Il Libano rappresenta un protagonista quasi abituale delle cronache dei quotidiani e dei telegiornali. Ingerenze straniere, tensioni internazionali, traffici più
o meno leciti e, sullo sfondo, il conflitto arabo-israeliano hanno fatto del paese dei cedri un’area di tensione e di destabilizzazione. Eppure la causa principale del fallimento del Libano come nazione dipende soprattutto dal suo atto di nascita, non solo dalle interferenze esterne.
Cenni storici
L’area geopolitica che comprende l’attuale stato libanese ha sempre costituito un’entità sociale, storica e culturale molto particolare nell’ambito di quel territorio che si estende dal Canale di Suez allo Shatt-el-Arab, la cosiddetta Mezzaluna Fertile, a causa della presenza, in un ambito geografico relativamente ristretto, di una molteplicità di gruppi etnici e religiosi che non ha eguali in nessuna parte del mondo. La natura montuosa del territorio libanese ha consentito, inoltre, la sopravvivenza nella zona di una relativamente numerosa popolazione cristiana anche durante il dominio ottomano, facendo del paese dei cedri un rifugio per le minoranze oppresse dai turchi. I primi riferimenti storici ad una nazione libanese risalgono ai secoli XVI e XVII e provengono da esponenti della Chiesa maronita, che desideravano la costituzione di uno stato cristiano separato dal circostante mondo islamico. Questa aspirazione fu espressa dal vescovo maronita di Cipro, Jibra’il ibn al-Quila’i, morto nel 1516, mentre, nel XVII secolo, il patriarca maronita Istifan al-Duwayhi ribadiva questo concetto e sottolineava lo stretto legame con Roma e l’Occidente ricordando l’aiuto fornito ai crociati nella guerra contro gli islamici. Successivamente il concetto di identità nazionale maronita veniva fatto risalire ai Fenici, tesi sostenuta fra gli altri da Tannous al-Shidyaq, morto nel 1861, per rivendicare un’origine storica e culturale anteriore alla presenza islamica. Lo storico Kamal Salibi, invece, non dà credito a questa ipotesi, anzi sostiene che il Libano iniziò ad assumere una sua identità sotto la guida dei principi drusi che, nel corso del XVII secolo, estesero la propria influenza. Nello stesso tempo, comunque, la Chiesa maronita andò approfondendo quei legami con il Vaticano, con il quale era entrata in comunione religiosa all’epoca delle Crociate. In ogni caso, grazie all’inefficienza e all’arretratezza dell’apparato amministrativo ottomano, la regione sviluppò una certa autonomia anche se le continue rivalità tra maroniti e drusi fornivano ai turchi il pretesto per intervenire e sfogare il loro odio anticristiano. Le tensioni etniche sfociarono nei massacri del 1860, quando i drusi, con la complicità del governo ottomano, uccisero migliaia di cristiani, soprattutto nel sud del paese. L’intervento militare francese pose fine agli eccidi e i turchi furono costretti a concedere un’estesa autonomia alla zona mediante una nuova organizzazione amministrativa, il “mutassarifiate”, retto da un governatore cristiano coadiuvato dai rappresentanti di tutti i gruppi etnico-religiosi del paese.
Il nuovo regime consentì più stretti legami con il mondo cattolico occidentale, accentuando le differenze di civiltà, cultura e benessere tra i cristiani e il circostante mondo musulmano, invidioso del progresso dei maroniti. Questa struttura politica andò avanti fino alla grande guerra quando i turchi imposero l’occupazione militare diretta con il pretesto dell’ordine pubblico.
