L’arpa insanguinata
DUBLINO 1916: LA “PASQUA DI SANGUE”
Nella primavera del 1916, mentre a Verdun le armate anglo-francesi si oppongono all’avanzata dell’Impero tedesco, per le strade di Dublino i volontari irlandesi si scontrano con le truppe dell’Impero britannico nell’estremo tentativo di liberarsi da un giogo ormai secolare.
di Gino Salvi
Dublino martedì 2 maggio 1916, ore 2 del pomeriggio. Squilla il telefono nel Royal Hospital di Kilmainham, quartier generale dell’esercito di Sua Maestà britannica in Irlanda. All’apparecchio risponde il generale John Grenfell Maxwell, comandante in capo dell’esercito britannico in Irlanda. Maxwell è arrivato a Dublino venerdì 28 aprile, quinto giorno dell’”Easter Rising”, la rivolta dei nazionalisti irlandesi iniziata il lunedì di Pasqua e conclusasi il giorno dopo l’arrivo di Maxwell con la resa incondizionata dei ribelli. All’altro capo del filo c’è il generale Blackard, presidente della corte marziale che quella mattina, nella caserma di Richmond, ha giudicato i primi tre capi della rivolta: il primo presidente della neonata Repubblica d’Irlanda, Patrick Pearse, e altri due cofirmatari della proclamazione d’indipendenza (Thomas Clarke e Thomas MacDonagh) che ha dato vita al nuovo Stato. I tre sono stati condannati a morte in pochi minuti, con rito sommario e senza difensori: ora tocca a Maxwell decretare il tradizionale rinvio di una settimana per l’esecuzione. Ma, la risposta di Maxwell è lapidaria: “Shoot’em” , “Fucilateli”. Poi un colpo di tosse e il microfono riagganciato. Non è che l’inizio: nel giro di una settimana altri dodici ribelli finiranno dinanzi al plotone d’esecuzione nel cortile del carcere di Kilmainham. Con queste esecuzioni, finisce la rivolta irlandese. Una rivolta di cui è stato gettato il seme politico fin dal gennaio del 1913, quando il terzo progetto di legge per l’autogoverno irlandese (Home Rule Bill) venne approvato, nonostante l’opposizione della Camera dei Lord, dalla Camera dei Comuni. Una rivolta che venne organizzata dall’ala rivoluzionaria (l’Irish Republican Brotherhood o Fratellanza Repubblicana Irlandese e, in particolare il professor Patrick Pearse, Joseph Plunkett e Thomas MacDonagh) degli Irish Volunteers (un corpo paramilitare, di circa 12.000 militanti, capeggiato dal professor Eoin MacNeill, diviso al suo interno tra i fautori dell’obiettivo moderato e gradualista dell’autogoverno – come Michael O’Rahilly, detto “The O’Rahilly” – ed esponenti più radicali), dall’agguerrita ma minuscola formazione dell’Irish Citizen Army (l’Esercito dei cittadini, sorto come strumento di difesa sindacale, sotto la guida di James Connolly, segretario del sindacato dei trasportatori, marxista convinto e fondatore, nel 1896, del piccolo Partito socialista repubblicano) e da alcune organizzazioni fiancheggiatrici quali la Lega delle donne, i Fianna Boys, la Gaelic League, la Gaelic Athletic Association. Una rivolta che ebbe tra le sue cause politiche, la crescita del movimento unionista dell’Ulster contrarissimo per bocca del suo leader, sir Edward Carson, a qualsiasi forma di autogoverno che includesse le contee settentrionali. Una rivolta che, nonostante l’iniziale occupazione della Posta centrale di Dublino in Sackville Street, non riuscirà a raggiungere gli obiettivi principali: il Castello (centro nevralgico dell’amministrazione britannica), la santabarbara del deposito di munizioni a Magazine Fort nel Phoenix Park, le stazioni di Amiens Street e Kingsbridge e la centrale telefonica. Una rivolta a cui, purtroppo, mancherà (a causa, ad esempio, della preoccupazione delle donne del popolo, le “shawlies” (così soprannominate a causa degli scialli