Le origini delle guerre balcaniche non possono essere semplicisticamente ricondotte all’occasione contingente in cui scoppiarono, perché gli elementi di fondo erano maturati ben prima che la “polveriera balcanica” mostrasse il suo volto oggettivamente pericoloso per la stessa pace europea.
A fine ‘800 era sembrato che l’Impero ottomano fosse alla fine (una lettura superficiale aveva in Europa visto la crudele prima repressione antiarmena del 1894 come un sintomo di debolezza) ma l’esito disastroso della guerra dei greci contro la Turchia nel 1897 aveva imposto negli stati balcanici l’idea della impossibilità di condurre una lotta di liberazione individualmente e di dover aspettare che l’equilibrio europeo offrisse delle ulteriori finestre d’azione (come nel 1856, nel 1877-78 e nel 1885-86).
Inoltre fino alla conclusione della guerra russo-giapponese la Russia aveva interesse a mantenere la calma nella regione, dove dal 1903 aveva un alleato fidato nella nuova Serbia dei Karagjeorgjevic e incontrava analoga volontà in Austria-Ungheria, Germania e Inghilterra, interessate tutte alla penetrazione economica.
Ma il “ginepraio” macedone era al centro delle discussioni, nell’area e a livello internazionale, da tempo; la regione era in maggioranza abitata da bulgari per nazionalità e appartenenza religiosa, ma forti erano anche le componenti ellenica e serba, oltre a quella turcofona.
Non era però possibile stabilire linee di demarcazione e, quando un accordo informale austro-russo nel 1903 sembrò adombrare una divisione amministrativa su basi etniche, una lotta feroce si instaurò, con molti tratti di quella che chiameremmo oggi “pulizia etnica”.
Già nel 1903-1904 una minacciosa rivolta era scoppiata, e aveva dovuto essere repressa, ad opera dell’organizzazione VMRO; questa era rivoluzionaria, repubblicana, fautrice di una federazione balcanica socialista e dell’azione di massa, sostenendo inoltre una specificità macedone. Andava contro tutti gli interessi nella regione per i metodi e per le idee ed era sospettata di contare su Sofia.
In realtà, invece, la Bulgaria sosteneva, seppure a fasi alterne, l’altra e più forte società segreta, il Comitato militare, rivoluzionario ma riconducibile agli ufficiali bulgari e con programma panbulgaro.
La “lobby” dei macedoni esuli giunse a provocare una ondata di attentati e rivolte dentro e fuori la Bulgaria, nonché a scontrarsi con le bande elleniche e serbe nel 1906-07 e questo offrì l’anno dopo il destro a Ferdinando di Bulgaria di proclamare l’indipendenza e l’unità con la Rumelia; invece che rassicurare, ciò però offese i macedoni, che ne risultavano esclusi e dovettero subire la nuova fase di politica centralizzatrice e nazionalista della Turchia, tesa a favorire anzi l’emigrazione dei bosniaci ai danni delle popolazioni nella provincia.
Il triennio 1909-12 fu inoltre contrassegnato dalla rivolta degli albanesi, popolo tra i più fedeli alla Porta ma ora ostile al fiscalismo e alla riforma militare dei Giovani Turchi, che si allargò ad una Macedonia in preda al caos e al banditismo.
Fu questo il contesto in cui i popoli balcanici furono spinti ad affrettare una alleanza antiottomana e per 2 motivi fondo: 1) evitare che le Potenze si interponessero tra loro e la Porta con riforme che li avrebbero danneggiati; 2) che, nel quadro del peggioramento dei rapporti tra le stesse e dell’irrigidimento delle alleanze, una o più di esse penetrassero direttamente nei Balcani a loro danno. L’annessione della Bosnia-Erzegovina da parte austriaca nel 1908 così era stata spesso intesa.
La impresa di Libia (dichiarazione di guerra del 16 settembre 1911) era stata in realtà preparata diplomaticamente da Tittoni e San Giuliano (ministri degli esteri italiani) da anni e avvenne con il nulla osta di tutte le Potenze, ciascuna per ragioni proprie e in una regione nordafricana non più oggetto del contendere; invece essa fu interpretata da molti nei Balcani come prova della debolezza turca e della indifferenza occidentale alla sorte della Porta o ad una rassegnazione alla espulsione dei turchi dall’Europa.
La preparazione diplomatica fu convulsa. Serbia e Bulgaria iniziarono i colloqui il 28 settembre 1911, pronubi gli ambasciatori russi nelle due capitali, in ottobre giunsero ad un accordo provvisorio di massima sulla Macedonia, stipularono l’alleanza tra il 22 e il 28 febbraio 1912, con una convenzione militare blanda il 29 aprile successivo. Dopo avere litigato tra l’ipotesi del principato autonomo (che sarebbe stato sul modello rumeliano e favorevole ai bulgari) e quella, poi adottata, della spartizione, giunsero ad escludere una “zona contesa” attorno a Skopje. I russi, che credevano fosse una intesa difensiva, furono così raggirati.