Il mosaico etnico-religioso
Secondo il censimento del 1865 il Libano, che all’epoca comprendeva solo il comprensorio dell’omonimo massiccio montuoso, con capitale Dair el-qamar, e dal quale erano escluse Beirut, la valle della Bequaa, Tripoli e i territori meridionali, era composto dalle seguenti comunità:
Maroniti 170.000 abitanti
Greci ortodossi 29.500 abitanti
Drusi 28.560 abitanti
Greci cattolici 19. 370 abitanti
Musulmani sciiti 9.820 abitanti
Musulmani sunniti 7. 611 abitanti
Totale 266. 661 abitanti
Invece, secondo il censimento del 1956, nella repubblica libanese vivevano:
Maroniti 424.000 abitanti
Sunniti 286.000 abitanti
Sciiti 250.000 abitanti
Greci ortodossi 149.000 abitanti
Greci cattolici 91.000 abitanti
Drusi 88.000 abitanti
Armeni ortodossi 64.000 abitanti
Armeni cattolici 15.000 abitanti
Protestanti 14.000 abitanti
Ebrei 7.000 abitanti
Siriani cattolici 6.000 abitanti
Siriani ortodossi 5.000 abitanti
Cattolici Romani 4.000 abitanti
Nestoriani 1.000 abitanti
Altri 7.000 abitanti
Totale 1. 411.000 abitanti
più circa 200.000 profughi palestinesi privi di cittadinanza.
Come si vede dalle statistiche la componente più numerosa era quella cristiano-maronita, la più evoluta culturalmente e socialmente. Attualmente, invece, i musulmani sciiti, arretrati e legati a forme di fanatismo religioso estremista, rappresentano la maggioranza della popolazione, decretando di fatto la scomparsa di quel Libano civile, cattolico e filo-occidentale, stimato in tutto il mondo. I maroniti, dal nome di Marun, un anacoreta del IV secolo, hanno costituito la quintessenza dello stato libanese. Essi entrarono in piena comunione con la Chiesa cattolica all’epoca delle Crociate, abbandonando l’Ortodossia. A partire dal XIX secolo i maroniti, avendo a modello l’Europa e accentuando il distacco da un’area massicciamente islamizzata, sono diventati la comunità più evoluta e potente prima dei monti libanesi e, successivamente, dello stato, ricoprendo le più importanti posizioni in campo politico, amministrativo, economico e culturale, facendo del Libano uno stato modello per l’intera regione, con un benessere diffuso tra tutti gli strati della popolazione. La loro espressione politica più rilevante, la Falange, fondata da Pierre Gemayel nel 1936, si è sempre posta l’obiettivo di difendere l’identità libanese dalle pressioni del mondo islamico opponendosi all’unificazione tra Libano e Siria che sarebbe avvenuta ovviamente sotto l’egemonia musulmana.
La seconda comunità cristiana per numero è quella greco-ortodossa, meno coesa di quella maronita perché dispersa su un vasto territorio e più accondiscendente nei confronti dei progetti di panarabismo e pansirianesimo. Altri gruppi cristiani di minore peso demografico sono i greco-cattolici, i siriani cattolici e ortodossi, gli armeni, i nestoriani, oltre a sparuti gruppi di protestanti. Gli armeni hanno ottenuto la piena cittadinanza nel 1924 e, pur
conservando la memoria delle proprie origini etniche e culturali, sono ben inseriti nella società libanese. Essi giunsero nel paese dei cedri a ondate per
sfuggire alle violente persecuzioni e alle stragi pianificate dal governo turco e culminate nel genocidio del 1915, nel quale persero la vita quasi due milioni
di armeni. Fra i musulmani la componente più importante e numerosa era quella dei sunniti, ancora oggi la maggioranza dei fedeli islamici nel mondo, di gran lunga superati ai nostri tempi dagli sciiti, i seguaci di Alì, da loro considerato il legittimo successore di Maometto. Gli sciiti rappresentano lo strato più sottosviluppato della popolazione libanese. Tra i sunniti bisogna ricordare la piccola comunità curda, dotata di una propria lingua. Una setta religiosa islamica molto particolare è quella degli alawiti, che vivono principalmente in Siria. Essi uniscono alle tradizioni religiose islamiche elementi dottrinali mutuati da sette gnostiche paleocristiane in una forma di sincretismo religioso caro agli esoteristi di ogni tempo. Altra importante comunità musulmana è quella drusa, relativamente poco numerosa, ma molto influente a causa dello stretto legame quasi mistico che unisce i suoi adepti ai capi. I drusi non praticano alcuna forma di proselitismo e la loro teologia è segreta. Non hanno luoghi di culto istituzionalizzati e venerano un califfo fatimide dell’XI secolo, al Hakim, che sosteneva di essere l’incarnazione di Dio. Tra i suoi fondatori vi furono al Darazi, da cui il nome della setta, e il persiano Hamza ibn’Alì, che diedero fondamento teologico alle pretese del califfo fatimide. Solo gli Uqqal, i leader spirituali, conoscono a fondo la loro religione, che pertanto assume carattere gnostico e iniziatico.