con cui si coprono il capo), – madri, figlie e sorelle dei coscritti dell’esercito -, per la vita dei loro cari e timorose di poter perdere gli assegni familiari, unica fonte di sussistenza) l’adesione popolare. Una rivolta repressa nel sangue dagli inglesi con esecuzioni sommarie, uccisioni insensate, violenza gratuita e reazioni isteriche come la fucilazione del pittoresco, innocuo, pacifista, Francis Skeffington detto “Skeffy”; donne prese di mira mentre facevano la coda per il pane, perché scambiate per vivandiere dei ribelli; barboni ubriachi freddati per non risposto all’alt e ragazzi malmenati perché ritenuti portaordini. Una rivolta che, come affermò, decenni dopo, Nora Connolly, figlia del capo dell’ Irish Citizen Army, non fu “come hanno voluto far credere una certa leggenda e soprattutto la propaganda inglese”, un’”operazione suicida”. Ma, al contrario, in quell’insurrezione Connolly e agli altri capi “giocavano le loro carte per mettere in difficoltà l’impero inglese”. Una rivolta da cui, nonostante il fallimento, nascerà la classe politica della futura Irlanda indipendente come, ad esempio, la contessa Constance Markiewicz (fu la prima donna eletta, nel 1918, alla Camera dei Comuni, Ministro del Lavoro della Repubblica irlandese dal 1919 al 1922 e partecipò, nel 1926, alla fondazione del partito moderato “Fianna Fail”) e, soprattutto, Eamon De Valera che diventerà (dal 1932 al 1948, dal 1951 al 1954 e dal 1957 al 1959), Primo Ministro e, infine (dal 1959 al 1973), Presidente della Repubblica.
Il cinema e la Rivolta irlandese
Fin qui la Storia. Ma, il cinema ne ha mai parlato della “Pasqua di sangue”? E, se sì, come? Direi che se n’è occupato in due maniere: o facendo della rivolta lo sfondo vivo e fortemente contrastato d’una storia d’amore o ripercorrendo abbastanza fedelmente le vicende storiche. Alla prima categoria appartiene “La figlia di Ryan”, diretto, nel 1970, da David Lean. A nostro avviso, si tratta di uno di quei capolavori incompresi, un raro esempio di kolossal personalissimo e d’autore, come “I cancelli del cielo” di Michael Cimino, a cui è apparentato sia dallo splendore delle immagini (grazie a Freddie Francis, l’artefice della fotografia), che dalla poetica dei sentimenti in balia della violenza della Storia. Infatti, la pellicola narra di Rosy (figlia di Thomas Ryan, proprietario del pub di un piccolo villaggio e sposata con Charles Shaughnessy, il maestro) che inizia una relazione con il maggiore Randolph Doryan, un ufficiale decorato, convalescente da una ferita di guerra patita durante un combattimento contro i tedeschi, e inviato in Irlanda per ristabilirsi, a comandare il piccolo presidio inglese. Tuttavia, pur dando ampio risalto alle vicende sentimentali dei tre protagonisti (interpretati da Sarah Miles, Christopher Jones e Robert Mitchum), il film, nella sua parte centrale, racconta di quando i ribelli irlandesi, aiutati da tutta la popolazione del villaggio, cercano di recuperare delle casse piene di armi gettate in mare da una nave tedesca, paese che fornisce loro aiuto e che una tempesta minaccia di spazzare via. Questo snodo narrativo e il personaggio del capo indipendentista, Tim O’Leary, ricordano alcuni eventi realmente accaduti. Ovvero, lo sbarco dello yacht privato “Asgard” e la vicenda di sir Roger Casement. L’”Asgard” era uno yacht privato su cui venne trasportato il grosso di un carico di 1.500 fucili e 50.000 cartucce, acquistati, nel luglio del 1914, in Germania dai nazionalisti irlandesi. L’”Asgard” arrivò il 26 luglio, attraccò a Howth e le armi furono prese in consegna da una colonna di nazionalisti irlandesi. Però, un distaccamento inglese sulle