NICEFORO FOCA E LA CONQUISTA DI CRETA

L'imperatore Niceforo II Foca



NICEFORO FOCA E LA CONQUISTA DI CRETA

Alla testa di 50.000 uomini trasportati da più di 300 navi, il generale bizantino Niceforo Foca, comandante supremo delle truppe imperiali, conquistò Creta strappandola ai mussulmani.

 

di Nicola Bergamo

Niceforo Foca II (912-969) fu uno dei più capaci generali bizantini del periodo macedone. Successivamente, venne anche incoronato imperatore di Bisanzio (963-969), ma il suo breve regno fu caratterizzato da molte battaglie e ben poche vittorie. Niceforo faceva parte di una famiglia nobiliare di tradizioni militari: sia suo nonno, Niceforo Foca il Vecchio, sia suo padre, Bardas, che suo fratello, Leone, servirono con le armi in regno, ricoprendo la prestigiosa carica di Domestikos ton scholon, ossia comandante supremo delle truppe imperiali. Ricordiamo che Il grado più importante in un thema era lo strategos, talvolta supportato da un comandante in seconda, l’hypostrategos. L’esercito era suddiviso in divisioni, capeggiate dai merarches, gli attuali generali. Una divisione era suddivisa a sua volta in tre reggimenti, che venivano comandati ciascuno da un moirarches, l’attuale colonnello. Altri ufficiali erano i komes (capitani) e gli ilarches (tenenti), gli hekatontarches (comandanti di plotone, che fino alla metà del VII secolo era denominato centurione). Ultimi fra gli ufficiali erano coloro che comandavano una decina di uomini. Il grado più basso dell’esercito bizantino era il phylax. E a volte vi erano dei soldati con dei compiti speciali, ad esempio il bandophoros, cioè colui che portava la bandiera, oppure lo spatharios, cioè colui che portava la spada. Ma torniamo a Niceforo. Questi divenne presto un soldato professionista, guadagnando poi la carica di governatore del Tema degli Anatolici, tra le più importanti provincie di Bisanzio (verso la metà del VII secolo, l’esercito bizantino venne rivoluzionato con la riforma dei Temi, che viene attribuita a Eraclio o a suo nipote Costante II. Secondo altri storici, invece, l’istituzione dei Temi sarebbe stata invece il risultato di un lungo e graduale processo di rinnovamento dell’esercito). Allorquando suo padre venne gravemente ferito in battaglia, Niceforo conquistò i gradi di comandante in capo delle armate orientali, ma il suo esordio in tale veste non gli portò fortuna in quanto ebbe a subire, nel 954 d.C., una rovinosa sconfitta ad opera del condottiero arabo Al-Muti. Per nulla abbattuto da questa prima batosta, a partire dal 957, in terra di Siria, Niceforo riguadagnò rapidamente fiducia in se stesso e prestigio, inanellando una serie di brillanti vittorie. Nella successiva campagna del 961-963 strappò agli arabi le città della Cilicia, andando a riconquistare addirittura la città fortificata di Aleppo: successo quest’ ultimo che fece guadagnare al giovane generale il titolo di “Morte bianca dei Saraceni”. Per inciso, il saccheggio di Aleppo fruttò ben 390.000 dinari e un bottino di 2.000 cammelli, 140 muli e grandi quantità di armi. Aleppo fu certamente un grande traguardo, ma la conquista di Candia (Creta), fu da ascrivere al libro d’oro delle gesta militari bizantine. Nel corso di questa impresa, Niceforo ebbe modo di palesare appieno il suo acume tattico e quella giusta umanità che gli permisero in seguito di divenire imperatore. Dal punto di vista militare, politico ed economico, la riconquista di Creta si rivelò importantissima poiché permise a Bisanzio di sferrare al bellicoso avversario un colpo quasi mortale e, nel contempo, di liberarsi, dopo quasi 200 anni di sofferenze, del flagello costituito dai pirati mussulmani che proprio lungo le coste dell’isola avevano disposto i loro approdi. Il resoconto più attendibile di tale impresa lo si deve a Leone Diacono[1] che pare fosse, nella circostanza, addirittura al fianco del’impavido generale bizantino. “Niceforo Foca – narra Diacono – lasciò, con ben 300 navi  e 50.000 soldati, le coste imperiali per dirigersi verso Creta, occupata dai musulmani. Dopo essere sbarcato al comando di un numeroso esercito, non attaccò direttamente l’avversario, bensì ordinò la messa a punto di possenti macchinari d’assedio, indispensabili per distruggere le possenti mura di Candia, la capitale dell’isola. Fatto trascorre l’inverno, nel 961 Niceforo decise di muovere contro il nemico con le sue schiere, pesantemente e perfettamente equipaggiate, marciando al suono delle trombe e accompagnate dal pesante e ritmico suono dei tamburi. L’intero esercito romano[2] si diresse verso Candia, cingendola presto d’assedio e sottoponendola ad un massiccio bombardamento effettuato con catapulte, onagri e armi nevrobalistiche. E non appena qualche porzione di muro crollava, i difensori cercavano di sistemare la falla, anche se con il tempo tale opera diventava sempre più ardua (…) Non appena gli arieti, ormai vicini, colpivano la cinta, i genieri e gli zappatori imperiali si gettavano alla base di questa, iniziando a scavare con picconi e vanghe per indebolirne le fondamenta: lavoro pericoloso, ma in realtà non molto difficile dal momento che i blocchi di pietra delle mura di Candia non erano di eccellente natura, in quanto molto sabbiosi. Dopo giorni di combattimenti ed opere demolitorie, le mura iniziarono a cedere dando modo alle fanterie di Niceforo di insinuarsi tra le brecce, attaccando ed incendiando le due principali torri (in parte lignee) del dispositivo nemico. Fu a quel punto che i difensori, resisi ormai conto dell’impossibilità di presidiare ancora ciò che rimaneva degli spalti, iniziarono a ritirasi, combattendo, verso il centro abitato, dove approntarono un’ultima, estrema linea di combattimento che permise loro di resistere valorosamente per molte ore all’urto delle ormai galvanizzate fanterie bizantine. Sopraffatti gli ultimi manipoli, i bizantini fecero gran strage e non ebbero alcuna pietà per i sopravvissuti. Informato dell’accaduto, Niceforo intervenne d’impeto, ponendo fine alla carneficina degli avversari che avevano deciso di deporre le armi.

