Azerbaijan, estate del 1941. La popolazione della Repubblica Socialista a maggioranza mussulmana dichiara la propria fedeltà a Mosca. Ma Stalin ne approfitta per sfruttare la regione e i suoi abitanti. Una pagina di storia poco nota, ma di attualità, che ci riporta al logorante conflitto in corso in Transcaucasia.
Sebbene nel corso del secondo conflitto mondiale la repubblica socialista dell’Azerbaijan non sia stata mai coinvolta, almeno direttamente, nelle operazioni militari che, nell’autunno del1942, inTranscaucasia, videro contrapposte le divisioni della Wehrmacht e quelle dell’Armata Rossa, questa piccola, ma strategica regione a maggioranza mussulmana, nota per i suoi giacimenti petroliferi, pagò egualmente un elevato prezzo alla causa dell’Unione Sovietica, ricevendo tuttavia da Stalin un compenso fatto di soprusi e persecuzioni. Vessazioni, materiali e morali che, con il passare del tempo, hanno fomentato tra la popolazione di questa porzione islamica dell’Urss un profondo risentimento che, dopo la caduta del regime comunista, negli anni Novanta è sfociato, come è noto, in una violenta ribellione nei confronti di Mosca: rivolta a tutt’oggi appoggiata e cavalcata dal terrorismo fondamentalista islamico.
Ma facciamo un passo indietro. In seguito all’attacco tedesco del 22 giugno 1941, Stalin proclamò l’inizio della cosiddetta “Guerra Patriottica”, chiamando a raccolta nelle file dell’Armata Rossa diversi milioni di sudditi appartenenti ad etnie e religioni differenti, ma facenti tutti parte dell’Impero Sovietico. Tra questi, gli azeri mussulmani (oltre 720.000 individui) gran parte dei quali, tra il luglio 1941 e il luglio 1944, vennero frettolosamente armati e spediti al fronte, dove, dietro precisi ordini del Cremino, i generali russi li impiegarono nelle operazioni più rischiose. Tanto che, nel settembre 1945, soltanto 290.000 di essi fecero ritorno in patria. L’odio di Stalin (ma anche di Lenin) nei confronti delle “minoranze” religiose del suo impero è cosa risaputa (tra il 1918 e il 1930, i sovietici avevano fatto sterminare circa due milioni tra kazaki, tagiki, turkmeni, kirghisi e armeni), ma lo sfruttamento e l’eliminazione scientifica degli azeri assunse aspetti e modalità del tutto particolari, soprattutto se si considera che questa minoranza, al contrario di altre, dimostrò sempre – almeno durante il Secondo Conflitto – un sincero attaccamento alla causa comunista. Ciononostante, tra il 1945 e il 1947, Stalin non ebbe tentennamenti a sradicare dalla loro terra e a trasferire (“per supremo interesse della nazione”) nei campi di lavoro siberiani 300.000 civili nessuno dei quali, o quasi, rivide mai più la propria patria. Seguirono poi altri “allontanamenti forzati” dettati dalla necessità di “bonificare” la regione dall’elemento islamico, consentendone la colonizzazione da parte di quello russo. La presenza in Azerbaijan di numerose aree ricche di pozzi petroliferi, tra cui l’Eldorado Nero di Baku, aveva indotto fino dal 1918 Mosca ad attuare questo duplice piano di pulizia ed inglobamento della regione: piano che, con la scusa dei travagli derivanti dalla guerra 1941-1945, il Cremlino poté accelerare a suo piacimento Alla vigilia del Secondo Conflitto Mondiale, Baku era il più importante centro petrolifero dell’intera Unione Sovietica (1). Nel 1940, dai suoi impianti – in grado di produrre annualmente il 72% del totale del petrolio estratto in Urss – vennero pompati 22,2 milioni di tonnellate di greggio; mentre tra giugno 1941 e il giugno 1942, si estrassero qualcosa come 25,4 milioni di tonnellate: record che, nel febbraio 1942, costrinse il Soviet Supremo a decorare 500 lavoratori azeri, parte dei quali vennero in seguito inviati in Siberia “per contribuire allo sviluppo energetico della Patria”. Volendo incrementare ulteriormente la produzione dei pozzi di Baku, nell’inverno 1941-1942, Stalin fece aumentare, a parità di salario, da9 a 12 ore e mezza l’orario di lavoro degli operai azeri che vennero, inoltre, costretti a rinunciare all’unico giorno di riposo settimanale. Nella primavera del ’42, allorquando le avanguardie della Wehrmacht conquistarono l’Ucraina, Stalin ordinò il reclutamento nell’esercito di 100.000 lavoratori della provincia di Baku, obbligando altrettante donne e circa 5.000 ragazzi tra i 12 e i 15 anni a prendere il posto degli operai militarizzati. E’ stato calcolato che, alla fine dell’estate del 1942, più di 25.000 operaie (cioé il 33% di tutti i manovali presenti nelle installazioni di Baku) furono costrette a prestare la loro opera pressi i pozzi a paghe dimezzate e con turni fino a 18 ore. Nel 1943, presso le raffinerie e gli impianti chimici il 38% della manovalanza risultava composta da donne (quasi tutte ex contadine) e il 2% da ragazzi: percentuali che, tra il 1944 e il 1945, arrivarono a toccare il 60%. Dato l’esponenziale incremento delle malattie e della mortalità dovuti alla fatica e alla fame (nel 1944, mille 500 tra donne e ragazzi persero la vita), il Cremlino predispose che anche parte degli operai già pensionati facessero ritorno ai pozzi, rinunciando a parte della pensione in cambio di due magri pasti giornalieri. Va ricordato, infine, che le migliaia di contadine azere precettate furono giocoforza costrette ad abbandonare le comunità agricole della regione specializzate nella produzione di cotone, granoturco, lana, tabacco e tè, mandandole in rovina e causando una spaventosa carestia che, nel 1945, costò la vita a circa 20.000 persone, soprattutto anziani e bambini.
