All’inizio del conflitto mondiale, l’apparato bellico turco non solo risultava carente nei settori della marina e dell’aviazione (quest’ultima pressoché inesistente), ma anche, e soprattutto, in quello dell’esercito: una compagine relativamente numerosa, ma nel complesso molto arretrata sia sotto il profilo dell’addestramento che in quello dell’equipaggiamento ed armamento. Formato in periodo di pace da una massa di 200/250.000 soldati e circa 10.000 ufficiali, durante la guerra esso dovette subire notevoli mutazioni per evitarne il dissolvimento. Completamente impreparato ad affrontare un lungo e dispendioso conflitto, l’esercito della Sacra Porta venne gettato nella mischia con poche risorse e mezzi e senza neanche quel minimo di moderne attrezzature e scorte atte a sostenere pure e semplici campagne difensive.
Per tradizione, l’esercito turco traeva la sua forza dal servizio di leva, che era obbligatorio per tutti i sudditi a partire dal compimento del diciottesimo anno di età. Secondo una legge emanata il 12 maggio 1914, il periodo di arruolamento nel Nizam (l’esercito regolare) era stabilito in ben 25 anni per la fanteria, venti per le altre armi e 17 per la marina. Ad esclusione dei membri della famiglia del sultano, tutti gli individui maschi di fede mussulmana avevano l’obbligo di prestare servizio militare, con un’eccezione per gli studenti che erano sottoposti ad una ferma più breve rispetto a coloro i quali erano privi di titolo di studio, cioè la maggioranza della popolazione. I disabili e gli inabili parziali venivano esentati dall’arruolamento dietro pagamento di una speciale tassa. Nell’esercito turco era possibile, in certi casi, comprare addirittura il congedo: un sistema adottato dal governo per creare un cespite di entrate aggiuntivo. Anche le minoranze cristiane ed ebraiche erano costrette a prestare servizio di leva, ma in quanto razze considerate “inferiori”, i loro effettivi venivano inquadrati in battaglioni di fatica o in reparti addetti ai compiti più degradanti. Dopo l’entrata in guerra della Turchia, nell’esercito ottomano entrarono a fare parte, in apposite unità, anche numerosi volontari “stranieri” tra cui: armeni lealisti, curdi, georgiani e balcanici di fede mussulmana, iraniani, afgani, arabi, yemeniti e perfino somali, eritrei ed etiopi islamici. Solitamente, dopo avere prestato il servizio di leva nel Nizam, i soldati confluivano nel Redif, cioè nella riserva di pronto intervento che, a partire dal 1898 era stata suddivisa in due classi, la Redif I e la Ilaweh (dal 1903 denominata Redif II ). E al termine del loro periodo di servizio, i coscritti confluivano nella Milizia territoriale (Mustahfiz), un corpo dotato di un organico molto variabile.
All’inizio del ‘900, l’esercito di terra venne articolato su tre armate, salite poi a quattro nel settembre del 1914 (con quartieri generali dislocati a Costantinopoli, Baghdad, Damasco ed Erzican), ed infine a nove nel 1917. Ogni corpo d’armata era composto da due o tre divisioni Nizam formate da 15.500 tra ufficiali, sottufficiali e soldati, incrementabili a 19.000 in tempo di guerra. Nel 1914, ogni divisione disponeva di circa tre reggimenti (da circa 4/5.000 uomini ciascuno) suddivisi su tre grossi battaglioni composti a loro volta da quattro compagnie. Teoricamente, un battaglione Nizam era forte di 724 tra ufficiali e soldati, mentre i battaglioni Redif I e Redif II erano formati rispettivamente da 924 e 824 tra ufficiali, sottufficiali e soldati.
Per quanto concerneva l’armamento, alla vigilia della prima guerra mondiale risultava molto scarsa la dotazione di armi automatiche e pesanti. Ciascun battaglione di fanteria aveva in dotazione una sola sezione di quattro mitragliatrici (quasi tutte di fabbricazione tedesca), mentre alle divisioni erano stati assegnati appena 24 pezzi di artiglieria da campagna o da montagna di vario calibro, portati in seguito a 36. Il regolamento dell’esercito prevedeva che nel corso delle operazioni belliche ad ogni divisione Nizam (i cui effettivi risultavano quasi sempre inferiori di due terzi rispetto a quanto stabilito dal regolamento) venisse aggregata anche una divisione Redif (solitamente ancora più debole), in modo da formare un corpo d’armata il cui organico raggiungeva a malapena quello di una divisione di fanteria europea.