La nascita del Libano contemporaneo
Con la fine della prima guerra mondiale e la caduta dell’impero ottomano il Medio Oriente fu diviso tra la Francia e la Gran Bretagna, mentre le aspirazioni arabe all’indipendenza non ebbero soddisfazione. All’epoca il Libano, che non comprendeva gli attuali confini, godeva di un regime autonomo in base allo statuto del 1861 concertato con le potenze europee e modificato nel 1864. Era un sangiaccato autonomo, affidato ad un mutassarif cristiano nominato da Costantinopoli in accordo con le potenze europee. Il territorio libanese comprendeva i sette cazà di el-Shuf, el-Matu, Kesrawan, Batrun, Gizzin, Kurah e Zaleh e aveva per capoluogo Deir el-Qamar. Beirut, Tripoli, Tiro, Sidone e la valle della Bequaa non facevano parte del territorio libanese. I francesi fecero pesare sul tavolo delle trattative i legami politici e culturali e la grande missione di civiltà che da tempo svolgevano in quelle zone, soprattutto dopo la crisi libanese del 1860, quando le autorità ottomane fomentarono la violenza dei musulmani contro i cristiani. Solo l’intervento francese, in accordo con le altre potenze europee, mise fine alle stragi garantendo ai monti libanesi uno speciale statuto di autonomia. Da questo momento ebbe inizio un notevole sviluppo civile ed economico che si è arrestato solo con lo scoppio della guerra civile del 1975, mai veramente terminata e che ha posto fine al predominio cristiano arretrando il paese al livello dei confinanti stati islamici.
Una volta sistemati i contrasti con la Gran Bretagna, i francesi ebbero mano libera in Siria, dove si erano insediati i beduini dell’emiro Faisal, che aspirava alla corona dello stato. Le truppe francesi, nel luglio del 1920, agli ordini del generale Henri Gouraud, occuparono rapidamente il paese incontrando una
resistenza debole e sporadica. Faisal abbandonò Damasco il 27 luglio. Il governo francese riorganizzò i territori del suo mandato dividendo la Siria in
alcuni distretti amministrativi. Già nel 1919, con gli accordi Hoyek-Clemenceau era stata riconosciuta la piena indipendenza del Libano dalla Siria, tuttavia
il territorio dello stato libanese venne esteso con il decreto del generale Gouraud del 10 settembre 1920 alle zone siriane di Beirut, Tripoli, Tiro, Sidone
e valle della Bequaa. Il territorio venne così raddoppiato rispetto a quello del 1864. Con questo provvedimento la stessa composizione etnica, religiosa, politica e sociale del Libano venne completamente stravolta, poiché i territori di recente annessione erano abitati in prevalenza da popolazioni musulmane, ostili al nuovo stato. I maroniti continuavano ad essere la comunità più influente ma erano, ormai, meno della metà della popolazione. La classe dirigente francese, imbevuta di idee giacobine, non riusciva a comprendere che il miscuglio religioso così creato non poteva reggere a lungo. Fu giusta l’idea di dare l’indipendenza al Libano ma fu inopportuno annettere a questo stato territori abitati da popolazioni islamiche. A questo punto sarebbe stato logico incentivare l’immigrazione dei cristiani dai paesi musulmani confinanti e l’emigrazione degli islamici verso quei paesi, come avvenne con lo scambio di popolazione tra Grecia e Turchia negli anni Venti. Infatti, i musulmani, nonostante un tenore di vita più elevato rispetto a quello delle popolazioni dei vicini stati islamici, hanno sempre osteggiato lo stato libanese a guida cristiana fino a farlo diventare un covo di terroristi, grazie anche alla complicità del governo di Damasco, che non ha mai cessato di rivendicare come suoi quei territori sottrattigli con il decreto Gouraud. Il Censoni, a tal proposito ricordava già nel 1948 che in questo modo “si creava invero un insanabile dissidio tra elementi cristiani ed elementi musulmani nell’ambito stesso del territorio libanese…. . e ancora, un pomo di discordia che doveva intorbidire per l’avvenire i rapporti siro-libanesi, rivendicando la Siria come suoi quei territori che si erano
