Rosselli indaga l”Asia di mezzo’
di Marco Cimmino
Da tempo siamo costretti a vivere un’epoca bislacca, sempre oscillante tra precisione matematica ed approssimazioni spannometriche. Siamo infatti una generazione ibrida, orfana di sogni e debole a speranze, ma anche minata dal relativismo, appesantita dai dubbi, avara di certezze. Così, se possiamo vantare un’esattezza micrometrica nell’ablazione a distanza di un’appendice, sovente ci perdiamo nelle più comuni definizioni sistematiche, confondendo la fede e la fiducia, la legge ed il diritto, secondo linee di fuga dalla verità indegne di noi e del nostro retaggio culturale. Questo, purtroppo, siamo: i figli di una società commercial-tecnocratica che, per avere spazio sulla scrivania ha gettato a terra tutto quello che ci stava sopra. Ossia, prevalentemente, quello che concorreva a fare di noi una civiltà. Quanto bisogno, perciò, abbiamo di libri come questo di Rosselli, e con quale piacere ne salutiamo l’avvento. In queste pagine non c’è spazio per il pettegolezzo protocollare, tanto caro a certa storiografia d’accatto, prodotta da studiosi spesso improvvisati che prima si sono fatti un nome in altri campi e, poi, lo hanno sfruttato come valore aggiunto, per sfornare robusti, ma vani centoni. Alberto Rosselli al contrario scrive di storia perché l’anima dello storico ce l’ha dentro; ed è in lui impellente il bisogno di chiarezza, sua in primis e, per conseguenza, dei lettori. Ecco perché, seguendo una sorta di traccia invisibile, come certi Setter di buona schiatta, quando si trasformano in statue pulsanti, puntando una preda a noi del tutto nascosta, ma per loro di tutta evidenza, l’autore si è imbarcato in questa impresa seriale: questa fatica dissipativa delle nebbie che, almeno per chi scrive, avvolgevano una parte tanto nobile ed antica del mondo e della nostra memoria storica. Dunque, con perseverante sicurezza, questo storico genovese ha intrapreso la sua traversata, da buon pilota che, doppiato San Fruttuoso, ha puntato deciso la prua verso Levante, come seppero fare i suoi antenati, tra la Meloria e San Giovanni d’Acri. E tornando da queste sue spedizioni nell’ Outremer del nostro passato, non si è però limitato a riportare a casa bauli colmi di spezie o casse ferrate in cui nascondere tesori, ma al contrario verità, pacata chiarezza e utili riflessioni. Oggi, vede la luce per i tipi di Enzo Cipriano, questa terza icona del polittico ‘turcomanno’ di Rosselli. E diciamo polittico e non trittico (ci riferiamo a Sulla Turchia e l’Europa e a L’Olocausto armeno), poiché vorremmo che in futuro altri quadri ancora si aggiungessero. Il presente è infatti un libro – come sempre parlando di quelli rosselliani – di grande nitore. Trattasi di un testo essenziale, di quelli che, una volta letti, viene da dire: strano non averci mai fatto caso. Esso scende, per così dire, alle radici di quel vasto fenomeno, che sta pervadendo i nostri tempi, e che, purtroppo, ci ha preso un po’ alla sprovvista, cioè il ‘fenomeno’ dell’Asia di Mezzo. Questa immensa regione, troppo lontana per avere avuto accesso all’interno delle ellittiche orbite mediterranee, ma anche troppo vicina per profumare d’Oriente salgariano. Questa realtà geografica, storica e culturale che ai nostri giorni si è trasformata in un enigma politico dei più pressanti. Troppo poco ne sappiamo; troppo nasconde nelle sue viscere, in termini di materie essenziali per il nostro sviluppo. Troppo è destinata a contare, in chiave planetaria, stretta com’è tra le gorgoglianti eredità dell’impero persiano e dell’Islam, i fatiscenti retaggi di quello sovietico e, soprattutto, le inquietanti e colossali figure di stati-continente come l’India ed ancor più la Cina. L’Asia Centrale, questo strano e variegato mondo turcofono che ci rammenta la “via della seta” e i tempi che furono, abitato da gente orgogliosa e dura, capace di raffinatezze elaboratissime ma anche di faide primitive, è la materia del Panturanismo, che, con il Panturchismo, rappresentò – e pare stia tornando a rappresentare – una specie di sogno