Analogo errore fu commesso dagli inglesi, che favorirono il 13 maggio 1912 una alleanza greco-bulgara che credevano difensiva, ma che, altrettanto ambigua sul piano militare e su confini stabiliti solo di massima, era offensiva a tutti gli effetti. Analoghi accordi tra Serbia e Grecia e verbalmente del Montenegro con gli altri 3 contraenti condussero ad una Lega che non era tale in senso stretto e lasciava ampio spazio alle diatribe sulla “spartizione del bottino”.
La Romania fu trattenuta da Austria-Ungheria e Germania, che sottovalutarono cosa “bolleva in pentola” e dovettero perciò recuperare un proprio spazio d’azione a guerra iniziata.
Manovre al confine turco-bulgaro lasciavano presagire qualcosa già in estate, tanto più che i Giovani Turchi erano caduti e le trattative italo-turche andavano per le lunghe; il Montenegro entrò in guerra l’8 ottobre, Grecia, Serbia e Bulgaria 10 giorni dopo.
Serbia e Montenegro avanzarono velocemente nella Macedonia occidentale, vincendo a Kumanovo le deboli, ivi, forze turche, la Grecia poté a sua volta avanzare indisturbata verso nord, precedendo i bulgari a Salonicco l’8 novembre 1912.
Ma la parte maggiore la fece l’esercito bulgaro, che con un’ala minore occupò la Macedonia orientale e con il grosso del contingente vinse i turchi a Kilissas e Burgas, giungendo il 17 novembre a 30 km da Istambul.
Mentre i politici e lo czar erano inebriati dalla vittoria imminente, l’esercito era consapevole della stanchezza della truppa, tra la quale il colera fece in pochi giorni 20mila vittime.
Perciò le forze armate si fermarono e fu stabilito un armistizio; l’intervento delle Potenze portò ad iniziare a Londra colloqui di pace, sancendo l’indipendenza albanese con confini da stabilire (Austria-Ungheria e Italia come “protettori” rivali), ma non riuscendo a mettere d’accordo le parti. 1 milione e 200mila uomini avevano combattuto e le vittime erano state numerose.
Intanto il 23 gennaio 1913 un nuovo colpo di Stato a Istambul, anche contro la recente pace di Losanna con l’Italia, rimise al potere i Giovani Turchi di Nishim Pascià, risvegliando tutti i timori degli alleati; tra il 3 e il 26 febbraio successivi i bulgari ripresero l’avanzata in Tracia occidentale e conquistarono Adrianopoli.
Se ciò poteva rassenerare alcuni, altri ne furono al contrario spaventati e la Romania, in cambio della neutralità conservata e come compenso per il pericolo di una Grande Bulgaria, chiese e ottenne dalla conferenza degli ambasciatori di Pietroburgo, la cessione della Dobrugia meridionale. Intanto Serbia e Grecia il 19 marzo stipulavano un accordo segreto di spartizione della Macedonia sulla base dello “uti possidetis”.
Il trattato di Londra del 30 maggio restò nel vago su molte questioni territoriali, oggetto del contendere per ragioni di equilibrio tra gli alleati e anche tra le stesse Grandi Potenze.
La Bulgaria e la Serbia non giunsero ad accordi diretti e la mediazione russa fu rifiutata proprio da Belgrado. Lo stesso avvenne tra Bulgaria e Grecia.
La prima, allora, confidando sulla superiorità numerica del suo esercito e sovrastimando le proprie forze, scelse la via di imporre con la forza equilibri meno sfavorevoli. La seconda guerra durò solo 2 settimane e dovette essere conclusa immediatamente il 17 giugno, alla notizia della avanzata turca da sud, della caduta di Adrianopoli e della mobilitazione a nord della Romania, spintavi dall’Austria-Ungheria a difesa delle acquisizioni promesse.
I trattati di Bucarest (10 agosto 1913) e Costantinopoli (13 ottobre) spartirono: 1) la Macedonia, con la Bulgaria in possesso della zona del Pirim; 2) la Tracia occidentale tra Grecia (con Salonicco) e Bulgaria. Inoltre restituirono il “rettangolo” della Tracia orientale alla Turchia e confermarono la Dobrugia meridionale alla Romania.
Soddisfatta la Serbia in Macedonia, questa immediatamente volse la sua azione panserba verso la Bosnia, mentre Grecia e Romania non potevano che rivendicare territori appartenenti a Istambul e Budapest (Transilvania); la Bulgaria, umiliata, non poteva che coltivare la revisione dei trattati. La Grande Guerra era alle porte.
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