degli indigeni”. In patria e in Inghilterra, Botha fu oggetto di molte critiche per la clemenza dimostrata nei confronti del nemico. Anche il compassato The Times protestò con una serie di feroci e sciocchi articoli.

A conti fatti, nel corso della campagna dell’Africa del Sud-Ovest, le perdite patite dalle truppe sudafricane e rhodesiane furono eccezionalmente contenute: 113 morti in azione, 153 deceduti per malattie e incidenti e 263 feriti. Contro i 1.331 soldati tedeschi caduti sul campo.

FINE

BIBLIOGRAFIA:

Brigadier J.J. Collyer The Campaign in German South West Africa 1914-1915, 1937

The South African Military History Society of Johannesburg, Die Suid-Afrikaanse Krygshistoriese Vereniging (sito internet)

Keegan, John. The First World War. New York, Alfred A. Knopf, 1999

Nuno Severiano Teixeira, O Poder e a Guerra, 1914 -1918. Objectivos Nacionais e Estratégias Políticas na Entrada de Portugal na Grande Guerra, Lisboa, Estampa («Histórias de Portugal, 25»), 1996

Farwell, Byron. . The Great War in Africa (1914 – 1918), .W. W. Norton & Company, New York USA, 1986.

Alberto Rosselli, L’Ultima Colonia’, Ed Nuova Aurora, 2013.

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