Settantuno anni fa Genova subì il suo primo ed unico pesante bombardamento navale da parte della flotta britannica: un evento bellico che, per le sue varie implicazioni di carattere politico e militare, e soprattutto psicologiche, segnò una svolta nell’andamento del conflitto. Per la prima volta, infatti, una grande città della penisola veniva scelta come obiettivo strategico da un avversario deciso a piegare la volontà di resistenza non soltanto del regime, ma anche della popolazione civile italiana. All’inizio di gennaio del 1941, Winston Churchill si rivolse all’Ammiragliato affinché la Royal Navy fornisse un contributo determinate per indurre l’Italia, il partner più debole dell’Asse, ad abbandonare la Germania e ad uscire dall’Asse. Anche se Antonio Trizzino, nel suo famoso libro Navi e Poltrone asserisce più precisamente che la ragione principale dell’azione fu quella di inviare un “chiaro messaggio” a Francisco Franco che l’11 febbraio 1941, a Bordighera, si sarebbe incontrato con Mussolini. Per queste ragioni, il primo ministro chiese esplicitamente all’ammiraglio Andrew Cunningham, comandate in capo della Mediterranean Fleet, di effettuare un improvviso, pesante bombardamento contro un obiettivo strategico della penisola, in modo da scuotere il prestigio dell’avversario e terrorizzare la popolazione. Cunningham non ebbe dubbi nello scegliere Genova come bersaglio prioritario. La città portuale era infatti popolosa ed oltre ciò era anche sede di bacini di carenaggio (nei quali, inizialmente, gli inglesi sospettavano si trovassero in riparazione alcune grosse unità) e di grossi impianti industriali. Il 20 gennaio 1941, l’ammiraglio Cunningham affidò l’incarico di colpire il capoluogo ligure all’ammiraglio Sommerville, comandante della Forza H basata a Gibilterra. La Forza H – composta dalle corazzate Malaya e Renown, dalla portaerei Ark Royal, dall’incrociatore Sheffield e da una dozzina di cacciatorpediniere – lasciò Gibilterra il 31 gennaio puntando a ovest-nord-ovest. Nonostante le pessime condizioni atmosferiche, la squadra giunse in prossimità della costa occidentale della Sardegna e benché incerto sul proseguire o meno la missione, Sommerville decise di fare decollare dalla Ark Royal alcuni aerei Swordfish che tentarono, tuttavia senza successo, di “silurare” la diga sul fiume di Tirso (obiettivo secondario della formazione britannica). Dopo l’attacco, le navi inglesi si allontanarono dalla costa sarda e procedettero in direzione nord. Il 6 febbraio Sommerville venne a sapere via radio che una squadra italiana agli ordini dell’ammiraglio Angelo Jachino (formata dalle corazzate Vittorio Veneto, Giulio Cesare e Andrea Doria e da otto caccia) aveva lasciato il porto di La Spezia. Tuttavia, le due formazioni non ebbero modo di incrociarsi (evento che probabilmente avrebbe risparmiato Genova dall’attacco) e tra l’8 e il 9 febbraio la Forza H, dopo essersi lasciata Capo Corso sulla dritta e avere messo la prua verso nord-est, virò di bordo, portandosi a sud est del promontorio di Portofino, proseguendo quasi parallela alla costa. Giunte a circa quindici miglia da Genova, la Malaya e la Renown misero in posizione le torri prodiere e alle 8,12 i loro pezzi pesanti aprirono il fuoco, seguiti poco dopo da quelli di medio calibro dello Sheffield. Il bombardamento colse la città al suo risveglio e durò in tutto poco più di mezz’ora. La Malaya concentrò il suo fuoco sui bacini e sul porto, mentre la Renown e lo Sheffield bersagliarono l’area industriale. Complessivamente, le due corazzate spararono 272 colpi da 15 pollici e 400 da 4,5, mentre lo Sheffield ne lanciò 782. Alcuni colpi da 381 della Malaya centrarono ed affondarono quattro mercantili e la nave-scuola Garaventa (la corazzata Duilio rimase invece indenne), danneggiando leggermente altre 18 unità. Uno dei giganteschi proiettili da 381 della Malaya perforò il tetto della cattedrale di San Lorenzo, ma fortunatamente non esplose, andandosi a conficcare alcuni metri sotto il pavimento, mentre altri centrarono la zona di Piazza Cavour. Ulteriori bordate colpirono alcuni edifici del centro, tra i quali il palazzo dell’Accademia e il primo stabile di sinistra all’inizio di Via Roma. La popolazione genovese pagò l’indubbia audacia dell’azione britannica con 144 morti, circa 200 feriti e molti danni. Ultimato l’attacco, la Forza H (che, grazie anche alla fitta foschia, non aveva subito alcun danno da parte delle batterie costiere) si sganciò rapidamente e a tutta forza puntò verso Gibilterra. E la sua fu una fuga fortunata, in quanto per un soffio la squadra navale italiana agli ordini dell’ammiraglio Jachino, che stava per intercettarla, venne distolta dalla giusta rotta a causa di errate istruzioni giunte da Supermarina. Soltanto alle 12.00 un isolato ricognitore italiano riuscì ad avvistare la formazione britannica, ma prima che potesse dare l’allarme al Comando Aereo, venne abbattuto dai caccia della Ark Royal. Vane risultarono, da parte di Superaereo, ulteriori ricerche.
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