Il 9 Agosto 1942, le forze corazzate della Wehrmacht raggiunsero e conquistarono il centro petrolifero transcaucasico di Maikop – che, pur producendo soltanto un decimo del greggio di Baku, era stato in buona parte sabotato dai russi prima della loro ritirata – proseguendo la loro avanzata verso sud est, in direzione di Grozny e di Baku. Secondo gli ottimistici piani di Hitler, l’attacco finale contro il grande centro petrolifero azero sarebbe dovuta scattare il 25 settembre 1942. Ed anche se la quasi totalità dei generali tedeschi dubitava circa la riuscita di una così ambiziosa e difficile offensiva, in occasione di un banchetto ufficiale, al dittatore venne servita una grossa torta con riprodotta la mappa dell’Azerbaijan e la città di Baku. Le poche immagini di questa cerimonia riprendono Hitler colto nel gesto tagliare una fetta irta di microscopici pozzi petroliferi di cioccolato. “Speriamo sia di buon auspicio” disse Hitler. “Se non otteniamo il petrolio di Baku, la guerra sarà perduta” Nell’agosto-settembre del 1942, le divisioni della Wehrmacht si lanciarono alla conquista di Groznj, ma dopo settimane di durissimi combattimenti vennero bloccate dalle ben più numerose armate sovietiche. Nonostante la battuta di arresto tedesca, Stalin, che ancora temeva per le sorti di Baku, ordinò di sospendere tutte le operazioni di perforazione in corso e di trasferire in Turkmenistan ed oltre il Mar Caspio (in Kazakistan) la maggiore parte degli oleodotti, dei macchinari e delle attrezzature da trivellazione. E fu così che, verso la fine di settembre del ’42, ben 764 pozzi vennero sigillati e 81 kit di attrezzature di perforazione trasferiti via ferrovia, assieme a migliaia di operai azeri, in Turmkenistan. Comunque sia, per garantire egualmente un minimo di produzione per le immediate esigenze dell’esercito, le autorità sovietiche riattivarono 25 vecchi pozzi da tempo inutilizzati. Per trasportare gli enormi quantitativi di greggio contenuti nei depositi, un gruppo di tecnici azeri e di esperti del genio navale russo compirono un’incredibile prodezza rimorchiando da Baku a Krasnovodsk, località situata sulla sponda orientale del Caspio, una squadra di chiatte con a bordo traversine, binari e addirittura interi convogli ferroviari di cisterne. Non solo. Per trasportare una maggiore quantità di prodotto, i russi trainarono con rimorchiatori da una parte all’altra del mare enormi cisterne metalliche da 500 tonnellate riempite di petrolio fino a metà della loro capacità. Come accennato, Stalin volle che, oltre alle attrezzature, anche la quasi totalità dei tecnici e degli operai azeri di Baku venisse trasferita in Kazakistan e negli Urali per rimontare gli impianti e per effettuare nuove trivellazioni. Ed è stato calcolato che nel solo ottobre 1942, più di 20.000 operai azeri vennero trasferiti, volenti o nolenti, in quelle lontane regioni.
Buona parte delle imprese di trivellazione, con il personale al completo, furono concentrate nell’area di Kuybishev, che venne battezzatala “Seconda Baku”, per la presenza di oltre 15.000 tra tecnici e operai azeri. Costretti a lavorare senza paga, per turni di 15 ore, questi coriacei lavoratori dettero prova di capacità e forza d’animo a dire poco straordinari, montando impianti e rendendoli perfettamente funzionanti a tempo di record. Ma a quale prezzo. Nell’inverno 1942-1943, tremila tra tecnici e manovali perirono per il freddo, la fame e i maltrattamenti subiti dalle guardie della NKVD. Ciononostante, nel 1943, gli azeri riuscirono ad incrementare del 66% l’intera produttività dell’area petrolifera di Kuybishev. Come gesto di riconoscenza, Nell’estate del 1945, dopo averli sfruttati e ridotti a larve umane, Stalin fece deportare i rimanenti 10.000 lavoratori azeri nei gulag siberiani, dai quali nessuno di essi fece mai più ritorno.
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