Quando tutta la città fu catturata, i soldati setacciarono ogni abitazione e palazzo, radunando un enorme bottino. Ricordiamo che la popolazione di Candia, dedita in buona misura alla pirateria e ai traffici, era tra le più prospere dell’intero bacino mediterraneo. Quando tutto fu sistemato Niceforo ordinò che le mura rovinate fossero ricostruite; ma essendo la città ormai un cumulo di macerie, egli decise infine di trasferire la capitale in altro luogo. Il nuovo capoluogo, situato su una collina, venne battezzato Temenos: la località, adeguatamente fortificata, venne affidata alle cure di una guarnigione composta da elementi armeni e bizantini e dotata di una squadra navale composta da unità munite a prora con sifoni in grado di scagliare ‘fuoco greco’ (una speciale miscela incendiaria – inventata dal greco Callinico originario della città libanese di Eliopolis – composta da pece, salnitro, zolfo, nafta e calce viva). Rientrato a Bisanzio con il ricchissimo bottino di guerra (in stoffe, argento, oro e preziosi) e una moltitudine di prigionieri, Niceforo Foca venne ricevuto con tutti gli onori dall’imperatore Romano II (959-963) che gli dedicò un trionfo nel celebre Ippodromo della capitale”. Dopo qualche anno, il 2 luglio 963, grazie al matrimonio contratto con la Basilissa Teofano, diventa nel frattempo vedova di Romano II, Niceforo Foca divenne imperatore, abbracciando – senza successo – la politica ed abbandonando l’arte della guerra, di cui era stato maestro, per poi finire assassinato per mano dell’amico Giovanni Zimisce. A dimostrazione che è talvolta più facile morire per intrighi di palazzo che non per mano di un qualsiasi ‘barbaro’.

 

 


[1] Testo, tradotto dall’inglese, di Paul Stevenson.  http://homepage.mac.com/paulstephenson/trans/leo1.html . Riferimenti bibliografici, Historiae Libri X, ed. C. B. Hase (Bonn, 1828), 24-9 [Book 2]

[2] Romano in questo caso, e in quelli successivi, vuol dire “bizantino”. Per i testi coevi il termine “bizantino” non aveva alcun senso tranne forse che per gli abitanti di Costantinopoli.

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