«Ho combattuto la buona battaglia (…) Ho conservato la fede” (2 Tm 4, 7). Così è detto nella Seconda Lettera a Timoteo. La Chiesa, rileggendo queste parole nell’odierna domenica, le applica ai martiri spagnoli del tempo della Guerra Civile. Ecco coloro che “hanno conservato la fede” nel nostro secolo; coloro che hanno combattuto la buona battaglia”: i testimoni (martyres) di Cristo, crocifisso e risorto. “Hanno conservato la fede”. Non si sono spaventati davanti alle minacce e alle persecuzioni. Sono stati pronti a suggellare con la vita la Verità che professavano con le labbra. Sono stati pronti a “dare la vita”. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita” (Gv 15, 13). Al santissimo martirio dello stesso Figlio di Dio hanno associato il loro martirio di fede, di speranza e di amore. E questo martirio, cioè questa testimonianza ha attraversato tutta l’Europa, che nel ventesimo secolo in modo particolare s’è arricchita della testimonianza di molti martiri: dall’Atlantico fino agli Urali.»
Dall’omelia di papa Giovanni Paolo II
Domenica, 25 ottobre 1992
(Beatificazione di 122 martiri spagnoli e di una laica equadoregna)
Il 26 giugno 2006, papa Benedetto XVI ha autorizzato la promulgazione dei decreti con cui la Chiesa ha riconosciuto ufficialmente il martirio di 148 tra suore e preti e quello di una donna, assassinati tra il 1936 e il 1937, in Spagna, dai miliziani repubblicani. Con questa decisione, il Vaticano ha inteso rendere un doveroso tributo a coloro i quali pagarono con la vita la loro devozione e lealtà nei confronti della fede: in un martirio ancora oggi misconosciuto a buona parte dei cattolici italiani. Una strage che, per una sorta di inspiegabile timore nei confronti del giudizio della ‘modernità’ ideologica di stampo ‘progressista’ e del nuovo ‘credo’ relativista, è stata di fatto dimenticata o esorcizzata per molto tempo, almeno fino alla fine degli anni Ottanta – allorquando papa Giovanni Paolo II riprese l’iter di canonizzazione dei martiri spagnoli. Alla luce di tutto ciò, la prosecuzione dell’iniziativa da parte di Benedetto XVI ci è apparsa quindi doverosa, ma anche utile in quanto ha contribuito a chiarire fatti ed accadimenti specificatamente storici e quindi di universale interesse. Per dare una dimensione della persecuzione patita dal clero e, più in generale, dai cattolici spagnoli negli anni Trenta, basti pensare che soltanto tra il 1936 e il 1939 oltre che a distruggere centinaia tra monumenti, chiese, seminari, luoghi di culto e cimiteri, le milizie repubblicane comuniste e anarchiche incarcerarono, torturarono e eliminarono fisicamente quasi 7.000 fedeli. Più precisamente – secondo recenti studi del vescovo di Merida-Badajoz, Antonio Montero – tra il luglio 1936 e l’aprile 1939, subirono il martirio 6.832 cristiani (238 dei quali successivamente beatificati): quattromila 184 appartenenti al clero diocesano più 12 vescovi, un amministratore apostolico, duemila 365 religiosi e 238 tra suore e seminaristi. Cifre importanti e drammatiche sulle quali è obbligatorio riflettere.
Nel corso degli ultimi settant’anni, il periodo che va dalla proclamazione della II Repubblica spagnola (14 aprile 1931) al 1° aprile 1939 – cioè alla fine della lunga e sanguinosa Guerra Civile scoppiata il 17 luglio del ‘36, che vide la vittoria delle forze nazionaliste guidate dal generale Francisco Franco Bohamonde (1892-1975) – è stato studiato e analizzato da una moltitudine di storici, buona parte dei quali, tuttavia, preferito, vuoi per scelta, vuoi per formazione culturale, concentrare l’attenzione più sull’aspetto politico, economico, sociologico o militare di questi otto anni, che non su quello religioso.
A partire dal 1945 fino alla caduta del Muro di Berlino, sulla particolare questione – abbastanza scomoda, oltre che dolorosa – cioè quella della persecuzione dei cattolici da parte del governo repubblicano spagnolo (fenomeno che ebbe inizio nel (14 aprile Seconda Repubblica) 1931, cioè ben prima dell’Alzamiento nazionalista del luglio del ‘36), buona parte degli intellettuali e degli storici di sinistra, ha preferito toccare appena o interpretare in maniera non sempre corretta questo aspetto della vicenda attraverso analisi e considerazioni diciamo storicizzate e/o contingentate, esaminando cioè gli orribili eccessi anticlericali alla stregua di episodi non giustificabili sotto il profilo morale, ma comunque ‘comprensibili’ sotto quello politico, e in ogni caso derivanti da presunte, antiche e gravi colpe della Chiesa di Spagna, intesa come centro di ‘potere’ reazionario e anti popolare.
