Dopo la rimozione, decretata il 10 aprile del 1936, dalle Cortes, del presidente Alcalà Zamora e la successiva elezione del suo successore Manuel Azaña, il generale Fancisco Franco, paventando l’instaurazione di un regime comunista, decise di rompere gli indugi. E il 18 luglio, il conflitto fratricida fra ‘nazionalisti’ e ‘repubblicani’ ebbe ufficialmente inizio.
Nella primavera del 1936, l’aggravarsi dell’instabilità politico-sociale di un regime – quello repubblicano spagnolo uscito vittorioso dalle elezioni del 1931 (evento che il 14 aprile di quello stesso anno aveva costretto re Alfonso XIII, sostenitore del dittatore Miguel de Rivera, ad abdicare e ad andare in esilio) – favorì il riacutizzarsi della violenta contrapposizione tra forze di estrema destra e di estrema sinistra. Ormai incapace di fronteggiare la grave crisi economica, in parte indotta dalla grande recessione del ’29 e in parte dovuta alla congenita, profonda arretratezza dell’economia spagnola, il composito Governo della Repubblica del 1931 (formato da cattolici-progressisti, riformisti liberali, socialisti legati al sindacato e radicali di sinistra fortemente anticlericali) cercò in qualche modo di parare i colpi di un’opposizione, quella di centrodestra (composta da cattolici tradizionalisti, monarchici carlisti, liberali di destra, nazionalisti e buona parte degli esponenti dell’esercito) per nulla intenzionata a lasciare il campo agli avversari, nel timore di una progressiva egemonia dell’ala oltranzista di sinistra, decisa innanzitutto ad eliminare l’indubbia influenza della Chiesa cattolica ufficiale negli affari interni del Paese. In questo clima di scontento generale e di rovente contrapposizione, foriera di attentati e atti di violenza da parte delle ali più radicali di entrambe gli schieramenti, il paese giunse alle elezioni del giugno 1931. Queste, se da una parte consolidarono la maggioranza di governo, impedirono tuttavia il ridimensionamento degli attriti e, soprattutto, la grande offensiva degli scioperi e degli attentati ai danni dei latifondisti e della Chiesa scatenata nell’estate dal movimento anarchico basco e andaluso. Torbidi che costrinsero lo stesso governo di centrosinistra ad intervenire con l’esercito. Ciononostante, verso il dicembre del ’31 venne approvata la nuova Costituzione: documento che prevedeva tra l’altro lo scioglimento dell’Ordine dei Gesuiti, l’introduzione del divorzio e il controllo dello Stato sulle attività religiose pubbliche (cerimonie, ricorrenze e processioni). Ovviamente, l’emanazione della nuova carta costituzionale rese ancora più aspro il confronto con l’opposizione, suscitando nel contempo la disapprovazione del Vaticano, che era già stato costretto a ritirare il Primate di Spagna, cardinale Segura, inviso a Madrid. Nel corso del 1932, il governo – pressato dalla forte ala radicale e anarchica – approvò una riforma agraria (provvedimento effettivamente indispensabile) che nei suoi contenuti risultò però un vero e proprio pateracchio. In seguito a molteplici e contraddittorie modifiche, la nuova legge finì infatti per scontentare non soltanto i grandi proprietari terrieri (che in Spagna avevano quasi sempre fatto il bello e il cattivo tempo) ma anche gli stessi contadini. Questa legge, molto approssimativa nei contenuti e nelle modalità di applicazione, sortì poi un altro negativo risultato, inducendo parte degli imprenditori spagnoli e delle grandi compagnie straniere presenti nel Paese ad andarsene, impoverendo ulteriormente una nazione già in crisi e contribuendo, indirettamente, a svalutarne la moneta. Per cercare di compensare in qualche modo l’ala radicale e anarcoide, il governo repubblicano emanò una serie di decreti mirati ad eliminare il potere e il prestigio dell’Esercito (abolizione di antichi privilegi economici e giuridici, congedo forzato di elementi simpatizzanti per il centrodestra, riduzione delle promozioni): manovra che ovviamente, ed automaticamente, sospinse buona parte degli alti ufficiali dell’Esercito, dell’Aviazione e della Marina verso dell’opposizione. A tal punto che nell’agosto del 1932 il generale José Sacanell Sanjurjo (1872-1936), comandante dei Carabineros (Guardie di Finanza), guidò, con l’appoggio di parecchi militari e