LA GUERRA IN EUROPA NEI DOCUMENTI DEL PATTO DI VARSAVIA
Nel suo libro di memorie P. E. Taviani ricorda che è sempre esistito il rischio di una guerra europea. Gli archivi dei Paesi di quello che fu il blocco sovietico confermano. E i documenti ne rivelano le direttive di azione.
IL WAR PLAN DEL 19641
L’apertura degli archivi dei Paesi facenti parte del Patto di Varsavia ha permesso agli storici di ricostruire le intenzioni sovietiche nei confronti del blocco occidentale. Nel febbraio del 2000, lo storico Petr Lunak scoprì tra le carte custodite presso l’Archivio Militare Centrale di Praga un war plan destinato all’esercito cecoslovacco: il documento, datato 14 ottobre 1964, prevedeva che in seguito al movimento di truppe nelle regioni dell’Europa centrale, valutate come minaccia di un imminente attacco a sorpresa, il nucleo operativo della NATO avrebbe ingaggiato un certo numero delle proprie unità in battaglie di tipo convenzionale sul campo. L’immediato compito da assolvere per l’esercito slovacco era, oltre ad opporre una strenua resistenza, quello di sconfiggere le truppe dall’alleanza atlantica presenti nella parte sud della Repubblica Federale Tedesca. Passata la prima fase dei combattimenti, l’Esercito del Popolo della Cecoslovacchia, dopo aver resistito e, poi, colpito il nemico a Wurzburg, Erlangen e Ratisbona con attacchi nucleari, avrebbe dovuto muoversi verso di Norimberga, Stoccarda e Monaco di Baviera; il piano scandiva precisi tempi di avanzata: alla fine del primo giorno di guerra le truppe cecoslovacche dovevano raggiungere le città di Bayreuth, Ratisbona e Passau. Alla fine del secondo giorno di avanzata, le divisioni del Patto di Varsavia dovevano giungere sino a Hochstadt-Schwabach-Ingolstadt per, infine, alla fine del quarto giorno di attacco giungere a Mosbach, Nurtingen e Memmingen. In tal modo, sconfitte le divisioni della NATO presenti nel sud della Repubblica Federale Tedesca, le truppe del blocco sovietico avrebbero ottenuto il controllo della regione mentre parte delle forze in campo sarebbero state utilizzate per portare l’attacco a Monaco di Baviera. Da questa base si sarebbe dovuta organizzare la decisa avanzata in direzione di Strasburgo, Epinal e Dijion per centrare il duplice obiettivo di sconfiggere tutte le truppe NATO schierate in Germania Ovest e superare la linea di difesa naturale del Reno per giungere, all’ottavo giorno, alla linea di Langres e Besançon per avere la strada spianata sino a Lione.
1965: LA GUERRA IN ITALIA?
A Budapest, all’Archivio di Storia Militare, è stato rinvenuto, invece, il testo di un war game del 1965 riguardante anche le sorti italiane: il documento istruiva gli alti vertici militari ungheresi circa le linee guida di un’esercitazione che fornisce preziosi dettagli su come sarebbe stato impiegato l’esercito ungherese nell’attuazione dei piani elaborati dal Patto di Varsavia per l’attacco da portare all’Europa: le truppe dell’esercito di Budapest dovevano partecipare ad un’operazione offensiva contro quelle atlantiche sul suolo tedesco dopo aver occupato l’Austria e il Nord Italia. Il war game prevedeva che fosse la NATO a portare il primo colpo con un attacco a sorpresa ai Paesi del Patto di Varsavia nascondendo i propri intenti aggressivi sotto le mentite spoglie di innocue esercitazioni militari. In questo contesto, le truppe del blocco orientale sarebbero state legittimate ad agire in prevenzione di un attacco contro di loro: dopo un primo attacco nucleare, le forze armate ungheresi avrebbero dovuto violare la neutralità dell’Austria e indirizzare la loro azione lungo due direttrici principali: la prima, verso Vienna e la città di Linz; la seconda in direzione di Szombathely, Graz e Villach. L’obiettivo era quello di sconfiggere le truppe austriache, la 2^ divisione tedesca (schierata a difesa del fianco sud della Germania) e il III Corpo d’Armata