loro tracce, innervosito dall’inutile caccia, aprì il fuoco sulla gente di Dublino e il bilancio fu di quattro morti. Sir Roger Casement era, invece, un diplomatico irlandese schieratosi dapprima come simpatizzante della linea moderata dell’autogoverno e diventato, poi, sostenitore dell’insurrezione. Casement, dopo inesauribili trattative con la Germania, riuscì ad ottenere dieci mitragliatrici e 20.000 fucili presi ai francesi. Comunque le armi andarono perse, perché la nave che le trasportava, l’Aud, giunse, il 20 aprile del 1916, nella baia di Tralee, mentre gli irlandesi (per un disastroso errore nelle comunicazioni) l’aspettavano per la notte del 23. Nel frattempo, lo stesso Casement, sbarcato prima dell’alba, il 21 aprile, sulla spiaggia di Banna Strand e trovato, dalla polizia, in possesso di un biglietto delle ferrovie tedesche, venne, dapprima, arrestato e, poi, il 3 agosto del 1916, impiccato nella prigione londinese di Pentonville. Questo, per quel che riguarda il piano storico de “La figlia di Ryan”. Per quel che concerne, invece, “Michael Collins” (vincitore del Leone d’Oro per il miglior film alla 53ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia), diretto nel 1996 da Neil Jordan, pur portando la Storia in primo piano, della rivolta mostra soltanto, in un flash back, la fine. Ovvero, quando Michael Collins (Liam Neeson, qui premiato con la Coppa Volpi), Harry Boland (Aidan Quinn), Eamon De Valera (Alan Rickman) e altri insorti sopravvissuti ai combattimenti si arrendono alle forze armate britanniche. Nella realtà storica, i tre capi della rivolta, sui quali è focalizzato il flash back della pellicola, furono gli unici, insieme alla contessa Markiewicz, a scampare alla condanna a morte. A favore di De Valera giocò la sua nascita newyorkese e l’intercessione del Senato statunitense, sollecitato dalla lobby irlandese. Perciò, De Valera venne detenuto nelle prigioni di Dartmoor, Maidstone e Lewes. Mentre, Collins e Boland furono deportati nel campo d’internamento di Frongoch, nel Galles e la contessa Markiewicz venne detenuta nelle carceri di Kilmainham, Mountjoy e Aylesbury, fino a quando non fu rilasciata (come anche De Valera, Boland e Collins), nel 1917, per via dell’amnistia. Ad affrontare, più direttamente (anche se, al pari delle pellicole già citate, ciò non esclude talune romanzature o, comunque, alterazioni della realtà) la vicenda storica della “Settimana di sangue” è, invece, la serie televisiva “Rebel Heart”, prodotta, nel 2001, dalla BBC britannica e, purtroppo, mai programmata dalle troppo distratte reti nostrane. La miniserie, interpretata dall’attore inglese James D’Arcy nel ruolo, inventato dagli sceneggiatori, di Ernie Coyne, un nazionalista irlandese. Questa fiction ripercorre abbastanza fedelmente, nel primo episodio, ciò che contrassegnò la “Pasqua di sangue”. Infatti, il protagonista partecipa all’occupazione dell’edificio della Posta centrale (General Post Office); si contrappone ad altri personaggi (nella finzione televisiva, Tom O’Toole e Kelly, interpretati dagli attori Vincent Regan e Frank Laverty) d’estrazione operaia e marxista; fa il portaordini, combatte sulle barricate al parco St Stephen’s Green (a fianco di alcune militanti della Lega delle donne guidate dalla contessa Markiewicz) e, infine, viene arrestato e imprigionato, insieme ad altri combattenti, rifiutando l’appoggio che gli offre suo padre. L’episodio si conclude con la fine della rivolta di Pasqua, la resa dei combattenti e l’esecuzione dei capi ribelli, quali Patrick Pearse e Thomas Clarke. “Rebel Heart” (oltre alle accuse del leader dell’ Ulster Unionist Party, David Trimble, d’avere un “punto di