aggiunti al Libano”. Solo la presenza delle forze francesi riusciva a garantire l’ordine; tuttavia, il 15 novembre del 1936 a Beirut si verificarono degli incidenti
tra cristiani e musulmani che lasciarono quattro morti sul campo e decine di feriti. Raggiunta la piena indipendenza dopo la seconda guerra mondiale con la
fine del mandato francese, la vita politica libanese si è sempre basata su difficili compromessi tra le varie comunità. Infatti, i leader libanesi conclusero nel 1943 un patto nazionale inteso a regolare la rappresentanza politica delle diverse componenti religiose. La presidenza della repubblica doveva essere assegnata ad un cristiano maronita, il primo ministro doveva essere sunnita, il presidente del parlamento sciita, fino a stabilire in dettaglio tutte le cariche dello stato.
Una convivenza difficile
Il sistema costituzionale così creato non funzionò. Il Libano conobbe un periodo di eccezionale sviluppo civile ed economico sotto le presidenze di Bisharah
el Khouri e di Camille Chamoun, tanto da meritarsi l’appellativo di Svizzera del Medio Oriente, ma la vita politica continuava ad essere caratterizzata da
tensioni e disordini. Nel 1958, in seguito all’affermazione dell’emergente panarabismo di stampo nasseriano, scoppiò un’insurrezione tra la popolazione islamica guidata dall’opposizione socialista di Kamal Jumblatt e Rashid Karame. La guerra civile fu scongiurata soltanto grazie all’intervento statunitense
sollecitato dal presidente Chamoun. La presidenza di compromesso del generale Fuad Chehab dal 1958 al 1964 servì a mantenere calma una situazione sempre carica di tensione. Al conflitto interno dovuto alla composizione dello stato si aggiungeva, infatti, l’acuirsi della guerra fredda tra i due blocchi e la
mancata soluzione del conflitto arabo-israeliano, che anzi faceva salire la tensione in tutta l’area. Nel frattempo la popolazione musulmana era cresciuta di numero, superando nel suo insieme quella cristiana. Il rifiuto dei maroniti di alterare la composizione dello stato portò alla presidenza della repubblica
il conservatore Charles Helou, approfondendo il solco tra paese reale, a maggioranza islamica, e paese legale, legato ai patti sottoscritti precedentemente. Nel 1966 uno scandalo finanziario colpì alcune banche, soprattutto la Intra Bank, che fu costretta a chiudere gli sportelli. Tuttavia l’economia reale ne risentì poco mentre il paese dei cedri continuava ad essere una piazza commerciale importante e andava sviluppando notevolmente la sua industria turistica. L’arrivo di flussi incontrollati di profughi palestinesi dopo la guerra dei “sei giorni” del 1967 acuì la tensione tra i cristiani e i musulmani, essendo questi ultimi favorevoli ad appoggiare i palestinesi nella loro lotta contro gli israeliani, in nome del panarabismo, mentre i cristiani non volevano essere coinvolti in un conflitto che non li riguardava. Nel maggio del 1968 ebbero luogo degli scontri tra palestinesi e israeliani alla frontiera libanese e nel dicembre dello stesso anno l’aeronautica israeliana distrusse, attaccando l’aeroporto civile di Beirut, gli aerei della compagnia di bandiera nazionale, la Middle East Airlines, in seguito ad un attentato subito da un aeromobile di linea israeliano. Le azioni della guerriglia palestinese si