monarchici, un’aperta rivolta (pronunciamiento) contro la Repubblica. Il golpe, organizzato malamente, venne però stroncato con facilità, grazie anche al polso del ministro della Guerra, Manuel Azaña (1880-1940), futuro presidente della Repubblica dal 1936 al 1939. Sanjurjo venne naturalmente arrestato, ma nel 1934, dopo essere stato rilasciato, trovò ospitalità nel Portogallo del dittatore Salazar. Dopo un brevissimo periodo di tranquillità, le acque spagnole iniziarono ad agitarsi nuovamente, anche in seguito al continuo aggravarsi della situazione sociale ed economica, elemento questo che avvantaggiò sul piano politico il raggruppamento di centrodestra. Verso la fine del 1933, le elezioni politiche vennero infatti vinte, con risultato a sorpresa, da quest’ultima coalizione, guidata da Gil Robles, esponente della forte Confederaciòn Española de Derechas Autonomas, e di cui faceva parte anche il bellicoso raggruppamento della Falange, il partito fascista spagnolo di José Antonio Primo de Rivera (1903-1936). Come da copione, la vittoria del centrodestra provocò una serie infinita di scioperi che, non di rado, diedero l’occasione agli anarchici e ai radicali di effettuare attentati, appoggiati in questo dal movimento separatista basco e catalano, che vedevano come fumo negli occhi la politica fortemente accentratrice della destra militarista e falangista. A queste forze si unì il partito socialista che, abbandonate le posizioni moderate, abbracciò in buona parte la lotta armata, affiancandosi alle organizzazioni comuniste filosovietiche ma anche internazionaliste (di matrice trotzkista). Come conseguenza, il Paese venne in breve dilaniato da una vera e propria guerriglia urbana e rurale, costringendo il governo di centrodestra a fare intervenite la Legione Straniera del generale Francisco Franco y Bahamonde (1892-1975). Franco non disattese le aspettative e in breve tempo soffocò la rivolta nel sangue, massacrando a Oviedo e a Gijòn un gran numero di ribelli asturiani. Consolidato il potere, il governo di centrodestra varò una serie di iniziative (alcune delle quali veramente nefaste e controproducenti), sbattendo in galera i capi del movimento socialista e separatista (sia catalano che basco), abolendo lo statuto autonomista della Catalogna, rinviando la tanto attesa riforma agraria e riabilitando sia i gesuiti che i capi dell’esercito fatti precipitare in disgrazia dal precedente governo repubblicano. Sostanzialmente incapaci di affrontare la perdurante crisi economica, anche i governi di centrodestra che si susseguirono fino alla fine del 1935, non produssero alcunché che potesse in qualche modo fare valere le loro ragioni ideologiche, e alle successive elezioni politiche del 6 febbraio 1936 il Fronte Popolare (costituito da una forte componente socialista, comunista e anarchico-radicale) ebbe la meglio, anche se con un minimo scarto di preferenze. Il nuovo governo (ben più oltranzista e massimalista del precedente), dopo avere amnistiato tutti i prigionieri politici e ridato una sorta di indipendenza, piuttosto formale, alla Catalogna, relegò il generale Franco a capo delle forze armate delle Isole Canarie e riavviò la discriminazione nei confronti del clero e dell’esercito. Madrid abbozzò inoltre una legge per l’abolizione della scuola privata (religiosa), la confisca dei latifondi e, cosa assai più grave, permise ai gruppuscoli rivoluzionari di armarsi.
Come ovvio, nel giro di qualche mese, in seguito ad un’ondata di attentati ai danni di chiese e parrocchie e alla reazione, altrettanto violenta, del movimento falangista e della destra, il governo repubblicano precipitò in una crisi, questa volta, senza ritorno tale da innescare i meccanismi che porteranno allo scoppio di una dichiarata, lunga e sanguinosa guerra civile.
La guerra.
Riassumere i molteplici eventi di carattere militare
e politico che caratterizzarono la Guerra Civile Spagnola, con le connesse
implicazioni di matrice religiosa, sociale e diplomatica, interne ed esterne,
che ne disegnarono i frastagliati contorni, non è cosa agevole. E’ invece
possibile tentare in questa sede un succinto, e speriamo esauriente, tentativo
di ricapitolazione delle tappe del conflitto, con brevi cenni ai principali
eventi collaterali.