revanchista. Turchia, Azerbaigian, Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan e Turkmenistan sono i Paesi che fanno parte di questo vasto contenitore etnico-linguistico e culturale: nomi che stanno un po’ a cavallo tra geografia e fantasia, che sembrano indicare più luoghi dell’anima che terre vere e vera gente. Con il suo libro, Rosselli – che sembrerebbe avere come scopo ultimo del proprio scrivere il raggiungere le cose e i fatti più nascosti e meno evidenti – ha voluto indagare questa porzione ampia, ma dimenticata di mondo. E ne ha tratto un’opera che contiene la necessaria informazione, assai opportunamente radunata secondo le canoniche distinzioni cronologiche, geografiche e politiche, ma che propende anche verso il filosofico. Essa, infatti, permette al lettore di domandarsi, una volta tanto, quale sia il destino della nostra gente e dei popoli che con noi – anche a dispetto di tanta distanza – interagiscono. Non mi si fraintenda: il libro di Rosselli non può e non vuole essere una sorta di “summa”, né vuole autoproporsi come vitamina per i cervelli dell’Occidente. E’ opera, anzi, di un autore che ha sempre esercitato la modestia e l’understatement come suo tratto distintivo. Sono parole mie, queste: parole che tuttavia non nascono da quelle gentilezze reciproche che talvolta si è soliti scambiare tra coloro che, seppure in modi assai diversi, bazzichino la stessa musa. Ogni volta che mi trovo in mano un libro di questo collega ligure, resto colpito dalla sua capacità di rivelarsi ad un contempo lucidamente analitico e profondamente acuto, come un matematico che si diletti nel comporre musica. Il suo esordio sul palcoscenico ‘turanico’ si ebbe con quel capolavoro di sintesi che è stato Sulla Turchia in Europa, sorta di documentato pamphlet: grimaldello pratico e ideale per penetrare in quell’universo eterogeneo e semisconosciuto che è il mondo turco. A quello, fece seguito un libro più minuto ma di grande umanità, dedicato ai drammatici rapporti tra la Turchia e la sua minoranza armena, culminati nel genocidio del 1914-15. Questo terzo volume è, per la verità, di più ampio respiro e di assai più difficile compilazione. Esso parte dall’idea stessa di ‘turanicità’, per esaminare la storia e la geografia di un nazionalismo sovranazionale, bizzarramente laico in un senso tutto suo, che accomuna popoli che la storia ha voluto divisi per secoli e che pare, come già detto, tornare in vita, nei nuovi scenari geopolitici che la caduta del Muro di Berlino ha via via delineato. Come sempre fa, Rosselli non rinuncia agli apparati. Da professionista egli fornisce dettagliate cronache, indicazioni puntuali, e tutte le note necessarie a sviscerare il tema nei suoi anfratti. Ma il nocciolo di questo libro sta forse nella capacità di avere saputo descrivere anche poeticamente una realtà, di avere saputo guidare il lettore in un mondo multicolore, rilucente di povertà e bellezza, di sfarzo e di piste polverose e misteriose, su cui lento avanza il cammello dalla folta pelliccia, biascicando il suo silenzio senza fine; e di disegnare, all’orizzonte del nostro futuro, una nuova realtà transnazionale, cui non avevamo pensato o considerato abbastanza, cioè l’universo panturanico. Un mondo antichissimo e nuovo al tempo stesso, che molto presto ci costringerà ad occuparci di lui, seriamente. La nostra è, come si è detto, un’epoca bislacca, superficiale e stremata dalla velocità, ma, prima o poi, come è del tutto noto, anche questa, come tutte le altre, terminerà. Quando la vita spericolata passa di moda, conviene infatti ritornare con i piedi per terra e dedicarsi con semplicità e serietà alle cose reali della vita. Conviene tornare a pensare e a ragionare, proprio come cerca di fare Rosselli nei suoi libri. La mia speranza è che non sia vox clamantis in deserto, e il mio augurio è che questo testo possa godere della fortuna che merita. Perché sarebbe una fortuna anche per i lettori. A partire dal sottoscritto, che ha avuto il privilegio di leggerlo prima di chiunque altro.
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