Ad incoraggiare l’esecutivo repubblicano nel tentativo di eliminare non soltanto la Chiesa cattolica, ma anche la stessa cultura cristiana, vi furono molteplici ragioni derivanti – occorre dire – anche dalla non facile situazione che in quel periodo stava effettivamente vivendo l’istituzione ecclesiastica iberica. Dalla metà circa del XIX secolo, e soprattutto a partire dalla fine del Primo Conflitto Mondiale, quest’ultima aveva infatti perso parte della sua antica forza catalizzatrice e propositiva, attestandosi fors’anche sotto la spinta della ‘modernità’ su posizioni prettamente difensive e controproducenti, mirate anche al mantenimento di taluni antichi privilegi concessi ad essa nel corso dei secoli dai sovrani castigliani. Si trattò di una politica discutibile, ma che, in ogni caso, non si tradusse mai in particolari o nuovi atteggiamenti ‘anti-popolari’ o specificatamente ‘reazionari’. Tra il XVIII e il XIX secolo non era stata infatti la Chiesa a mantenere in uno stato di diffusa povertà buona parte dei sudditi iberici, ma semmai lo Stato, cioè la corona, che si era dimostrata del tutto incapace di varare riforme economiche e sociali sensate quanto necessarie e di modernizzare un apparato amministrativo e burocratico ormai logoro e stantìo.
Detto questo – come si è accennato – la Chiesa spagnola commise effettivamente un grave errore, quello di ‘congelare’ il proprio impegno pastorale, dando quasi per scontato l’attaccamento del popolo iberico alla fede e a quelle tradizioni ad essa collegate che per tanto tempo, cioè dall’epoca della Reconquista medioevale anti-moresca, avevano garantito alla Spagna forza, prestigio e il titolo di ‘cattolicissima’. Questa sorta di superficiale immobilismo arrivò a mettere in allarme lo stesso Stato pontificio e non pochi illustri ed avveduti alti prelati spagnoli, timorosi di un distacco del cosiddetto paese reale dalle istituzioni ecclesiastiche. Come ad esempio ebbe modo di sottolineare nella prima metà degli anni Trenta, in una sua missiva ai vescovi, il cardinale Isidro Goma y Tomas (1937-1940). “Il popolo spagnolo – scrisse questi – è sì profondamente religioso, ma ormai più per sentimenti atavici che per autentica convinzione proveniente da una fede matura e viva”. Parere condiviso anche dal gesuita Francisco Peirò che, nel 1931, lamentava che: “soltanto il 5% della popolazione della Nuova Castiglia era ormai solito santificare il precetto pasquale”. Considerazioni oggettive, ma, ovviamente, non certo sufficienti a sostenere un imminente ed ineluttabile ‘decristianizzazione’ del popolo spagnolo e, tanto meno, sufficienti a giustificare la soppressione della Chiesa – intesa come istituzione sostanzialmente inutile – da parte dei governi della Seconda Repubblica, al fine di trasformare il Paese in una congregazione atea: condizione ritenuta indispensabile per imboccare la via della modernità. Tentativo che, per la cronaca, aveva avuto un precedente storico ben prima dei fatti che narreremo in questo breve saggio, con l’espulsione dei gesuiti, avvenuta nel 1767, e con lo scoppio di diversi moti anti-cattolici che in una fase successiva, cioè nell’Ottocento, vennero fomentati e cavalcati da congregazioni massoniche e da circoli post illuministi e giacobini fortemente avversi alla monarchia – intesa non a torto come un’istituzione arretrata ed illiberale – ma anche alla Chiesa. Nel loro fervore, non pochi intellettuali laici giunsero a considerare (sbagliando) la corona e la Chiesa quasi alla stregua di un unico soggetto, una sorta di mostro bifronte dell’arretratezza da abbattere con qualsiasi mezzo in nome dell’equità sociale e del progresso. Ricordiamo che nel corso del XIX secolo, questo vento di rivolta portò all’assassinio di 371 religiosi (anche se i primi veri martirii del secolo si ebbero nel 1904, a Valencia, dove nel corso di una ricorrenza religiosa due giovani vennero linciati da un gruppo di anticlericali) .