italiano in modo da giungere al sesto giorno dall’inizio delle operazioni militari a Passau, Salisburgo ed Hermagor eliminando, di fatto, l’Austria dalla guerra. In seguito, l’esercito ungherese avrebbe dovuto concentrare i propri sforzi in direzione di Monaco di Baviera per distruggere le riserve operative NATO nel sud della Repubblica Federale Tedesca e affiancarsi alle truppe cecoslovacche impegnate in quella zona. Entro il tredicesimo giorno di guerra anche la parte Est della Pianura Padana doveva essere colpita e le aree fino a Brescia e Bologna occupate: questa manovra avrebbe creato le premesse per un’offensiva in Italia per, alla stregua dell’Austria, eliminarla dallo scenario di guerra privando così l’alleanza atlantica di importanti basi militari, portuali e aeroportuali di vitale importanza per la conduzione delle operazioni belliche della NATO e il dispiegamento delle truppe in Europa centrale. Lo scenario appena descritto è confermato da Paolo Emilio Taviani: se la guerra fosse scoppiata, le truppe ungheresi e sovietiche avrebbero realizzato un piano di invasione, violando la neutralità dell’Austria, capace di portarle a Bergamo in quarantotto ore. Da Bergamo avrebbero affrontato la traversata del Po a cui si erano allenate le truppe ungheresi. Le tre direttrici di penetrazione ipotizzate per attuare l’invasione dell’Italia erano quella che passava per Vienna-Klagenfurt-Villach-Udine-Verona; quella che sarebbe dovuta passare per Innsbruck-Bolzano-Verona; infine, quella che da Lubjana avrebbe portato in Italia attraverso la soglia di Gorizia e Trieste e avrebbe permesso alle truppe ungheresi di arrivare sino a Verona.
LA MINACCIA NEGLI ANNI ’70 E ’80
Fino alla metà degli anni ottanta l’Unione Sovietica dissanguò le economie dei Paesi del blocco orientale nella preparazione di una aggressione da portare all’Europa occidentale che non si attuò mai ma che portò il blocco orientale al collasso. Gli anni in questione sono il periodo di maggiore difficoltà per gli Stati Uniti che sono costretti a fare i conti con la dura critica interna di una opinione pubblica che non riesce a superare la sconfitta patita nella lunga e dispendiosa guerra in Vietnam e le vicende dello scandalo Watergate. Leonid Breznev nel 1973, all’apogeo dell’ottimismo sulla convergenza tra le due superpotenze, in un convegno di leader comunisti tenutosi a Praga aveva detto che, come conseguenza diretta dalle distensione, “un cambiamento decisivo nell’equilibrio delle forze sarà tale da permetterci di estendere la nostra volontà dovunque vogliamo”. Il 1977 sembra essere l’anno cruciale: sul piano militare, con il ritorno al potere proprio di Leonid Breznev, le attività dei vertici del Patto di Varsavia si fanno più frenetiche e vengono ripresi in considerazione, rivisti e aggiornati quei piani militari di aggressione all’Europa illustrati poc’anzi. In quest’anno, i sovietici posero le basi per quell’azione definitiva che avrebbe dovuto concretizzare i lunghi e costosi preparativi alla guerra: sfruttando la guerra per i territori dell’Ogaden tra Somalia ed Etiopia, l’URSS riuscì ad avere da quest’ultima le basi di cui abbisognava per il controllo dei traffici marittimi passanti per il Mar Rosso; nella stessa logica legata al controllo strategico dei passaggi del traffico petrolifero rientrava a pieno titolo l’invasione dell’Afghanistan decisa da Mosca nel 1979: la conquista dell’avamposto afgano permetteva all’aviazione sovietica di controllare il Golfo di Oman e il Golfo Persico in modo da interdire alle petroliere occidentali l’accesso ai rifornimenti petroliferi. La pianificazione militare univa le direttive contenute nel war plan del 1964 e nel war game dell’anno successivo cui si aggiunsero le disposizioniper il frontepolacco: una volta che la NATO avesse sferrato il primo colpo, le truppe di Varsavia avrebbero dovuto lanciare un attacco