Dopo la rimozione, decretata il 10 aprile del 1936 dalle Cortes, del presidente
Alcalà Zamora (accusato di avere ecceduto nei suoi poteri) e la successiva
elezione (10 maggio) del suo successore Manuel Azaña, il movimento falangista e
nazionalista decise di rompere gli indugi, paventando l’instaurazione di un
regime comunista. E il 18 luglio, il conflitto fratricida spagnolo ebbe
ufficialmente inizio con la rivolta dei comandanti della guarnigione di Melilla
(Marocco spagnolo), diffondendosi rapidamente a molte guarnigioni della
madrepatria (Cadice, Siviglia, Burgos, Salamanca, Saragozza, Vigo, Valladolid, Oviedo,
Palma de Maiorca) e a diversi, importanti, distretti militari regionali. Da
parte sua, il governo repubblicano riuscì a controllare la situazione nelle due
principali città iberiche (Madrid e Barcellona) e in altri centri e regioni
come quelle di Saragozza, Valencia, Alicante, Murcia, Malaga, Santander e
Bilbao. Poco dopo il pronunciamiento,
tutti i partiti di sinistra e di centro facenti parte del governo si unirono
nella resistenza agli insorti e, come prima mossa, il presidente Azaña dichiarò
confiscate tutte le proprietà della Chiesa (28 luglio). I principali leader
delle forze ribelli nazionaliste, il generale Francisco Franco (che nel
frattempo si era trasferito con le sue truppe dalle Canarie al Marocco), il
generale Emilio Mola e il generale Sanjurjo (che di lì a poco morirà in un
incidente aereo) e il generale Queipo de Llano, riuscirono a portare dalla loro
parte la maggior parte degli ufficiali e dei soldati dell’esercito e
dell’aviazione, e del Corpo “marocchino”. Il 30 luglio, a Burgos, gli
insorti formarono una Giunta di Difesa Nazionale, proprio nel mentre le potenze
straniere principalmente coinvolte, ideologicamente ed economicamente nel
futuro conflitto (Francia, Inghilterra, Italia, Germania e Unione Sovietica)
iniziarono a prendere posizione per uno dei due schieramenti. Francia, Unione
Sovietica e Inghilterra (seppur con sfumature diverse) si schierarono con la
Repubblica, mentre Italia e Germania parteggiarono per i Nazionalisti, seguite
dal Portogallo che fornì a Franco non meno di 20.000 volontari, garantendo la
sicurezza delle frontiere con i territori occupati dai ribelli. Nel corso della
guerra, Unione Sovietica e Francia da un lato e Italia e Germania dall’altra
inviarono ai rispettivi partner iberici ingenti quantitativi di rifornimenti,
armi, mezzi, volontari e consiglieri militari (1). Il governo di Mosca inviò
anche parecchi commissari politici incaricati da Stalin di controllare e, se
possibile, dirigere l’andamento delle operazioni militari e scatenare una
feroce (e dannosissima) lotta sotterranea alle organizzazioni trotzkiste e
anarchiche invise al dittatore russo.
Le forze in campo.
All’inizio dell’insurrezione franchista, le Forze Armate Spagnole si divisero in maniera abbastanza irregolare tra le due fazioni in campo. L’Esercito Repubblicano poté fare conto su 260 ufficiali e 36.000 soldati dell’Esercito regolare; 20.000 Guardie Civil, 25.000 Asaltos (milizia del ministero degli Interni costituita nel 1931 per difendere la Repubblica) e 10.000 Carabineros.