moltiplicavano e così le rappresaglie israeliane. Il 2 dicembre del 1969 fu concluso al Cairo un accordo tra Yasser Arafat, capo dell’OLP, e il generale Boustany, comandante dell’esercito libanese, per limitare l’attività dei gruppi palestinesi in determinate aree del paese. Il Libano abdicava, di fatto, alla sovranità su parti del suo territorio. Nel 1970 fu eletto presidente Suleiman Franjieh, che continuò ad avere una condotta ambigua nei confronti dei palestinesi, che avevano costituito uno stato nello stato, grazie alla complicità dei musulmani. L’ondivaga politica di Franjieh andò avanti fino al 1973, quando l’esercito libanese bombardò i campi profughi. Nell’aprile del 1975, in seguito ad uno scontro tra i miliziani della falange libanese di Pierre Gemayel e i guerriglieri dell’OLP, scoppiò una sanguinosa guerra civile, con la popolazione musulmana schierata a fianco dei palestinesi. La Siria ne approfittò per inviare truppe, ufficialmente per garantire l’integrità dello stato libanese, nell’aprile del 1976. I lunghi anni della guerra civile videro scontri sanguinosi, capovolgimenti di alleanze, interventi di potenze straniere, invii a più riprese di inutili interventi umanitari, da parte dell’ONU, Lega Araba e altri soggetti internazionali. Particolarmente grave fu l’invasione israeliana iniziata il 6 giugno 1982, l’operazione “pace in Galilea”, diretta a smantellare le strutture dello stato di fatto palestinese. Anche in questa occasione i libanesi si divisero, con la popolazione islamica schierata a fianco dei palestinesi e i falangisti simpatizzanti di Israele. Il 23 agosto il capo della falange e figlio del fondatore, Bechir Gemayel, venne eletto presidente della repubblica da un parlamento a ranghi ridotti. Sembrò giunto il momento per riaffermare la supremazia cristiana sul Libano e iniziare la ricostruzione della nazione. Dopo pochi giorni, tuttavia, Bechir Gemayel morì in un attentato mentre l’esercito israeliano si ritirava sostituito da una forza multinazionale di pace. Il fratello del presidente assassinato, Amin Gemayel, fu eletto presidente della repubblica. Nonostante la partenza degli armati palestinesi e dei soldati israeliani, la guerra civile riprese con
maggiore intensità tra le milizie druse, i morabitun sunniti e gli sciiti di Amal contro i falangisti e la componente cristiana dell’esercito, mentre i militari di fede islamica avevano disertato portando l’armamento alle rispettive fazioni. Vaste zone del paese erano tuttavia controllate dai siriani, attestati nel nord e nella valle della Bequaa, la cui presenza era messa in discussione dai soli cristiani, mentre gli israeliani mantenevano l’occupazione di una fascia di territorio libanese profonda fino a 15 chilometri a ridosso della propria frontiera per motivi di sicurezza. Allo scadere del proprio mandato, il 23 settembre del 1988, Gemayel nominò capo del governo il generale Michel Aoun, valoroso e invitto comandante dell’esercito libanese, con l’incarico di supplire anche all’ufficio del presidente della repubblica, poltrona rimasta vacante per mancata elezione di un successore. Aoun, forte delle sue capacità militari e dell’appoggio del presidente iracheno Saddam Hussein, oltre che delle simpatie occidentali, mise in difficoltà le milizie avversarie che dovettero ricorrere all’appoggio sempre più aperto della Siria. Proprio su pressione del governo di Damasco i parlamentari libanesi dello schieramento contrario al generale si riunirono a Taif, Arabia Saudita, tra il settembre e l’ottobre del 1989 per varare delle riforme istituzionali più favorevoli alla componente musulmana. Questo accordo aprì la