in direzione di Amburgo e della regione dello Schleswing Holstein. Da qui, in un secondo momento avrebbero avanzato sia verso il Nord Europa, verso la Danimarca (che sarebbe diventata la base per un ulteriore attacco alla Norvegia, Paese aderente alla NATO) sia verso il Reno e la Mosella da dove avrebbero, poi, invaso le pianure olandesi e la Bassa Sassonia: come per il fronte meridionale, le operazioni in Nord Europa erano funzionali alla riuscita delle manovre belliche nelle regioni centrali della Germania, dove si sarebbero fronteggiate vis à vis le migliori divisioni a disposizione delle due alleanze militari. L’avanzata in Europa settentrionale si sarebbe dovuta sviluppare lungo tre direttrici: la prima, quella del Mare del Nord, prevedeva la conquista del porto di Brema insieme con quelli strategici posti in territorio olandese e belga con particolare attenzione per il porto di Anversa; la seconda, avrebbe dovuto svilupparsi lungo l’asse Essen-Bruxelles; la terza, invece, passante per Francoforte-Lussemburgo-Metz che avrebbe permesso di portare l’attacco sino a Parigi. Anche nelle zone più a nord dell’Europa furono predisposte alcune piccole operazioni funzionali alle direttive del piano di guerra per la conquista del Vecchio Continente: nella penisola di Kola venne ormeggiata la Flotta del Nord che in caso di guerra avrebbe avuto lo scopo di intercettare e di bloccare i rinforzi NATO provenienti dalla Scozia e dall’Islanda; le piste di volo presenti in questa zona furono spostate verso ovest per permettere all’aviazione sovietica di essere operativa sui cieli di Copenaghen in circa venti minuti dal decollo; la Finlandia fu costretta ad adeguare le sue reti ferroviarie e stradali a quelle sovietiche per renderle idonee al rapido trasporto di divisioni dalla Russia. Nonostante il piano fosse predisposto sin nei particolari, le operazioni militari pianificate su carta non trovarono concreta attuazione sul campo: i dissidi interni al Patto di Varsavia, le turbolente vicende interne dei Paesi satelliti dell’Unione Sovietica e la “ribellione” di personalità forti come Ceaucescu ai diktat di Mosca resero problematiche alcune operazioni militari che ritardarono l’inizio della guerra. Ma il deterrente maggiore alla decisione sovietica di muovere l’attacco in Europa, che avrebbe portato ad una guerra su scala globale, fu lo sviluppo del progetto Strategic Defense Iniziative, meglio conosciuto come “scudo spaziale”, fortemente voluto da Ronald Reagan e proposto al Congresso per l’approvazione nel 1983: lo Strategic Defense Iniziative si basava su un complesso quanto costoso sistema di basi a terra e nello spazio in grado di individuare e distruggere le testate nucleari avversarie ancora prima che potessero raggiungere l’obiettivo. Anche se questo sistema difensivo non andò oltre la realizzazione di alcuni prototipi contribuì a rivedere i piani di attacco sovietico: lo Strategic Defense Iniziative, infatti, avrebbe permesso ai Paesi della NATO di difendersi dagli attacchi del Patto di Varsavia installando, sul proprio territorio nazionale, basi a terra che avrebbero fatto venire meno la necessità di attendere i rinforzi che, in caso di guerra, sarebbero dovuti arrivare dagli Stati Uniti. Nel maggio del 1987, un documento congiunto dei Paesi firmatari del Patto di Varsavia stabilì che da quel momento la strategia militare sovietica sarebbe stata votata solo alla difesa: con un’alleanza ormai logora al proprio interno e con spese militari che assorbirono gran parte delle risorse dei Paesi, il Comitato Consultivo del Patto orientò l’intero pensiero militare dell’alleanza alla difesa auspicando, inoltre, una riduzione degli armamenti nucleari in Europa ad un livello tale da non consentire le operazioni offensive. Solo in quel momento in Europa la guerra fu scongiurata.
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