Le forze della Marina Repubblicana assommavano a 1 corazzata, 3 incrociatori, 8 cacciatorpediniere, 5 torpediniere, una cannoniera, 5 guardacoste e 6 sommergibili. Mentre quelle dell’Aviazione disponevano di circa 200 aerei di modello superato.L’Esercito Nazionalista disponeva, invece, di 7.000 ufficiali e 25.000 soldati dell’Esercito più 30.000 soldati appartenenti al Tercio e alle truppe marocchine. A questi si sommavano 14.000 uomini della Guardia Civil, 10.000 degli Asaltos e 6.000 Carabineros. La Marina nazionalista era composta da una corazzata (molto vecchia), un incrociatore, un cacciatorpediniere, 3 torpediniere, 4 cannoniere e 4 guardacoste. L’aviazione contava appena 100 aerei, tutti di modello molto antiquato.Alle truppe regolari presenti nei due schieramenti si devono poi aggiungere quelle “volontarie” reclutate in Spagna (nelle file repubblicane militarono ben 400.000 “miliziani”, mentre in quelle nazionaliste confluirono, almeno inizialmente, 6.000 “requetés” – monarchici carlisti – e circa 15.000 falangisti) e, naturalmente, le truppe provenienti da altre nazioni.Nell’Esercito e nell’Aviazione Repubblicana militarono non meno di 50.000 uomini, quarantamila dei quali operarono nelle Brigate Internazionali (anche se in prima linea non ne vennero mai impiegati più di 18.000). Di questi volontari 3.350 erano italiani antifascisti, mentre altri provenivano da Francia, Germania, Austria, Stati Uniti, Scandinavia, Yugoslavia, Inghilterra, Canada, Messico e altre nazioni. Modestissimo il numero dei “volontari” sovietici (quasi tutti commissari politici), appena 557. E’ da aggiungere che tra il luglio del 1936 e il febbraio del 1939 altri 20.000 stranieri prestarono aiuto alla Repubblica svolgendo diverse mansioni, anche non militari.A fianco dell’Esercito Nazionalista prestarono servizio oltre 50.000 tra soldati e aviatori italiani, 16.000 tedeschi, 20.000 portoghesi, 600 irlandesi e alcune centinaia di francesi, russi bianchi, yugoslavi e rumeni.
Iniziano le operazioni.
Il 15 agosto 1936, i ribelli riuscirono a conquistare Badajoz, iniziando una grande avanzata in direzione est, verso la valle del Tago, attraverso Talavera e Toledo (liberando le forze falangiste del colonnello José Moscardò, comandante dell’Accademia Militare di Toledo, che per 10 settimane resistettero entro le solide mura dello storico Alcazar respingendo ogni tentativo condotto dalle preponderanti ma mal guidate forze repubblicane). Il 4 settembre, nel nord ovest, i ribelli conquistarono Irun, chiudendo i collegamenti tra la Francia e la regione basca sotto controllo delle forze repubblicane. E nello stesso giorno, a Madrid, venne eletto un nuovo governo del Fronte Popolare, presieduto da Largo Caballero, nel quale confluirono anche i nazionalisti baschi e catalani e, successivamente (mese di novembre), gli anarco-sindacalisti. Ma l’offensiva dei ribelli continuava e il 12 settembre i falangisti conquistarono San Sebastian. L’8 ottobre, sette giorni dopo la nomina di Franco a capo dello Stato Spagnolo, il governo repubblicano concesse l’indipendenza alle province basche che nominarono un proprio governo alla guida del presidente José Aguirre. Il 6 novembre del ’36, le forze franchiste iniziarono un potente attacco contro Madrid, costringendo il governo repubblicano a trasferirsi nella più sicura Valencia. Tuttavia, nonostante l’irruenza dell’offensiva nazionalista, i bombardamenti aerei condotti da velivoli italiani e tedeschi e gli aspri combattimenti che coinvolsero e ridussero in macerie la periferia e la cittadella universitaria della capitale, i repubblicani riuscirono ad arginare ogni manovra avversaria, scongiurando il peggio. Il 18 novembre. Adolf Hitler e Benito Mussolini riconobbero ufficialmente il governo nazionalista, mentre la Francia e l’Inghilterra, palesando un’evidente ambiguità (il governo francese di Léon Blum forniva già aiuti militari a Madrid) dichiararono di volere interdire qualsiasi aiuto ai contendenti, proclamando “una politica di non intromissione” nel timore di un allargamento del conflitto al resto del continente europeo. Ventisette nazioni (paradossalmente erano comprese tra queste anche Italia, Germania e Unione Sovietica) parteciparono a Londra ai
