La storiografia marxista e catto-comunista continuano a dominare, e a mentire, scientificamente. Grazie anche ad un Centro Destra incapace di intendere e volere.
In un suo articolo (Scuola, la Storia vista da sinistra e da destra) pubblicato il (lontano) 20 novembre 2000 su Repubblica, ed incentrato sulla denuncia delle commissioni di supervisione dei testi scolastici di storia promosse dall’allora presidente della Regione Lazio Storace, l’editorialista Mario Pirani si trovò costretto ad ammettere che tale iniziativa – paragonata “alla Commissione per la bonifica libraria fascista del 1938, messa a punto dal regime per mettere all’indice gli autori di origine ebraica o sgraditi alla dittatura mussoliniana” – non traeva le sue origini dirette che dal malcostume ereditato dal precedente, e ben più recente, governo di centrosinistra e, più in generale, da cinquant’anni di dittatura culturale di sinistra. Per l’esattezza, Pirani accusava l’utilizzo distorto del decreto Berlinguer con cui si modificavano i programmi di studio e si sceglievano i libri di testo destinati agli studenti delle scuole medie e medie superiori. E a questo proposito, il noto commentatore dichiarava che l’intento del ministro all’Istruzione diessino (cioè quello “di consentire un approfondimento delle vicende del Novecento oltre la Prima Guerra Mondiale”) era stato interpretato in modo del tutto scorretto dalle potenti lobby culturali postmarxiste. Queste, prendendo al balzo l’indicazione ministeriale, avevano pensato bene di “prolungare ed allargare l’insegnamento della storia nazionale” fino ad includere cronache scandalistiche corredate da giudizi parziali su fatti politici e presunti episodi di corruzione inerenti Tangentopoli e soprattutto Silvio Berlusconi, accusato di essere entrato in politica per ragioni personali più che civili e di avere inquinato con la sua presenza i sempiterni ideali ‘metafisici’ della Resistenza che, come è noto, stanno alla base della nostra Costituzione, almeno secondo i guru della cultura gauchiste. Palesando un’innocenza quasi battesimale, Pirani se la prendeva poi di brutto contro il “sottobosco ideologico della sinistra italiana”, definendola “una nutrita schiera di burocrati e pseudo-pedagoghi sindacal-sessantottini, abbarbicata attorno al ministero della Pubblica Istruzione: combriccola resasi già celebre al momento del famigerato ‘concorsone’ a quiz e degli esilaranti breviari e circolari, ad uso dei poveri docenti, che l’accompagnarono”. Un j’accuse, quello di Pirani, avvalorato di lì a poco dall’esplodere di una nota polemica ingaggiata contro la ‘combriccola rossa’ da uno dei più insospettabili ed autorevoli storici di sinistra del Ventennio e della Resistenza, cioè Rosario Villari – presidente della Giunta Centrale degli Studi Storici e acceso avversario del cosiddetto “Revisionismo storico strumentale” di cui la Sinistra accusa il centro-destra. Nella fattispecie, Villari aveva cercato, invano, di opporsi al progetto di affidare la formazione dei docenti addetti ai nuovi corsi di Storia ad organismi dichiaratamente di parte, indicando i luoghi più consoni ad approfondire determinati studi nelle Università, e non, ad esempio, negli Istituti Storici della Resistenza. Oggi, a distanza di cinque anni, e quasi al termine della prima compiuta legislatura di centrodestra, la situazione denunciata da Pirani non sembra essere di molto cambiata, almeno nella sostanza. Vuoi per la scarsa propensione palesata dal governo Berlusconi nei confronti di un necessario, se non urgente, rinnovamento culturale nazionale all’insegna della Verità Storica, vuoi per l’eccessivo basso profilo evidenziato da molti esponenti dell’intelligenza di centrodestra e di destra, spesso inclini a rifugiarsi nelle proprie torri d’avorio del sapere, disinteressandosi del destino di milioni di studenti in balia dei sempre attivi pifferai magici della gauche che fa Kultur. La verità è che la tanto temuta manipolazione “reazionaria” della Storia, relativa soprattutto a certi periodi, primo fra tutti il Novecento, non