Teoricamente, l’equipaggiamento individuale del soldato turco del 1914 aveva sembianze non molto dissimili a quello in dotazione negli eserciti occidentali, anche se a ben vedere la qualità delle divise e dei corredi lasciava molto a desiderare. A partire dal 1909 per l’esercito era stata introdotta un’uniforme di panno verde cachi, con i colori dell’arma di appartenenza riportati sul colletto esterno: cachi per la fanteria, verde oliva per la fanteria leggera, blu scuro per l’artiglieria, grigio chiaro per la cavalleria, azzurro per il genio, rosso per i trasporti, rosso porpora per gli ufficiali e cremisi per gli ufficiali di Stato maggiore. Raramente i soldati turchi ebbero in dotazione elmetti, ma soltanto una varietà di copricapi che andava dal burnous (adottato dalle truppe arabe), al fez o al tarboosh di pelo (il kalpac) – diffuso tra gli ufficiali – al famoso kalabak (detto anche enverieh o “elmetto di Enver Pascià”). Quest’ultimo non era un copricapo metallico, bensì una specie di casco coloniale inizialmente confezionato con ruvida stoffa ed in seguito con una ancora più rozza trama di paglia.
Fino dalle loro prime missioni i Turchia (1913), i consiglieri e gli istruttori del kaiser ebbero modo di rilevare, senza alcuna eccezione, l’intrinseco stato di indigenza dell’esercito della Sacra Porta. I rapporti misero infatti in luce lo scarso numero delle uniformi disponibili, la loro pessima qualità e la cronica carenza di equipaggiamento leggero e pesante.
Gli istruttori teutonici rimasero innanzitutto sbalorditi dallo stato di denutrizione dei coscritti e dalla straordinaria incidenza di malattie contagiose, come la sifilide, il vaiolo, la tisi e la gonorrea, diffuse tra la truppa. Senza parlare del bassissimo livello medio di istruzione dei soldati semplici (il 70% dei quali era analfabeta) e dei soprusi e delle violenze, spesso anche di natura sessuale, ai quali la bassa forza veniva sottoposta dai quadri superiori. Questi tra l’altro, secondo il giudizio dei tedeschi, non risultavano in possesso degli indispensabili requisiti tecnici e professionali, ad eccezione di un ristretto corpo di 1.500 ufficiali addestrati all’estero o presso accademie germaniche.
La maggior parte dell’esercito veniva reclutato fra i rudi contadini dell’Anatolia, delle province montane orientali e delle lande siriane: individui che, essendo abituati da sempre a sopportare una vita durissima, venivano spesso trattati dai loro ufficiali al pari di bestie da soma. Ciononostante, questi uomini si dimostrarono quasi sempre pazienti e fedeli nei confronti dei loro superiori, dimostrando in battaglia molto coraggio ed ostinazione. Anche gli osservatori inglesi, che prima e durante il conflitto avevano avuto occasione di studiare la mentalità del combattente turco, espressero nei confronti dei soldati turchi giudizi molto crudeli. Ovviamente, gli ufficiali del kaiser cercarono di rimediare, almeno in parte, a questo grave stato di cose, avviando una serie di riforme che tuttavia sortirono spesso l’effetto di indisporre il Comando Supremo turco, sostanzialmente avverso ad un’eccessiva intromissione tedesca in questioni che riteneva di sua specifica competenza: un atteggiamento assurdo e paradossale in quanto erano stati proprio i vertici militari di Costantinopoli a richiedere con insistenza aiuto a Berlino. Secondo le memorie di un anonimo graduato tedesco che nel 1915 prestò servizio presso una divisione distaccata sui Dardanelli, “per modernizzare l’esercito turco sarebbe stato necessario innanzitutto svecchiare la mentalità dell’Alto Comando di Costantinopoli”. Rimedio che non poté essere applicato, se non in minima parte, proprio a causa dell’insofferenza degli stessi ufficiali turchi nell’apprendere nuovi concetti. Nel marzo del 1915, nonostante le sconfitte subite sul fronte del Caucaso e in Mesopotamia, il ministro della Guerra Enver Pascià giunse addirittura a lamentarsi “dell’eccessiva ingerenza germanica nella gestione dell’esercito”, auspicando il rimpatrio di una parte dei 2.500 ufficiali tedeschi presenti sul territorio turco.