lavori di un sedicente quanto del tutto inutile, e ipocrita, Comitato di non Intervento. Nel corso delle sue riunioni, questo organismo internazionale presentò una specie schema di controllo che, come era scontato, non riuscì ad impedire che, in un modo o nell’altro, gli stessi principali firmatari continuassero a fornire ai Repubblicani e ai Nazionalisti aiuti militari di ogni tipo. L’8 febbraio del 1937, a palese dimostrazione di tutto ciò, Malaga venne strappata ai repubblicani da un contingente interamente formato da “volontari” italiani (nel corso della guerra Mussolini fornirà a Franco non meno di 50.000 soldati, mentre Hitler ne concederà soltanto 16.000). Verso la metà di marzo, l’esercito repubblicano passò però alla controffensiva e il 18 dello stesso mese sconfisse proprio le forze italiane a Brihuega, catturando una notevole quantità di armi e mezzi militari. Fallita l’offensiva contro la capitale, i nazionalisti ripresero la loro offensiva verso nord, concentrando i loro sforzi contro la piazzaforte di Bilbao. Il 17 maggio, in conseguenza dell’andamento non troppo brillante delle operazioni militari, Largo Caballero fu costretto a lasciare il posto di capo di governo a Juan Negrin che rafforzò la presenza socialista e anarco-sindacalista all’interno del suo gabinetto. Il governo Negrin ritenne opportuno che prima ancora di portare avanti la rivoluzione sociale, la Repubblica dovesse trovare maggiore compattezza interna per vincere la guerra. E proprio per questo motivo, tutti i vari ministeri della Guerra della multicolore Repubblica vennero unificati sotto Indalecio Prieto. Il 31 maggio, in seguito ad un attacco aereo repubblicano ai danni della corazzata tedesca Deutschland penetrata nel Mediterraneo, alcune navi da guerra germaniche bombardarono per rappresaglia il porto di Almeria, suscitando le proteste della Francia. Il 18 giugno, dopo settimane di violentissimi combattimenti e innumerevoli bombardamenti d’artiglieria e aerei, le forze nazionaliste riuscirono a conquistare l’importante scalo di Bilbao, lanciandosi subito dopo all’attacco di Santander. Pochi giorni dopo (il 23 giugno) la Germania e l’Italia abbandonarono il cosiddetto Servizio di Controllo di Neutralità al largo della costa spagnola (un espediente per impedire il traffico di armi ai contendenti da parte di chicchessia), per protestare contro l’indisponibilità delle altre potenze a dare soddisfazione per l’attacco repubblicano alla Deutschland. Rifiutando contemporaneamente che il medesimo servizio fosse svolto solo da unità francesi e inglesi. Proprio in quel periodo si sviluppò nel Mediterraneo occidentale una sorta di guerra “pirata”. Misteriosi sottomarini (alcuni dei quali italiani) iniziarono a bombardare le coste repubblicane, non disdegnando, ogni tanto, di lanciare qualche siluro all’indirizzo di unità britanniche. Indispettito da questi episodi, il governo di Londra convocò allora la Conferenza di Nyon e grazie all’appoggio francese, organizzò un nuovo Servizio di Controllo sulla “pirateria”. Ma intanto la guerra continuava ad infuriare sul fronte di terra e nei cieli di Spagna. Il 24 ottobre 1937, le truppe franchiste riuscirono ad espugnare la piazzaforte di Gijon, completando la conquista di tutte le regioni nord occidentali e ottenendo una vittoria strategica molto importante. Sette giorni dopo la caduta delle Asturie, il governo repubblicano, nell’intento di consolidare la sua posizione, abolì di fatto l’autonomia della Catalogna (già revocata il 12 agosto) trasferendo da Valencia a Barcellona la sua sede. Il 5 dicembre, le forze repubblicane ripresero finalmente l’offensiva, questa volta contro la città e il pericoloso saliente di Teruel che il giorno 19 vennero strappati ai nazionalisti. La manovra era stata architettata anche per cercare di distogliere truppe nazionaliste dalle regioni nord occidentali: espediente che, come si è visto, non servì a nulla. Senza considerare che neanche due mesi più tardi (il 15 febbraio 1938), le forze franchiste riuscirono a riconquistare Teruel, puntando subito dopo verso ovest, in direzione del Mediterraneo,
con il chiaro intento di separare la Catalogna dal resto del territorio repubblicano di Castiglia. Infatti, il 15 aprile, le forze “ribelli” raggiunsero, al termine di una rapidissima marcia, la località costiera di Vinaroz, ottenendo un risultato straordinariamente importante dal punto di vista strategico. Nell’estate del ’38, nel tentativo di ripristinare i collegamenti tra la Catalogna e la Castiglia, l’esercito repubblicano impiegò la quasi totalità delle sue forze terrestri ed aeree per forzare le posizioni acquisite dai franchisti, ma invano. E nello stesso periodo, visto anche il buon andamento delle operazioni, Mussolini accettò, sulla base di un’intesa con l’Inghilterra, di iniziare a ritirare una parte dei “volontari” italiani che combattevano a fianco dei nazionalisti (in ogni caso rimaneva in Spagna un notevole quantitativo di truppe valutabile intorno alle 40.000 unità).