si è affatto verificata, almeno per quanto concerne la produzione libraria. Pochi sono infatti i testi nuovi che si distaccano dall’omologazione culturale di sinistra, senza considerare che in essi gli autori si sono semplicemente limitati ad introdurre argomenti da sempre glissati o strapazzati, indispensabili per comprendere correttamente l’evolversi di fatti che molto hanno inciso sul nostro incerto presente. Prendiamo, ad esempio, l’analisi delle vere origini del Fascismo, la Guerra di Spagna, il Secondo Conflitto Mondiale, il periodo resistenziale o di ‘Guerra Civile” 1943-1945, l’orrore delle foibe accuratamente sepolto per decenni, l’azione politica, militare ed imperialistica dell’ex-Unione Sovietica e l’ambiguità democratica dei partiti comunisti europei accecati dai sanguinosi miti egalitari. Operazioni non revisioniste, ma legate alla necessità oggettiva di una rivisitazione critica in nome della completezza, avviate, come si è detto, in questi ultimi anni solo da pochi, onesti e coraggiosi testi di Storia, come Chronos (edizioni SEI) di Gianluca Solfaroli Camillocci e Mario Farina, per il biennio scientifico, o Alle radici del domani, di Roberto De Mattei, Enrico Nistri e Massimo Viglione, in uso in qualche scuola media. Per il resto, tutto come prima, con gli Elementi di Storia (Zanichelli) di Camera e Fabietti a farla da padrone nelle scuole superiori, affiancato dallo schierato Storie (edizioni Nuova Italia) di Paolo Sorcinelli, Daniela Calanca e Doriano Pela, e da una pletora di altre pubblicazioni sulle quali è forse meglio tacere, considerata la loro insufficienza contenutistica e il loro intento didascalico-ideologico mirato. Tutto ciò a dimostrazione dell’infondatezza dell’allarme lanciato dagli intellettuali marxisti, postmarxisti e cattocomunisti nostrani che – nonostante la caduta del Muro di Berlino e il fallimento economico, sociale e morale del comunismo – con la Storia i conti si ostinano proprio a non volerli fare, aggrappandosi disperatamente ad argomenti di retroguardia come i complotti della CIA, il golpe Borghese o Gladio, ma sorvolando sui gulag sovietici, su Pol Pot, sulla strage dei montagnard vietnamiti e dei tibetani, sulle carceri di Fidel Castro e su altre questioni da essi ritenute secondarie. Ricapitolando, oggi come oggi – grazie alla pressoché immutata forza ed incisività delle lobbies burocratiche scolastiche e universitarie, alla loro capillare presenza sul territorio della cultura e all’appoggio diretto o indiretto fornito da grande parte del mondo editoriale (con buona pace di Berlusconi) – l’insegnamento della Storia stenta ad uscire dal tunnel interpretativo di sinistra e ad adeguarsi agli standard occidentali. Dopo cinque lunghi anni di “regime” di centrodestra, la Storia continua ad essere insegnata ai ragazzi – salvo eccezioni – sulla base di letture pregiudiziali o molto incomplete. Alla faccia delle iniziative “golpistiche” volute da Storace. Quelle che, secondo il parere dello stesso Villari – che è stato però costretto ad ammettere, bontà sua, “la correttezza di talune istanze contenute nel Revisionismo in atto, come ad esempio la storicizzazione del movimento fascista” – negherebbero attraverso il revisionismo “i valori fondamentali della nostra democrazia”, dimenticando che, se inteso e praticato correttamente, il tanto demonizzato revisionismo rappresenta uno degli strumenti fondamentali per fare luce sulla storia, soprattutto sulle questioni più intricate ed inquinate dalla politica (come ad esempio la Resistenza) che per decenni sono state semplificate e manomesse attraverso il filtro del pregiudizio ideologico: strumento estraneo ad una corretta prassi storiografica. La ricerca storica, in quanto analisi logica del divenire umano, non può infatti avvalersi di tali facili espedienti, pena la sua definitiva dismissione da scienza a mera prassi funzionale al sostegno di un’ideologia, ma soprattutto ad un ulteriore, drammatico ed inarrestabile diffondersi dell’asineria.
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