Tra il 1914 e il 1918, Berlino fu costretta a fornire alla Turchia, oltre a grosse partite di materie prime, legname, carbone e rifornimenti per l’esercito, la marina e l’aviazione, anche armi e munizioni di tutti i tipi. Per quanto concerne la dotazione individuale per ufficiali e soldati, i tedeschi fornirono un grosso quantitativo di pistole Mauser calibro 9 modello 1896 e di fucili Mauser 7.65 (modello 1890) e 9.5, cedendo anche un buon numero di mitragliatrici Maxim MG08 e 08/15.
Per quanto riguarda l’artiglieria di piccolo e medio calibro, i turchi ebbero in dotazione obici da montagna austriaci da 75/13; cannoni da campagna tedeschi e francesi Krupp (modello 1905) da 75 e da 77 millimetri, e Schneider da 75; diversi vecchi pezzi tedeschi da campo da 87; e obici, sempre germanici e francesi, da 150 e 155 (Krupp e Schneider-Creusot). Per quanto riguarda invece il parco artiglieria pesante e costiera, i turchi poterono schierare un vasto assortimento di vecchi ma anche di relativamente moderni cannoni e obici pesanti di calibro compreso tra i 150 e i 355 millimetri, gran parte dei quali di provenienza tedesca (1). L’esercito ottomano disponeva infine (soprattutto a difesa dei capisaldi situati nelle regioni marginali dell’impero) di molti pezzi antidiluviani di varia provenienza ad affusto rigido e addirittura a canna liscia, risalenti al ventennio compreso tra il 1865 e il 1885. La Germania mise inoltre a disposizione dell’alleato molto altro materiale bellico, tra cui un certo numero di autocarri e autoveicoli e soprattutto numerosi vagoni ferroviari e locomotive (modelli Henschel, Hartmann, La Meuse, Jung, Hanomag, SLM e St. Leonard) indispensabili per fare giungere rifornimenti e truppe sui vari fronti. Tra il 1914 e il 1918, l’esercito e la marina turchi ricevettero anche esplosivi, mine ed apparecchiature di vario genere, come generatori di corrente, batterie, telefoni da campo ed impianti telegrafici; più materiale del genio, della sanità e medicinali.
I volontari stranieri dell’esercito ottomano
Nel corso del Primo Conflitto, come si è accennato, nell’esercito ottomano prestarono servizio parecchi volontari stranieri e un numero non irrilevante di combattenti provenienti da svariate etnie dell’Impero. Tra il 1914 e il 1917, in Africa Settentrionale e nel Sahara, combatterono a fianco dei turchi non meno di 5/6.000 tra guerrieri senussi, tuareg e appartenenti ad altre tribù della Libia, del Ciad e del Niger. Famosa, a questo proposito, fu la figura del condottiero Alì Dinar che, nei primi due anni di guerra, guidò una grande rivolta armata contro le forze francesi e italiane. E altrettanto note sono le gesta delle bande senusse che, tra il 1914 e il 1917, effettuarono diversi riusciti attacchi contro le guarnigioni italiane in Tripolitania e contro quelle britanniche in Egitto. Un’attività, quest’ultima, che costrinse il Comando del Cairo a mobilitare un vero e proprio esercito agli ordini del generale Sir John Maxwell. Questi, dopo una serie di lunghe e faticose operazioni nel deserto, condotte anche con l’ausilio di numerosi mezzi blindati, riuscirà ad eliminare definitivamente il problema senusso soltanto nel febbraio del 1917.
Oltre ad appoggiare i turchi nella lotta contro la minoranza armena, la popolazione curda residente in Anatolia, Siria, Mesopotamia e Persia settentrionale aderì in maniera massiccia al richiamo della Guerra Santa contro le forze dell’Intesa. Nel 1914, il Comando ottomano inquadrò migliaia di volontari curdi di età compresa tra i 18 e i 45 anni in appositi reparti, come l’Asiret Hafif Suvari Alaylari (la Cavalleria Leggera Tribale). A partire dall’autunno del 1914, questo corpo – che venne addestrato e comandato da ufficiali turchi e che raggiunse una consistenza di 24 reggimenti suddivisi su quattro brigate, pari a circa 25.000 uomini – fu largamente impiegato contro le bande armate armene e contro le armate russe.