La vittoria franchista.
Il 23 dicembre del ’38, dopo avere riorganizzato i reparti e raggruppato notevoli quantitativi di scorte e mezzi, l’esercito nazionalista scatenò, da sud verso nord, l’offensiva finale dell’Ebro per conquistare la Catalogna. L’avanzata, pur validamente contrastata dalle residue forze repubblicane della regione (a quel tempo, tutti i “volontari” sovietici e la gran parte di quelli appartenenti alle Brigate Internazionali erano già stati rimpatriati), scardinò uno dopo l’altro tutti i centri difensivi avversari posti a difesa del grande fiume e, dopo un mese di violenti combattimenti, il 26 gennaio 1939, le prime avanguardie motorizzate e blindate franchiste e italiane entrarono a Barcellona, preventivamente abbandonata da tutte le truppe repubblicane e da gran parte della popolazione in fuga verso il confine francese. Tra la fine di gennaio e i primi di febbraio circa 200.000 soldati repubblicani chiesero asilo in Francia dove vennero internati in grandi campi di concentramento. La guerra stava volgendo al termine e il 27 febbraio l’Inghilterra e la Francia optarono per il riconoscimento ufficiale del governo del generale Francisco Franco. Il giorno seguente, il presidente Azaña, che con un aereo si era rifugiato in Francia, diede le sue dimissioni da capo del governo, lasciando il solo Negrin a sbrigarsela con i franchisti. E questi, nonostante gli appelli dei governi di Londra e di Parigi, volle continuare egualmente la lotta, sostenuto dagli elementi più decisi della Spagna repubblicana. Tuttavia, il 6 marzo, a Madrid, un colpo di stato militare organizzato dal generale Sigismundo Casado, allontanò dal potere Negrin, costretto a fuggire assieme ai suoi collaboratori a Parigi, proprio poche ore prima dell’insediamento nella capitale del nuovo Consiglio per la Difesa Nazionale, diretto dal generale José Miaja, proprio colui che tra il 1936 e il 1937 aveva protetto Madrid dall’offensiva franchista. Per evitare la cattura, quasi tutta la flotta repubblicana di base a Cartagena si rifugiò nel porto tunisino di Biserta, dove venne internata dalle locali autorità francesi. Il nuovo governo repubblicano tentò di perseguire una politica mirata ad una “pace onorevole”, ma questo indirizzo provocò un violento conflitto con la compagine comunista, scatenando una crisi che sfociò addirittura in uno scontro armato e sanguinoso tra fazioni appartenenti allo stesso schieramento. Alla fine, i comunisti vennero sconfitti e Miaja poté impegnarsi nelle trattative con i plenipotenziari del generale Franco. Non riuscendo, però, ad ottenere alcuna garanzia di clemenza da parte dei vincitori, il Consiglio per la Difesa Nazionale fu infine costretto ad accettare la resa senza condizioni imposta dall’inflessibile generale avversario. Il 28 marzo del 1939, dopo avere firmato la capitolazione, i membri del Consiglio fuggirono in aereo in Algeria, lasciandosi alle spalle il sogno inespresso di una duratura Repubblica. Un sogno dissolto, in buona misura, a causa dei molteplici ed insanabili dissidi interni tra ala moderata e ala oltranzista, tra comunisti e anarchici; dall’estrema ed irrazionale violenza dimostrata nei confronti della Chiesa cattolica (dal 1936 al 1939, furono molte migliaia i preti e le suore trucidati dalle squadre comuniste e anarchiche e centinaia le chiese profanate e trasformate in stalle o bordelli) e, non ultimo, dalla sostanziale inferiorità palesata, di fronte ad un avversario sicuramente più preparato ed accorto sotto il profilo militare e organizzativo.
