Lutto. Ci ha lasciati il Prof. Raimondo Luraghi, insigne studioso, grande Uomo.

Il Professor Raimondo Luraghi.

Ci ha lasciati Raimondo Luraghi, uno degli storici più noti e apprezzati nella comunità internazionale.

Faceva parte del Comitato Scientifico di ‘Storia Verità’.

 

Raimondo Luraghi, scomparso all’età di 91 anni, lo scorso 28 Dicembre, non ha potuto vedere pubblicato il suo ultimo libro, che uscirà postumo da Rizzoli tra qualche settimana. Una coincidenza che, per quanto amara, dimostra come egli abbia proseguito il lavoro storiografico fino all’ultimo, con la competenza e la passione di sempre. Il volume tira le somme di un’attività più che cinquantennale di ricerca e riflessione sulla guerra di Secessione americana, per la quale Luraghi si era affermato nella comunità scientifica internazionale, fino a vincere (primo autore europeo) il premio Roosevelt per la storia navale con il saggio Marinai del Sud (Rizzoli, 1993), dedicato alla flotta confederata. Pietra miliare del suo lavoro sono le 1.400 pagine della Storia della guerra civile americana, pubblicata da Einaudi nel 1966 e poi riproposta, anche di recente, dalla Bur. Un’opera che legittimamente si può definire un classico della storiografia. Con una prosa avvincente, Luraghi aveva ricostruito nei dettagli le origini della guerra e i suoi sviluppi, con una particolare attenzione ai protagonisti di quello che fu il primo conflitto dell’età industriale. Le battaglie sono ripercorse quasi minuto per minuto, in tutte le loro fasi, anche attraverso un ricco apparato di mappe. Nei sette anni d’impegno da cui era scaturito il libro, l’autore non aveva soltanto setacciato gli archivi e le raccolte documentarie, ma si era recato di persona sui luoghi dei combattimenti, viaggiando dalla Virginia alla Louisiana, fino alle paludi del Mississippi.Con il tempo Luraghi aveva accentuato la sua ammirazione per Abraham Lincoln, fino a paragonarlo a Cavour in quanto fondatore degli Stati Uniti come nazione unitaria, e si era convinto che la guerra civile fosse stata la seconda rivoluzione americana. Tuttavia criticava ogni visione manichea del conflitto, senza nascondere la sua considerazione per l’aristocrazia terriera del Sud, per figure come il presidente della Confederazione Jefferson Davis e il generale Robert E. Lee. Diffidava del politically correct e ne deplorava gli effetti sulla ricerca storica: per chi avesse introiettato la retorica dei vincitori, specie negli anni in cui dominava in Italia il senso comune di sinistra, la lettura di alcune parti del suo libro poteva essere una grossa sorpresa. Luraghi notava che il livello medio di vita degli schiavi «non era generalmente inferiore a quello comune tra le classi contadine del Sud». E sottolineava che la borghesia industriale del Nord non aveva certo combattuto per liberare i neri, ma per sottrarre l’egemonia politica sull’Unione ai latifondisti meridionali. Alla cultura e all’identità del Sud, con evidente simpatia, aveva dedicato di recente il bel saggio La spada e le magnolie (Donzelli, 2007). Sarebbe però limitativo ricordare Luraghi solo per le sue ricerche sugli Stati Uniti, assolutamente pionieristiche per l’Italia. Nato a Milano nel 1921, ma «torinese d’elezione» sin da ragazzo (parlava con uno spiccato accento piemontese) per via della prematura scomparsa del padre, aveva partecipato alla Resistenza ed era stato ferito in combattimento nel 1944. Sulla lotta di liberazione, in cui si era guadagnato la medaglia d’argento al valor militare, aveva pubblicato il libro di ricordi Eravamo partigiani (Bur, 2005). Comunista e cronista dell’«Unità» in gioventù, da studioso si era occupato inizialmente della Resistenza in Piemonte. Docente ordinario di Storia americana a Genova, visiting professor in diversi atenei degli Usa, aveva coltivato anche altri interessi. Per esempio aveva curato, per l’Ufficio storico dell’esercito, l’edizione nazionale critica delle opere del grande condottiero seicentesco Raimondo Montecuccoli. E aveva collaborato con un militare cinese, Huang Jialin, alla prima traduzione italiana dal testo originale del famoso trattato L’arte della guerra di Sun Zi.Conosceva bene gli orrori dei conflitti bellici, ma non ne condivideva la condanna moralistica. Piuttosto invitava a studiarli e a fare tesoro delle loro crudeli lezioni, nella disincantata consapevolezza che «costruzione e distruzione si mescolano nella vicenda umana».

 

Antonio Carioti (Corriere della Sera)

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