enormi fosse comuni scoperte nell’attuale Ucraina occidentale: le vittime avevano le mani legate dietro la schiena e sono state uccise con un colpo alla nuca. L’eccidio opera della Nkvd, la famigerata polizia di Stalin
di Livio Caputo (Fonte: IL GIORNALE)
Un nuovo orrido capitolo si è aggiunto al già ricchissimo «Libro nero del comunismo»: un bis, su scala appena più ridotta, dell’eccidio di Katyn, dove nel 1940 i sovietici trucidarono 20.000 ufficiali e soldati dell’esercito polacco con l’obbiettivo di decapitare la classe dirigente del Paese e renderne così più facile la sottomissione. Secondo il settimanale polacco «Rzecspospolita», un’altra fossa comune, contenente i corpi di circa 3.500 militari, appartenenti alla Guardia di frontiera o al corpo d’armata del generale Smorawinski, è stata ritrovata a Wlodzimierz Wolynski, nell’attuale Ucraina occidentale. Come a Katyn, tutti avevano le mani legate dietro la schiena e tutti sono stati uccisi con un colpo di pistola alla nuca. La scoperta, in realtà, risale a dodici anni fa, ma per ragioni non ben chiare le autorità di Kiev ritennero allora di metterla a tacere in attesa di ulteriori accertamenti, e soltanto ora hanno reso questo ennesimo crimine staliniano ufficiale. La notizia della strage non desterà molto stupore in chi conosce la storia di Katyn, magari attraverso la visione del film di Wajda arrivato di recente – dopo un tentativo di ostracismo – nelle nostre sale. Dal momento che il Cremlino aveva deciso di approfittare delle circostanze belliche per liquidare ogni potenziale resistenza da parte dei polacchi dopo l’annessione della metà orientale del Paese, non c’è in fondo da meravigliarsi che anche questo secondo contingente di prigionieri sia stato brutalmente trucidato. Ma la rivelazione non mancherà di avere ripercussioni sui rapporti tra Varsavia e Mosca, che ancora oggi risentono della vicenda di Katyn e che non sono certo migliorati dopo l’ingresso della Polonia, fino a vent’anni fa satellite dell’Urss, nell’Unione Europea e nella Nato. Per mezzo secolo, i sovietici avevano negato ogni responsabilità dell’eccidio, attribuendone – contro ogni evidenza e anche contro la geografia – la colpa ai tedeschi. Solo nel 1990, dopo la caduta del muro di Berlino e con l’impero sovietico già in piena agonia, Gorbaciov ammise il crimine, commesso dalla famigerata Nkvd, e presentò le sue tardive scuse alla Polonia. Seguì un lungo periodo in cui russi e polacchi collaborarono nella ricostruzione degli eventi, nel tentativo di arrivare, se non altro, a una memoria condivisa. Ma quattro anni fa, nel quadro della sua politica di restaurazione imperiale (e forse per ritorsione contro la stretta collaborazione di Varsavia con l’America di Bush) Putin diede ordine di interrompere il trasferimento di informazioni alla Polonia e la ricerca dei responsabili, riprendendo la vecchia linea dura. Il magistrato responsabile dell’indagine, in un comunicato che a Varsavia brucia ancora, dichiarò che «Katyn non fu né un genocidio, né un crimine di guerra, né un crimine contro l’umanità: non esistono perciò assolutamente le basi per parlarne in termini giuridici»: un tentativo di cancellare la verità, o addirittura di riportare indietro l’orologio della storia. Con questo, sulla vicenda tornò naturalmente a piombare, da parte russa, anche la cappa del segreto di Stato. La reazione dei polacchi fu – al momento – durissima, e anche a livello popolare ci fu l’ennesima esplosione di sentimenti antirussi, che il toccante film di Wajda non ha certo contribuito a smorzare. Per capire questa ondata di indignazione, bisogna immaginare che cosa sarebbe successo in Italia, se un giorno i tedeschi avessero negato ogni responsabilità in tutte le stragi compiute nella penisola, a cominciare dalle Fosse Ardeatine. Non sappiamo se la denuncia del nuovo massacro, 12 anni dopo la scoperta materiale dei cadaveri, sia uno scoop di «Rzecspospolita» o sia stata in qualche modo pilotata dal governo di Varsavia per mettere in imbarazzo i russi, costringerli a una nuova inchiesta e riaprire in qualche modo anche il capitolo di Kaytn. Alla luce della nuova politica putiniana, è probabile che il Cremlino non reagisca o torni a negare, come ai tempi dell’Urss, qualsiasi coinvolgimento. Magari, visto che il ritrovamento è stato fatto in Ucraina, che con Mosca è ai ferri corti, parlerà di complotto. Una sola cosa è certa: la storia di questi 3.500 nuovi martiri avrà una vasta eco non solo in Polonia, ma in tutto l’Est europeo sottoposto fino a vent’anni fa alla dominazione sovietica: a dimostrazione che per chiudere certe ferite non basta neppure lo scorrere dei decenni.
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