Note
(1) L’Italia, oltre ad ingenti quantitativi di carburante, oli lubrificanti, munizioni, bombe d’aereo, pezzi di ricambio, motori, pneumatici, materiale del genio, delle trasmissioni e della sanità, inviò in Spagna circa 6.000 aviatori e 763 aeroplani (tra cui 418 caccia, 180 bombardieri e 112 tra ricognitori-assaltatori, addestratori e idrovolanti), 1.930 cannoni di tutti i calibri (gran parte dei quali di modello abbastanza antiquato), alcune centinaia di mezzi corazzati leggeri Ansaldo L3, 10.135 tra mitragliatrici e fucili mitragliatori, oltre 240.000 fucili e 7.663 automezzi. Il tutto per un totale di circa 14 miliardi di lire del 1940. Dal canto suo la Germania forni a Franco un certo numero di moderni carri armati leggeri Mark l e Mark ll, alcune efficienti batterie antiaeree da 88 millimetri, pezzi da 105, mitragliere pesanti da 20 millimetri Mauser, mortai da 81 millimetri e cannoni controcarro da 37 millimetri. Più un cospicuo quantitativo di rifornimenti di tutti i tipi. Senza contare i 542 buoni apparecchi (di cui 246 caccia, 189 bombardieri e 107 tra trasporti ricognitori e idrovolanti) che andarono a formare la Legione Kondor nella quale militarono centinaia di piloti e specialisti della Lutfwaffe.
(2) Notevoli, ma difficilmente quantificabili per via della censura sovietica, risultarono anche gli aiuti forniti da vari paesi alla Repubblica. Secondo le stime più attendibili, Stalin fornì alla Spagna Repubblicana 47 milioni di rubli (raccolti tramite sottoscrizione del Comintern) più altri 70 milioni di rubli forniti direttamente da Mosca. E’ da sottolineare a questo proposito che Stalin concesse al governo di Madrid tali somme soltanto in cambio del deposito delle riserve auree spagnole trasferite allo scoppio della guerra nella capitale sovietica a scopi cautelativi (questo oro, per inciso, non venne mai più restituito alla Spagna). Complessivamente, secondo le stime del governo inglese, tra il luglio del 1936 e il dicembre 1938, l’Unione Sovietica consegnando alla Spagna Repubblicana 250 aerei da combattimento (tra cui caccia I-15 e l-16 e bornbardieri SB-2 Katiuska), 1.400 autocarri, 731 carri armati leggeri e medi BT-15 e T-26, 1.230 pezzi d’artiglieria, centinaia di migliaia fucili e bombe a mano. Senza contare le decine e decine di migliaia di tonnellate di rifornimenti e attrezzature militari di tutti i tipi sbarcate nel corso del conflitto dai piroscafi russi nei porti di Valencia, Alicante, Cartagena e Barcellona. Notevole fu anche il contributo della Francia che, tra l’altro, forni alla Repubblica 260 aerei da combattimento (Potez, Dewoitine, Bloch, etc.). Si calcola che tra il luglio del 1936 e il luglio del 1938 siano giunti, attraverso i Pirenei, al governo di Madrid 198 cannoni, 200 carri armati leggeri e medi (parte dei quali Renault FT.17), 3.247 mitragliatrici, 4.000 camion, 47 moderne batterie d’artiglieria, 9.579 veicoli di vario tipo e quasi 16.000 tonnellate di munizioni e carburante (materiaIe fornito in parte dalla Francia e in parte da altre nazioni). Complessivamente, nel corso della guerra la Repubblica mise in campo 2.461 apparecchi contro i circa 1.500 appartenenti all’aviazione nazionalista. (3) Ripartizione per nazionalità dei volontari delle Brigate Internazionali (formazioni volontarie raccolte e organizzate dal Comintern):Francesi 10.000, tedeschi 5.000, italiani 3.350, statunitensi 2.800, inglesi 2.000, canadesi 1.000. Più alcune centinaia di iugoslavi, albanesi, ungheresi, belgi, polacchi, bulgari, cecoslovacchi, messicani e africani.
Bibliografia
- Storia della Guerra civile spagnola, di H.Thomas – Ed. Einaudi 1963.
- La Guerra civile di Spagna, di G.Roux – Ed. Sansoni, 1966
- Venti mesi di Guerra in Spagna, di E.Faldella – Ed. Le Monnier 1939.
- La battaglia dell’Ebro, di M.Martini – Parigi 1939.
- Falange y Requeté, di W.Gonzales Olivero – Valladolid 1937.
- La Guerra Civile Spagnola, monografia su Storia Illustrata – Ottobre 1966.
- La Guerra di Spagna, monografia su Storia Illustrata – Marzo 1976.
- La Guerra Civile Spagnola 1936-39 (di Patrick Turnbull), da Eserciti e Battaglie – Ed. del Prado, Vol. 39.
- Immagini di Storia: Italiani nella Guerra di Spagna – Italia Editrice, Campobasso 1994.
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