Un’annotazione a parte meritano l’Armata Islamica e la Legione Georgiana. La prima era una formazione autonoma nella quale confluirono i volontari mussulmani del Caucaso. L’unità, composta da diverse migliaia di combattenti azerbaigiani e transcaucasici, combatté a fianco dei turchi contro le forze zariste e armene. Nell’Armata Islamica prestò servizio il fratello di Enver Pascià, Nuri. La Legione Georgiana, formata anch’essa da elementi di fede mussulmana provenienti soprattutto dal Lazistan, venne creata all’inizio del 1916 da elementi locali con il preciso scopo di scacciare i russi dalla regione. Ciononostante, i capi di questo esercito vollero sempre mantenere con Costantinopoli un atteggiamento di pura alleanza, evitando commistioni di alcun tipo. Dopo avere respinto più volte la proposta di entrare a fare parte dell’esercito ottomano, i leader del movimento indipendentista georgiano ribadirono di volere preservare l’autonomia del proprio esercito, avviando però rapporti di cooperazione militare e politica con i rappresentanti dell’esercito tedesco presenti in Turchia. Dopo avere partecipato con alterna fortuna ad una serie di eventi bellici, nel gennaio 1917 la Legione Georgiana, il cui quartiere generale risiedeva a Giresun, sulla costa anatolica settentrionale, venne sciolta.
Maggiore rilevanza assunse la partecipazione dei contingenti persiani a fianco dell’esercito turco. Durante il Primo Conflitto Mondiale, pur essendo nominalmente indipendente, la Persia venne invasa sia dagli eserciti turchi che da quelli russi e britannici, trasformandosi in un grande e caotico campo di battaglia. Il governo di Teheran, uno dei più deboli e corrotti di tutta l’area del Vicino Oriente, non riuscì mai ad esprimere una propria politica unitaria, spaccandosi in più fazioni in lotta tra di loro e dando origine a molteplici ed incrociate alleanze. Allo scoppio della guerra, l’esercito regolare persiano risultava formato da circa 13.000 soldati di fanteria e da una variegata forza di 38.000 soldati di cavalleria, inquadrati in numerose e distinte bande al comando di capi locali. L’armata persiana disponeva anche di un modesto corpo di artiglieria composto da 5/6.000 uomini e un centinaio di vecchi pezzi. Due soltanto erano le formazioni paragonabili, in quanto ad affidabilità, addestramento ed equipaggiamento, agli eserciti delle potenze in lotta. La prima era la Brigata Cosacca, formata da circa 3.500 uomini, suddivisa in quattro piccoli reggimenti di cavalleria, più altri reparti appiedati dotati di artiglieria ed armi automatiche. Nel corso della guerra, la Brigata Cosacca, che era comandata da ufficiali russi, si schierò a fianco delle forze zariste contro quelle turche. La seconda formazione era la Gendarmeria Svedese, chiamata così perché era stata creata nel 1911 grazie al contributo di un gruppo di mercenari scandinavi. L’unità era composta da circa 6.000 cavalleggeri suddivisi in sei reggimenti. Durante il conflitto, la Gendarmeria Svedese affiancò le forze turche, contribuendo, nel novembre 1915, a cacciare dalla città di Hamadan la Brigata Cosacca filo-russa. E’ curioso notare che nella Gendarmeria Svedese militò anche un certo numero di ex-prigionieri tedeschi e austriaci che nel 1915 erano riusciti a fuggire dai campi di concentramento russi del Caucaso e dell’Asia Centrale.
Sempre nel 1915, il Comando turco (nelle cui file operavano già diversi ufficiali iraniani) cercò di organizzare un nuovo esercito persiano, ponendolo sotto il comando del generale Nizam al Sultaneh. Tuttavia, questa formazione, scarsamente addestrata ed equipaggiata, ebbe vita molto breve, dissolvendosi sotto l’urto delle armate zariste. Anche i consiglieri militari tedeschi presenti in Persia a fianco delle forze ottomane tentarono, inutilmente, di creare una milizia persiana in funzione antirussa e anti-inglese, stabilendo a Kermanshah un governo fantoccio. Nonostante questi fallimenti, verso la fine del 1917 la Turchia riuscirà a stipulare un’alleanza con la bellicosa tribù degli Jangali, comandati da Kuchik Khan. Quest’ultimo, seppure in maniera autonoma, svolgerà con successo alcune operazioni di guerriglia ai danni delle truppe russe e inglesi presenti nel nord della Persia e lungo le coste del Mar Caspio.