Per cercare di fare uscire la Chiesa dal guado, all’inizio degli anni Trenta, cioè in concomitanza con la caduta della monarchia, il cardinale Gomà ed altri vescovi incominciarono a lavorare per pianificare una nuova, rapida e concreta rievangelizzazione della Spagna attraverso una più avveduta politica di riavvicinamento al popolo e alle classi borghesi attratte dai miti massonici e post giacobini: progetto che, in virtù della sua ‘pericolosità’, spinse il primo governo della Seconda Repubblica succeduto alla corona, a stroncare sul nascere una possibile e positiva ‘riforma’ della Chiesa, eliminando il problema alla radice, cioè distruggendo quest’ultima e trasformando la Spagna non in uno Stato ‘laico’ inteso in senso moderno (come per molti decenni, diversi studiosi italiani, perfino cattolici, hanno erroneamente sostenuto), bensì totalmente e violentemente ‘ateo’. E su questo punto ormai i più illustri storici contemporanei convengono quasi all’unisono.
Come riporta Vittorio Messori (si veda l’opera Martiri in Spagna, tratto da Pensare la storia. Una lettura cattolica dell’avventura umana, Edizioni Paoline, Milano 1992), “l’obiettivo delle forze repubblicane fu senz’altro quello di far scomparire la Chiesa in sé”. Tesi avvalorata anche da un attento ricercatore, non certo filo-clericale come Hugh Thomas, autore, tra l’altro, di un poderoso saggio su la Guerra Civile spagnola. “Mai, nella storia d’Europa e forse in quella del mondo – scrive Thomas – si vide un odio così accanito per la religione e i suoi uomini”. Parere condiviso da testimoni del tempo, anch’essi antifranchisti, come Salvador de Madariaga (che nel 1939, dopo la sconfitta repubblicana, andrà in esilio): “Nessuno che abbia insieme buona fede e buona informazione può negare gli orrori di quella persecuzione. Per anni, bastò il solo fatto di essere cattolico per meritare la pena di morte, inflitta spesso nei modi più atroci”.
E’ interessante notare che il progetto di sradicamento della Chiesa cattolica architettato e sostenuto in primo luogo dai partiti socialcomunisti, dal sindacato anarchico e, come si è detto, dalle logge repubblicano-massoniche iberiche, venne accolto favorevolmente anche da forze radicali e laiche cosiddette progressiste moderate: condivisione di intenti che non ha mai avuto eguali nella storia occidentale. Anche se, a dire la verità, proprio in questi ultimi anni, questa tentazione programmatica è riemersa – sebbene in una forma più ambigua – nei due Paesi europei a maggiore tradizione cattolica, cioè l’Italia e appunto la Spagna, dove i rispettivi esecutivi di centrosinistra in carica al momento della stesura di questo libro, e cioè quello di Romano Prodi e di José Luis Rodríguez Zapatero, sembrano inclini a rispolverare attraverso la proposta o il varo di leggi dichiaratamente e gravemente lesive della tradizione culturale cattolica un antico sogno, quello di marginalizzare o eliminare un ostacolo, rappresentato dalla Chiesa, sulla strada di una modernizzazione dei costumi che trae tuttavia le sue origini da un equivoco di fondo, cioè dalla convinzione che il ‘laicismo’ sia il vero e unico garante della libertà intesa come valore immanente. ([2])
Giustificazione ideologica a dire il vero abbastanza opinabile che si rifà, in maniera grossolana e superficiale, agli assunti dotti, ma comunque discutibili, di un panteista deista come l’irlandese John Toland (1670 – 1722), a quelli di un seppur grande illuminista come Voltaire (1694 –1778), di un empirista come John Locke (1632-1704), o a quelli decisamente meno profondi e velleitari di un materialista storico come Karl Marx (1818 – 1883): pensatori che di fatto, in nome di una presunta libertà, paradossalmente negavano all’uomo il diritto e quindi la libertà di credere. Il tutto, dimenticando che l’esaltazione o la concretizzazione del paradigma laicista, non ha mai portato né all’eliminazione del senso dell’angoscia esistenziale che travaglia da sempre l’umana specie, né ad una radicale risoluzione dei problemi inerenti la convivenza civile all’interno di una comunità o di un soggetto statuale. Come dimostra, nella pratica, la stessa storia, nel corso della quale la sperimentazione o l’applicazione da parte di taluni Stati di regimi parlamentari laicisti (come ad esempio quello messicano) ha sortito effetti assai deludenti se non fallimentari, proprio riguardo la tutela dei diritti inalienabili dell’uomo. Non parliamo, ovviamente, dei regimi marxisti o postmarxisti dove il concetto di laicismo è stato sostituito, anzi soverchiato, da quello dell’ateismo di stato tradottosi in una ‘nuova’ religione seppur pagana, materialista, modernista e storicistica.
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