vista” eccessivamente favorevole ai ribelli), è stato criticato da alcuni storici irlandesi, sottolineando che il personaggio di Michael Collins veniva posto in cattiva luce quando accettava di firmare, nel 1921, il Trattato anglo-irlandese. Trattato che, pur prevedendo la nascita di un nuovo stato irlandese, ne sanciva lo status non di repubblica (come avrebbe voluto De Valera) ma di dominion dell’Impero Britannico e, quindi, soggetto ad un giuramento di fedeltà al re britannico. Su quest’aspetto della storia irlandese, critiche uguali e contrarie (cioè d’essere troppo agiografico) sono state rivolte anche alla pellicola diretta da Neil Jordan, a cui ho accennato prima. La terza ed ultima tra i film dedicati alla “Pasqua di sangue” è “Irish Destiny”. Si tratta d’una produzione irlandese, girato nel 1926, diretto dal regista George Dewhurst e scritto dallo sceneggiatore Isaac Eppel, in occasione del decimo anniversario dell’”Easter Rising”. Per anni gli storici del cinema avevano creduto che questa pellicola fosse andata persa per sempre, fino a quando, nel 1991, ne è stata ritrovata un’unica stampa al nitrato conservata all’Irish Film Institute, presso la Biblioteca del Congresso statunitense. Dopo questo ritrovamento venne, inoltre, commissionata una nuova partitura al musicista Mícheál Ó Súilleabháin. Oltre a queste tre pellicole, a cui ho accennato, ce ne sono altre incentrate, più in generale, sulla guerra d’indipendenza irlandese e sull’IRA (l’Irish Republican Army, nata, nel 1919, dagli Irish Volunteers) e la “Provisional IRA” (nata da una scissione dall’organizzazione ufficiale). Si tratta di opere cinematografiche quali “The Boxer” e “Nel nome del padre” (entrambi diretti da Jim Sheridan e interpretati da Daniel Day-Lewis) o, ancora, il capolavoro di John Ford, “Il traditore”. Ho scelto soltanto di citarle, a puro titolo d’esempio, perché non riguardano gli avvenimenti della “Pasqua di sangue”. Ovvero un’insurrezione che lasciò gran parte di Dublino in rovina ma senza di essa l’Irlanda non sarebbe mai stata liberata dal dominio inglese. Raramente nella storia ci sono stati uomini e donne così decisi a dare la vita per un ideale, ma l’ideale irlandese aveva profonde radici. William B. Yeats ha immortalato questa tensione ideale nei suoi versi: «Li ho incontrati al cadere del giorno / mentre ritornavano animati in viso / da banchi di negozi / o scrittoi tra grigie / case del diciottesimo secolo. (…). Noi conosciamo il loro sogno / basta sapere che sognarono e son morti. / E che importa se eccesso d’amore / Li sconvolse fin che morirono? / Lo scrivo in rima: / MacDonagh e MacBride / E Connolly e Pearse. / Ora e nel tempo avvenire, / ovunque s’indossi il verde, / sono mutati, interamente mutati: / una bellezza terribile è nata». Mentre, nelle parole di Arthur Griffith, il fondatore del “Sinn Fein” (il movimento indipendentista irlandese nato nel 1905) vi è un ammonimento indirizzato a noi tutti (e non soltanto agli irlandesi) a non farsi dominare né dal libero mercato, né dal capitale straniero. “Se un industriale irlandese non può produrre un articolo economicamente come un inglese o un altro straniero solo perché il suo concorrente straniero ha risorse maggiori a sua disposizione, allora è il primo dovere della nazione irlandese accordare protezione a quell’industriale irlandese”.
Bibliografia
Riccardo Michelucci, Storia del conflitto anglo-irlandese. Otto secoli di persecuzione inglese, Bologna, Odoya 2009
Kevin Rockett, The Irish Filmography 1896-1996; Red Mountain Press; 1996.
Charles Duff, La rivolta irlandese (1916-1921), Milano, Rizzoli 1970.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.