Tra il 1914 e il 1918, anche in diverse regioni dell’Africa Orientale (Sudan, Eritrea, Etiopia e Somalia), agenti segreti e consiglieri militari turchi cercarono di convincere le comunità mussulmane a ribellarsi al dominio inglese, francese e italiano. Ma questo lavoro di intelligence portò soltanto – come nel caso della Somalia e dell’Etiopia – a qualche modesto risultato. In nessuna di queste aree, infatti, i turchi poterono dare vita ad autentici eserciti irregolari dediti alla guerriglia, come invece erano riusciti a fare in Libia.
NOTE:
- Consistenza delle difese costiere ottomane a protezione dell’area dei Dardanelli. Lungo la costa asiatica si trovavano quelle di Orkanie (due pezzi da 240 mm. L/35 Krupp); Kum Kale (due pezzi da 280 mm. L/22 Krupp, due da 260 mm. L/22 Krupp, due da 240 mm. L/22 Krupp, uno da 210 mm. L/22 Krupp, uno da 150 mm. L/22 Krupp e uno da 150 mm. L/40 Krupp); Koja Dere (quattro howitzer da 150 mm.); Chamlik (quattro howitzer da 210 mm. e quattro da 150 mm); Karantina (quattro howitzer da 150 mm. e quattro mortai da 210 mm.); Jevad Pascià (tre pezzi da 150 mm. L/26 Krupp); Messudieh (Ak Tepe) (quattro cannoni da campagna da 75 mm., quattro cannoni a tiro rapido Vickers da 75 mm. e sei pezzi a tiro rapido Vickers da 57 mm.); Dardanos (cinque pezzi a tiro rapido L/40 da 150 mm.); Faro di Kephez (quattro pezzi da campagna da 87 mm.); Kephez (tre pezzi a tiro rapido L/40 da 75 mm. e tre a tiro rapido L/40 da 57 mm.); Hamidieh (due pezzi L/35 Krupp da 355 mm. e sette L/35 Krupp da 240 mm.); Forte Chemenlik (un pezzo da 355 mm. L/35 Krupp, un pezzo da 355 mm. L/22 Krupp, un pezzo da 240 mm. L/35 Krupp, un pezzo da 210 mm. L/35 Krupp e quattro howitzer da 150 mm.); Medjidieh Avan (sei mortai da 210 mm); Anodalu Mejidieh (tre pezzi da 280 mm. L/22 Krupp, quattro da 260 mm. L/22 Krupp, due da 240 mm. L/22 Krupp, due da 210 mm. L/22 Krupp e tre da 150 mm. L/22 Krupp); Nagara (due pezzi da 260 mm. L/22 Krupp, cinque da 240 mm. L/22 Krupp e cinque da 150 mm. L/26 Krupp). Mentre su quella europea erano disposte quelle di Seddulbahir (due pezzi da 280 mm. L/22 Krupp, due da 260 mm. L/22 Krupp, due da 240 mm. L/22 Krupp e quattro cannoni a tiro rapido da 88 mm.); Helles (due pezzi da 240 mm. L/35 Krupp); Tekke Burnu (quattro howitzer da 120 mm.); Kereves Dere e Chomak Tenkir Dere (sei howitzer da 150 mm.); Chomak Dere (quattro howitzer da 210 mm.); Tenkir Dere Sud (sei howitzer da 210 mm.); Tenkir Dere Nord (quattro howitzer da 120 mm.); Suandere Sud (sei mortai da 150 mm.); Suandere (quattro cannoni da 88 mm. L/30); Suandere Ovest (quattro cannoni da assedio da 120 mm.); Suandere Nord (tre cannoni navali a tiro rapido da 105 mm. L/45); Messudieh (tre pezzi da 150 mm. L/45 a tiro rapido); Mun-i-Zaffer (quattro pezzi L/30 a tiro rapido da 75 mm. e quattro cannoni da assedio da 120 mm.); Kum Burnu (sei howitzer da 47 mm) e Yildiz (sei pezzi Krupp L/26 da 150 mm.).
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