strada ad una serie di riforme. Fu varata una direzione collegiale dello stato retto dal presidente, cristiano, dal premier, sunnita e dal presidente del parlamento, sciita, con un riequilibrio del potere a favore dei musulmani. Il numero dei deputati fu portato a 128, in parti uguali tra cristiani e musulmani. Furono eletti due presidenti creature della Siria, Renè Muawad e, dopo il suo assassinio, Elias Hrawi. Con lo scoppio della crisi del Kuwait del 1990, lo schieramento cristiano maronita del generale Aoun fu travolto da un duro attacco dell’esercito siriano il 13 ottobre dello stesso anno. Ben 300 ufficiali cristiani dell’armata libanese e varie personalità politiche, come Dany Chamoun, figlio dell’ex presidente, ucciso con i suoi familiari, vennero assassinati dai militari siriani nell’indifferenza del mondo occidentale, troppo occupato ad indignarsi per la sorte degli sceicchi kuwaitiani e del loro petrolio. La pax siriana imposta dal governo di Damasco ha consentito il disarmo di alcune milizie, la nomina di un altro presidente-fantoccio, Emile Lahoud, mentre nel sud del paese, popolato prevalentemente da musulmani sciiti, si è andato rinforzando il movimento integralista religioso Hezbollah, di ispirazione, e finanziamenti,
iraniana. Nel 1997 il Papa Giovanni Paolo II visitò il Libano, portando conforto ai cristiani oramai diventati sudditi siriani. Questo equilibrio è durato fino al 14 febbraio 2005, quando, con l’assassinio del premier Rafiq Hariri, l’occidente si è di nuovo occupato del Libano. In seguito a minacce di guerra da parte
statunitense, l’esercito siriano ha dovuto sgombrare il paese dei cedri. Con gli abituali colpi di scena della politica libanese si è assistito, in tempi recenti, ad un ennesimo capovolgimento di alleanze. Si sono formati due blocchi, uno filoccidentale, composto dai sunniti, i drusi e i cristiani dell’ex presidente Gemayel, l’altro filosiriano, con Hezbollah e il generale Aoun tornato dall’esilio. Particolarmente grave risulta il persistere di divisioni all’interno del campo cristiano, nonostante i buoni uffici della Chiesa maronita. Gli hezbollah nel frattempo, grazie ai cospicui finanziamenti iraniani e la beneplacito siriano, sono riusciti a creare uno stato di fatto nel sud ingaggiando numerosi scontri contro gli israeliani, come anni prima avevano fatto i palestinesi. Questa prova di forza ha portato ad una guerra nell’estate del 2006, sterile di risultati militari per gli israeliani, che non sono riusciti a sfondare le linee nemiche, ma con un bilancio pesante per il Libano, le cui zone popolate dai musulmani sono state pesantemente colpite dalle forze aeree dello stato ebraico. Ancora una volta è giunta una forza di pace internazionale a dividere i combattenti, mentre l’esercito libanese ha ripreso il controllo nominale del sud del paese, ma gli hezbollah continuano ad armarsi preparando, probabilmente, un nuovo conflitto con Israele impegnato in una prova di forza contro l’Iran, e imponendo, come i palestinesi e i panarabisti nasseriani 50 anni prima, una guerra che i cristiani vorrebbero evitare. Recentemente è stato eletto un nuovo presidente della repubblica nella persona del generale Michel Suleiman, dopo difficili negoziati e compromessi. Il Libano rappresenta, quindi, il principale esempio di fallimento di convivenza tra cristiani e musulmani, monito per tutti i seguaci di quelle utopie che parlano di società multiculturale e di un malinteso concetto di tolleranza, pretesti ideologici dietro i quali si nascondono progetti di sovversione delle identità religiose e nazionali.
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